Essere veri discepoli di Cristo, cioè disposti a incamminarsi dietro al Signore senza seguire le opinioni comuni. Questo l’invito e l’augurio che mons. Lafranconi ha rivolto, sabato 12 settembre, alle comunità di Annicco e Grontorto in occasione dell’ingresso del nuovo parroco, don Antonio Bislenghi, che il Vescovo ha indicato come compagno di viaggio, ma anche guida. Prima della Messa di insediamento la visita alla casa di risposo.
Sabato 12 settembre Annicco era tutto agghindato a festa per dare il benvenuto al nuovo parroco. Salutato con riconoscenza nelle settimane precedenti don Franco Zangrandi, dimessosi per raggiunti limiti d’età dopo ben 35 anni alla guida della parrocchia, l’attenzione era ora tutta rivolta al suo successore. Festoni e ghirlande giallo-bianche coloravano tutte le strade del paese.
Primo appuntamento dell’intenso pomeriggio è stato, alle 15.30, la visita del nuovo parroco alla casa di riposo: la Fondazione Bevilacqua-Rizzi di via Oberdan. Accompagnato dal vicario zonale, don Antonio Bandirali, don Bislenghi si è intrattenuto con gli ospiti, scambiando alcune parole e pregando con loro. Poi l’incontro con i responsabili e una veloce visita alla struttura, cominciando naturalmente dalla cappella. Lasciando la casa di riposo, tra un caloroso applauso, la promessa di un arrivederci nei giorni successivi, per iniziare un rapporto di conoscenza più personale e profondo.
Quindi il trasferimento nella parrocchiale di San Giovanni Battista Decollato, dove fervevano gli ultimi preparativi in vista della Messa delle 16.30.
Al suono delle campane, puntuale, dalla casa parrocchiale si è mossa la processione d’ingresso, aperta dal gruppo dei ministranti coordinati dal diacono permanente Raffaele Ferri. Poi la dozzina di sacerdoti concelebranti: tra questi alcuni preti della zona, uno dei compagni di Messa, don Giovanni Tonani. C’erano anche i parroci di don Bislenghi: don Vilmo Realini, con cui iniziò da vicario il ministero presbiterale a Pizzighettone; e don Giuseppe Nevi, parroco di S. Imerio, insieme a don Michele Rocchetti, nuovo vicario della parrocchia cittadina successore del neopromosso parroco di Annicco e Grontorto. A chiudere la processione il Vescovo, tra il vicario zonale e don Bislenghi.
Sul sagrato della chiesa il saluto del sindaco Maurizio Fornasari, affiancato dal comandante della locale stazione dei Carabinieri e dalla delegazione comunale con lo stendardo. Nelle parole del primo cittadino anzitutto il grazie al Vescovo per aver concesso al paese la fortuna di un nuovo parroco. Poi una fotografia delle realtà locale, evidenziando la necessità di avere punti di riferimenti credibili. Tra le parole d’ordine “collaborazione”, non solo all’interno delle mura parrocchiali, ma anche con le numerose realtà annicchesi e la stessa Amministrazione. Non è mancato un particolare riferimento alle giovani generazioni, bisognosi «di una presenza autorevole che li sappia incitare, frenare e stimolare al momento giusto».
In chiesa, dopo il saluto liturgico, il vicario zonale ha dato lettura al decreto di nomina del nuovo parroco che, al termine, ha asperso l’assemblea con l’acqua benedetta e incensato la mensa eucaristica.
Quindi Giuseppe Stringhetti, membro del Consiglio per gli affari economici, ha rivolto il saluto ufficiale delle comunità parrocchiali di Annicco e Grontorto al Vescovo e a don Bislenghi. Non è mancato naturalmente un pensiero per don Zangrandi, con riconoscenza «per il lungo e proficuo ministero svolto tra noi». «Saremo al suo fianco – è stato quindi assicurato al nuovo parroco – a costruire insieme il percorso di fede in Cristo. La sua giovane età, accompagnata dall’entusiasmo per una nuova esperienza sacerdotale, porterà vigore all’azione pastorale. Sarà un piacere per noi collaborare e condividere gli istanti di gioia, dolore e preoccupazione, realizzando giorno per giorno la comunione con lei, che ci farà da guida nell’accoglienza del Vangelo e nella testimonianza degli Apostoli e dei Santi». Non è mancata neppure la richiesta, esplicita, di momenti di incontro e dialogo.
Nell’omelia il Vescovo, prendendo spunto dalla pagina evangelica caratterizzata dalla domanda di Gesù “Voi chi dite che io sia?”, ha invitato con forza a non accondiscendere alle opinioni comuni, ma essere veri discepoli che si mettono alla sequela del Maestro.
