Una Quaresima di carità per «allargare idealmente le sbarre»

La casa circondariale di Cremona e il progetto diocesano di solidarietà per la Quaresima al centro della nuova puntata di Chiesa di Casa con ospiti la direttrice Rossella Padula e il cappellano don Roberto Musa

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Costruire dei ponti. Questo è l’obiettivo, secondo don Roberto Musa, cappellano della casa circondariale di Cremona, della proposta per la Quaresima di Carità della diocesi cremonese. Protagonisti dell’iniziativa, coordinata dalla Caritas diocesana, sono infatti le persone detenute presso l’istituto cittadino. «L’idea che abbiamo condiviso è proprio quella di provare ad allargare idealmente le sbarre che ci sono alle finestre per permettere a chi si trova in carcere di vedere il mondo esterno non solamente come qualcosa di ostile».

A raccontarlo è proprio don Musa, insieme alla direttrice della struttura, Rossella Padula, durante la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona.

«Il timore più grande che hanno – secondo il sacerdote – è quello di non avere una seconda possibilità. Hanno il desiderio di uscire dal carcere, ma fuori non sempre hanno punti di riferimento. Spesso la libertà spaventa, e si manifesta la paura di cadere nuovamente in qualche situazione critica. Molti chiedono di essere inseriti in contesti diversi e nuovi, per sfuggire a questo rischio». Nonostante questo, la speranza della libertà resta cruciale per tutte le persone detenute. Viverne la privazione è certamente una fatica, ma spesso rappresenta l’inizio di un percorso. Per la direttrice Padula, l’avvio di questo cammino è decisivo. «La presa di coscienza del fatto è un elemento imprescindibile, sia per chi si trova in carcere in attesa di giudizio, sia per chi sta già scontando una condanna». In questo secondo caso, la sentenza ha già sancito una colpa, «ma il vero passo in avanti viene compiuto solo quando questa colpa è riconosciuta e accettata. Da qui si può dare il via ad una serie di ragionamenti, confronti e riflessioni per pensare ad una vera riabilitazione e reinserimento della persona all’interno della società». La sottolineatura della direttrice sulle dinamiche relazionali non è casuale. «Molte persone vivono e incontrano la realtà del carcere: poliziotti penitenziari, psicologi, criminologi, educatori, medici, sacerdoti e tanti operatori esterni. Ciascuno di loro porta avanti un percorso di accompagnamento che è fondamentale, e che può dare speranza a tutti coloro che sperimentano una mancanza profonda».

L’incontro, allora, diventa occasione di crescita e maturazione. Diventa luogo in cui è possibile “Dare speranza alla giustizia”, come recita il titolo del progetto per la Quaresima della diocesi di Cremona. In questo senso la Chiesa cremonese è molto attiva, per don Musa, «perché numerose associazioni, oltre all’impegno di Caritas, si interfacciano con la casa circondariale e con le persone detenute. È un’attenzione importante, perché molto spesso proprio nell’incontro personale nasce quella condivisione che può aiutare chi si trova in carcere a prendere coscienza della propria colpa e a superarla, senza trattarla in modo superficiale, ma anche evitando il rischio di assolutizzarla».

Le considerazioni di don Musa e di Padula aiutano ad umanizzare una realtà che, spesso, è considerata come un istituto a se stante e lontano dalla realtà. È la direttrice stessa a ricordare che «siamo noi a poter fare la differenza. Tutto dipende da ciò che noi offriamo alle persone detenute, anche e soprattutto in vista del loro rientro in società. Molti di loro sono soli, stranieri, quindi necessitano di un’attenzione particolare. Cura è forse il termine che meglio racchiude ciò che siamo invitati a vivere e sperimentare in ciò che facciamo».

Parlare di giustizia, detenzione e pena non è mai semplice. Lo sguardo che Rossella Padula e don Roberto Musa invitano a tenere, però, è quello della speranza. La speranza di un domani migliore, di una nuova occasione. Di una rinascita.

A meno di un mese dalla celebrazione della Pasqua, l’incontro con una realtà che, metaforicamente, racconta storie di morti e resurrezioni può allora essere decisivo per la vita di ciascuno. Per superare la chiusura, delle celle e dei cuori, serve conoscere, incontrare, toccare con mano. In poche parole, serve costruire ponti.

Andrea Bassani
TeleRadio Cremona Cittanova
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