Chiesa di casa, un digiuno di carità e di condivisione

Ospiti della prima puntata quaresimale di Chiesa di casa sono don Michele Rocchetti, Mohamed Elnadi (medico e presidente del centro culturale Al-Manar di Soresina) e la psicologa Anna Bandera

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Preghiera, carità e digiuno. Sono i tre elementi che, nella tradizione della Chiesa, caratterizzano il tempo della Quaresima. Proprio sul terzo, il digiuno, si è focalizzata la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento proposto dalla diocesi di Cremona. Il tema, però, non è stato analizzato solo dal punto di vista cattolico, ma con uno sguardo più ampio sulla questione relativa al rapporto con il cibo. Ospiti della trasmissione sono stati, infatti, don Michele Rocchetti, vicario parrocchiale dell’unità pastorale di Calcio, Pumenengo e Santa Maria in Campagna, il dottor Mohamed Elnadi, medico e presidente del centro culturale Al-Manar di Soresina e la psicologa Anna Bandera, psicoterapeuta specializzata nell’età dello sviluppo.

«Oggi celebriamo la prima domenica di Quaresima – ha esordito don Rocchetti – quindi mi pare significativo sottolineare che la proposta del digiuno prevede la rinuncia a qualcosa, solitamente uno o più alimenti, per vivere bene questo tempo. L’attenzione da avere è quella di non confonderlo con una dieta: esso è parte di una prassi penitenziale il cui fine è la conversione».

Un discorso simile può essere fatto, secondo il dottor Elnadi, per la pratica del digiuno vissuto dai musulmani nel mese di Ramadan, «durante il quale non prendiamo cibo e acqua per tutta la durata della giornata. Per noi si tratta di un momento in cui ci viene offerta la possibilità di recuperare il rapporto con la nostra quotidianità, ristabilendo così il legame con gli aspetti più profondi e spirituali della vita di ciascuno di noi. Inoltre, è un invito chiaro all’umiltà: ci prendiamo del tempo per vivere come i poveri, che tante volte non hanno nulla da mangiare».

In entrambe le esperienze religiose, dunque, non si tratta mai di un digiuno fine a se stesso, ma di un’astinenza che ha un respiro decisamente più ampio.

La questione del rapporto con il cibo, al di fuori della vita di fede, può invece porsi come un reale problema. «Anche in questo caso – ha spiegato la dottoressa Bandera – l’aspetto centrale non è il piatto vuoto. Dal punto di vista clinico, il digiuno implica sempre una rinuncia al sé e molto spesso cela una sofferenza profonda. Accade quando il rapporto con il dolore non riesce ad essere espresso con altri canali. La rinuncia al cibo diventa quindi, più che una scelta consapevole, il sintomo di un disagio che siamo invitati a cogliere».

Talvolta, invece, quella di non mangiare diventa la risposta ad un altro tipo di bisogno, secondo la psicologa. «Ci sono situazioni in cui la ricerca della sofferenza con il digiuno può richiamare il desiderio di un’affermazione di sé, di onnipotenza. Rifiutando il cibo la persona si fa del male, ma, di conseguenza, grida a se stessa, e al mondo, la propria presenza. In questo senso, condividere diventa importantissimo, anzi, vitale».

E proprio sulla dinamica della condivisione e comunione si è concentrata la riflessione conclusiva della puntata di “Chiesa di casa”. «Non digiuniamo mai da soli – ha sottolineato il dottor Elnadi – ma tutti insieme. Questo ha un grande valore per noi, tanto che il digiuno del Ramadan è uno dei cinque pilastri della nostra fede».

Per quanto riguarda la Chiesa, secondo don Rocchetti «non è un caso che proponga dei tempi di digiuno rivolti all’intera comunità. Ogni cristiano può decidere di viverlo in modo libero e autonomo, ma tutti insieme siamo chiamati ad accogliere questa proposta in momenti particolari, come la Quaresima. Il legame con la preghiera e la carità, poi, è molto stretto. Questo ci fa capire come l’esperienza del digiuno, della sofferenza, sia di piena condivisione. D’altra parte, la vita cristiana è relazione con il Signore, colui che offrì la propria sofferenza per il bene di tutti noi».

Andrea Bassani
TeleRadio Cremona Cittanova
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