«Accogliere un parroco – ha quindi precisato mons. Lafranconi – vuol dire riconoscere la nostra comunità cristiana e riconoscere che lui viene con questo ministero, con questo servizio di essere compagno e guida di questa comunità cristiana. Compagno perché anch’egli condivide la stessa fede, perché anch’egli – che non è certamente migliore di Pietro – può avere i suoi abbagli, i suoi modi diversi di pensare il Messia, di pensare il ministero o di pensare la valutazione dei risultati o l’efficacia delle iniziative. Nello stesso tempo, però, è anche guida. Perché il Signore, che l’ha scelto a essere presbitero, dà a lui – come l’ha data a Pietro e ai Dodici – la grazia di essere accompagnato dallo Spirito Santo nella comunione con la Chiesa, per dire la parola vera e giusta. Allora è bello riconoscere che, quando noi accogliamo un nuovo parroco, si riconferma dentro di noi la comunione, la comunità di fede che ripete il proprio desiderio e la propria scelta di essere al seguito di Gesù, di essere discepoli di Gesù: una scelta fondamentale!».
«A volte – ha però messo in guardia il Vescovo – io ho l’impressione che quello che manca nelle nostre comunità è la consapevolezza di essere discepoli! Noi ci arrabattiamo tanto per fare questo o quest’altro, per dire una cosa o avviare un’iniziativa … tutte cose lodevoli, ma ti misuri qualche volta con la tua identità di discepolo? Perché essere discepolo vuol dire che in Gesù e nella sua parola, così come la Chiesa me la trasmette oggi, io riconosco i criteri del mio giudizio, i parametri del mio operare. E quando Gesù mi dice “perdonatevi gli uni gli altri”, sono discepolo di Gesù perché sono disposto a perdonare? E quando Gesù mi dice “non mettere la tua fiducia nei beni e nelle ricchezze, ma nella Provvidenza di Dio”, è vero che io sono così? E quando Gesù mi dice “in ogni povero riconosci la mia presenza, sii disposto ad andargli incontro, ad amarlo, ad accoglierlo e a servirlo”, è così che io ragiono? Se non è così io possono venire a Messa anche dieci volte al giorno, ma non sono discepolo di Gesù, non sono un cristiano!». E ancora: «Non sempre siamo capaci – è vero – di tradurre la scelta di essere discepoli nelle nostre scelte quotidiane pienamente, ma la novità e la nostalgia di questa scelta deve essere permanente dentro di noi! Solo a questa condizione so ritornare sui miei passi quando mi rendo conto di aver sbagliato».
Poi il riferimento al saluto del rappresentante della comunità: «Mi è piaciuto – ha detto il Vescovo – che per ben due volte sia ritornata questa immagine: insieme vogliamo compiere il percorso della fede. Sì, perché la fede un percorso! Un percorso che qualche volta non ci risparmia disagi, cadute e incidenti. È un percorso perché dura tutta la vita! Si tratta di andare dietro a Gesù per tutto il tempo che dura il cammino della nostra vita!».
«In questa circostanza – ha concluso mons. Lafranconi – in cui don Antonio incomincia il suo ministero di parroco qui ad Annicco e Grontorto, mi sembra bello raccogliere dalla parola del vangelo questo messaggio, per riconfermare tutti insieme la decisa volontà di compiere il percorso della fede, con la grazia del Signore e con il sostegno fraterno e autorevole della Chiesa».
Il nuovo parroco, che conclusa l’omelia, da solo ha recitato la professione di fede (il Credo), segno che sarà lui il primo responsabile della diffusione e della difesa dei contenuti della fede nella comunità, alla fine della Messa ha preso la parola per un indirizzo di saluto. Con una precisa consapevolezza: «Nulla avviene per caso!». E qui il nuovo parroco ha evidenziato alcuni segni che casualità non sono. Anzitutto la presenza, su molte case del paese, di santelle dedicata alla Madonna. Poi il fatto che il suo ingresso avvenga nel giorno della festa del Santissimo nome di Maria. E proprio alla Madonna, “Stella del mare”, don Bislenghi ha voluto affidare il proprio ministero e la sua nuova comunità, vedendo nella Vergine la guida per il nuovo cammino da intraprendere. Dopo aver proposto “Stella del mare” di san Bernardo di Chiaravalle, i saluti, con la commozione che ha avuto il sopravvento nel momento rivolto ai fedeli di S. Imerio e di Pizzighettone presenti. Da ultimo un avviso: l’invito per tutti alla messa domenicale del 13 settembre.
Dopo la Messa, animata dalla corale parrocchiale, la firma degli atti ufficiali da parte del Vescovo, del nuovo parroco e di quattro testimoni: Giuseppe Stringhetti e Giuseppe Milanesi, in rappresentanza della parrocchia di Annicco, e Elena Arcari e Pierangelo Violanti per quella di Grontorto.
Il pomeriggio si è quindi concluso con un rinfresco nella vicina Sala della comunità.
Domenica 13 settembre alle 9.15 prima messa del nuovo parroco a Grontorto, nella parrocchiale intitolata a S. Andrea apostolo.
