Il vescovo risponde a “Chiesa di Casa”: «Nelle vostre domande una strada da percorrere con tutta la comunità»

Mons. Napolioni ospite della prima puntata del talk di approfondimento dialoga con un giovane, una mamma e un'operatrice sanitaria sui temi che toccano la vita delle comunità cristiane e non solo: «Oggi dobbiamo vedere il bene e riconoscerlo da qualunque parte venga»

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Nella sua definizione, la parola «dialogo» indica un discorso, un colloquio fra due o più persone che abbia come finalità la ricerca di un punto di intesa, di un incontro anche partendo da visioni o posizioni differenti. Così inteso, ingrediente essenziale delle relazioni, il dialogo è indicato come una componente fondamentale anche per il percorso del nuovo anno pastorale nella diocesi di Cremona.

E con questa intenzione si apre la stagione 2023/24 di «Chiesa di Casa», il talk di approfondimento della diocesi di Cremona, inaugurata proprio in questo fine settimana con una puntata speciale in cui il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni si è posto in dialogo con tre ospiti che hanno portato in studio le domande del mondo giovanile, delle famiglie e delle comunità, del mondo del lavoro e del volontariato: Lorenzo Mascaretti, giovane di Caravaggio che ha partecipato all’ultima Giornata mondiale della Gioventù, Cristina Paternazzi, mamma e catechista della parrocchia di San Daniele Po, e Federica Zignani, operatrice di rsa presso l’Opera Pia SS. Redentore di Castelverde.

Domande, provocazioni, curiosità. Spunti di riflessione posti dai tre ospiti laici, in cerca di una risposta dal loro vescovo. Domande – come evidenzia monsignor Napolioni – poste «non solo per rispondere in questo momento, ma per rifletterci e “camminarci dentro” con tutta la comunità».

«Come si può essere testimoni gioiosi del Vangelo, pur nelle fatiche e nelle fragilità della vita?», chiede Cristina. «Senza le fragilità non c’è bisogno di avere il Vangelo, che è buona notizia della salvezza – ribatte il vescovo –. E solo chi è in mezzo al mare, solo chi è nella solitudine, chi non conta solo sulle sue forze ha bisogno di salvezza».

 

 

E «cosa si intende per “villaggio” nella società di oggi, così urbanizzata, che vive così tanto di città?», chiede invece Lorenzo, che nel suo percorso di studi letterari ha spesso a che fare con questo concetto. Come dice Papa Francesco, è una parola che deriva da un detto africano: «Per mettere al mondo un figlio basta una mamma, per farlo crescere ci vuole un villaggio». «E la memoria dei nostri paesi custodisce questa esperienza», aggiunge Napolioni. «È senso di appartenenza, di partecipazione, di socialità in cui non prevale il conflitto, ma la solidarietà». Si può, si deve, dunque, parlare di «villaggio globale, che è così faticoso da tenere insieme, ma che si è fatto più piccolo, perché ci costringe a salvarci insieme, come sperimentato con la pandemia».

Uno sguardo al villaggio, alla società, al territorio che naturalmente diventa uno sguardo all’altro, alla carità. Il volontariato, nei paesi, è spesso legato alle realtà laiche e non alle comunità ecclesiali, fa notare Federica: «Le comunità cristiane saranno in grado, e come, di interagire e accostarsi a questi volontari, non solo per evangelizzare, ma anche per imparare?». La risposta sembra suonare facile, ma è tutt’altro banale: «Bisogna volerlo!». In una società storicamente spaccata da ideologie, suggerisce il vescovo, «oggi dobbiamo assolutamente vedere il bene e riconoscerlo da qualunque parte venga». Ben vengano, dunque, le alleanze nei paesi e nei quartieri.

Così, nel dialogo che scaturisce dall’incontro, vive la carità. Carità che significa vicinanza. E questa vicinanza si concretizza grazie alle forze di molti, impegnati in quelli che il vescovo chiama «i ministeri della consolazione». Ma cosa sono?

«I ministri della consolazione sono quelle persone, laici o religiosi, che affiancano i sacerdoti nella visita alle persone malate e sole, non solo portando la grazia dell’Eucarestia o della Confessione, ma proprio affiancando quella persona o quella famiglia, imparando soprattutto l’atteggiamento dell’ascolto, della comprensione, lo stile dell’amicizia». «In un senso più vasto – prosegue Napolioni – questo servizio è oggi attualissimo. Alla Giornata mondiale della Gioventù correvano parecchie lacrime, non solo nei ragazzi, ma anche in noi adulti, perché l’esperienza di una fonte che disseta fa sentire le nostre aridità, permette di esprimere le nostre difficoltà esistenziali». «Questo è quello che dice Papa Francesco, definendo la Chiesa un ospedale da campo».

È questa la dimensione della comunità, capace di aprirsi e generare bene per se stessa e per il mondo in cui vive. Per farlo – conclude il Vescovo – «bisogna ​​​​​​​uscire da se stessi, andare incontro agli altri, e vincere la paura con l’apertura alla vita».

Giorno del Signore e Chiesa di Casa, al via le nuove stagioni

Matteo Cattaneo
TeleRadio Cremona Cittanova
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