Chiesa di Casa e il linguaggio nei segni

Ospiti il liturgista don Francesco Gandioli, l'artista Davide Tolasi e Stefano Cariani, operatore socio-sanitario studente di Lis

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«Il segno è una relazione che si instaura tra una realtà sensibile e il suo significato». Sono queste le parole che il liturgista don Francesco Gandioli ha usato per definire il «segno» durante la nuova puntata di Chiesa di casa.In concomitanza con l’apertura del nuovo anno liturgico, che ha inizio oggi, con la prima domenica di Avvento, il sacerdote cremonese ha sottolineato come «il linguaggio della liturgia prevede il coinvolgimento della persona, utilizza segni capaci di parlare all’uomo nella sua interezza, rendendo l’esperienza di fede non solo qualcosa di materiale, ma concreta e tangibile».

A dare una lettura complementare rispetto a quella proposta da don Gandioli è stato Davide Tolasi, artista e docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brescia. «Viene naturale dire che l’arte, utilizzando il tratto grafico, tenta di lasciare un segno in chi la vive. L’artista mette qualcosa di sé nell’opera che propone, ma, allo stesso tempo, si ritira, per far sì che lo spettatore possa trovare una parte di sé in ciò che osserva».

Da entrambe le riflessioni proposte emerge allora come la relazione sia elemento fondamentale e decisivo per rendere presente ciò che il segno vuole significare. Sulla stessa lunghezza d’onda si è articolato anche l’intervento di Stefano Cariani, operatore socio-sanitario e studente al terzo anno di Lis, la lingua italiana dei segni. «Comunicare con chi non è in grado di utilizzare uno dei nostri sensi non è semplice – ha spiegato Cariani – perché richiede uno sforzo particolare. Innanzitutto, l’apprendimento di un linguaggio differente da quello che comunemente usiamo; inoltre, per dialogare con chi non riesce a sentire è necessario stabilire una vera e propria relazione. Gli sguardi, le espressioni sono fondamentali e dicono tanto di ciò che si vuole comunicare».

Oltre alla dinamica relazionale, emerge allora anche una decisa attenzione alla persona, intesa nel senso più ampio del termine.

«Chi contempla un’opera d’arte – ha spiegato Tolasi – non utilizza solo il senso della vista. Al contrario, l’immagine evoca un modo di vedere che non è degli occhi, ma coinvolge l’interiorità dell’individuo, che si trova totalmente coinvolto nell’esperienza della contemplazione».

Molto curiosa, secondo Cariani è anche la proposta dei «bar senza nome», «che sono gestiti da persone non udenti e pensati proprio per questa finalità: chi li frequenta è chiamato a essere totalmente in quel luogo. Per far sì che lo scambio e il confronto ci sia davvero, infatti, è necessario essere realmente nella relazione, osservando chi si ha di fronte e prestando la massima attenzione a ciò che accade, così da non perdere il contributo di nessuno».

A concludere la riflessione sul senso del segno è stato don Francesco Gandioli, che ha ribadito come «tutti i sensi dell’uomo sono coinvolti nella liturgia. Ma perché il suo linguaggio sia efficace, e dunque il segno si riveli per ciò che è, serve che il rito sia abitato, e cioè che se ne faccia esperienza. Questo richiede di stare alle “regole” che esso propone. Al di fuori di esse, i gesti perdono significato, non c’è un vero coinvolgimento della persona, e diventa dunque impossibile vivere quella relazione di cui il segno si fa portatore».

Una disponibilità totale a mettersi in gioco. Gli ospiti di Chiesa di casa, ognuno secondo il proprio ambito, hanno chiesto questo all’apertura di un nuovo anno liturgico, così che i segni che quotidianamente sperimentiamo e incontriamo siano davvero efficaci.

Andrea Bassani
TeleRadio Cremona Cittanova
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