Omelia del Vescovo: mp3 pdf
Saluto del nuovo parroco (mp3)
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Biografia di don Bislenghi
Don Antonio Bislenghi è nato Bozzolo il 20 ottobre 1972 ed è stato ordinato sacerdote il 16 giugno 2001 mentre risiedeva nella parrocchia dei Santi Antonio e Ambrogio in Tornata. È stato vicario a Pizzighettone (2001-2008) e a Sant’Imerio in città (2008-2015). Ora mons. Lafranconi l’ha voluto alla guida delle comunità di Annicco e Grontorto, in sostituzione di don Franco Zangradi, dimessosi per raggiunti limiti d’età.
Saluto del nuovo parroco sul giornalino
Nulla avviene per caso, anzi. La fortuna e la sfortuna non esistono per noi cristiani, tutto è volontà di Dio, tutto segue quell’intreccio meraviglioso che si chiama Storia della Salvezza, in cui i fili della libertà umana e della libertà di Dio tessono una trama meravigliosa. È un ordito misterioso di cui spesso si intravede solo una parte, è l’azione provvidente di Dio.
Giovanni Damasceno affermava: ” La provvidenza consiste nella cura esercitata da Dio nei confronti di ciò che esiste. Essa rappresenta, inoltre, quella volontà divina grazie alla quale ogni cosa è retta da un giusto ordinamento”. In particolare l’azione di Dio vuole guidare gli uomini verso il loro fine ultimo: il Paradiso. San Paolo nella sua Lettera ai Romani scrive: “Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno”. Il piano provvidenziale di Dio non è un gioco sadico o dispotico, ma un amore verso i suoi figli che si fa presenza nella storia per costruire il bene e vincere il male.
È in quest’ottica che desidero leggere l’ufficio di parroco che il Vescovo mi ha affidato tra Voi, non come una questione di fortuna o di sfortuna, ma come la continua realizzazione di un disegno più grande.
Oggi l’essere parroco è fonte di fraintendimento. Negli ultimi decenni la figura stessa del prete è stata impoverita, lo si è pensato come “prete operaio”, come “prete del sociale” oppure da contraltare, lo si è pensato come funzionario liturgico o come uomo in carriera nella Chiesa. Da queste incertezze le comunità cristiane hanno costruito attese e pretese che solamente un superuomo potrebbe in parte soddisfare. Come sempre quando si perde il senso delle parole occorre tornare al loro significato vero: parroco letteralmente significa colui che regge una parrocchia, ma in un secondo significato meno accreditato ma più affascinante è colui che porge e offre. Egli assume un incarico che per sua natura è relazionale, non ci sono parroci senza parrocchiani, egli agisce nella sua comunità in “persona Christi”, la sua missione è incarnare la funzione sacerdotale di Cristo offrendo preghiere a Dio e porgendo la salvezza ai fedeli. È la Chiesa che, a nome di nostro Signore Gesù Cristo, autorizza il sacerdote a compiere la funzione di mediazione, un ponte che collega Dio e il popolo, di modo che la salvezza entri nella storia del mondo attraverso l’azione pastorale della comunità cristiana guidata dal Vescovo e dai parroci, suoi collaboratori. Il parroco è colui che regge, ma al tempo stesso è colui che offre questo dono inestimabile alla comunità credente.
Vorrei condividere con Voi una meditazione che papa Benedetto XVI ha rivolto al clero di Roma il 22 febbraio del 2010 e che in questi giorni mi ha fatto compagnia.
«II sacerdote deve essere dalla parte di Dio, e solamente in Cristo questo bisogno, questa condizione della mediazione è realizzata pienamente. Perciò era necessario questo Mistero; il Figlio di Dio si fa uomo perché ci sia il vero ponte, ci sia la vera mediazione. Gli altri devono avere almeno un’autorizzazione da Dio o, nel caso della Chiesa, il Sacramento, cioè introdurre il nostro essere nell’essere di Cristo, nell’essere divino. Solo con il Sacramento, questo atto divino che ci crea sacerdoti nella comunione con Cristo, possiamo realizzare la nostra missione. E questo mi sembra un primo punto di meditazione per noi: l’importanza del Sacramento. Nessuno si fa sacerdote da se stesso; solo Dio può attirarmi, può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipazione al mistero di Cristo; solo Dio può entrare nella mia vita e prendermi in mano. Questo aspetto del dono, della precedenza divina, dell’azione divina, che noi non possiamo realizzare, questa nostra passività – essere eletti e presi per mano da Dio – è un punto fondamentale nel quale entrare. Dobbiamo ritornare sempre al Sacramento, ritornare a questo dono nel quale Dio mi dà quanto io non potrei mai dare: la partecipazione, la comunione con l’essere divino, col sacerdozio di Cristo. Rendiamo questa realtà anche un fattore pratico della nostra vita: se è così, un sacerdote deve essere realmente un uomo di Dio, deve conoscere Dio da vicino, e lo conosce in comunione con Cristo. Dobbiamo allora vivere questa comunione e la celebrazione della Santa Messa, la preghiera del Breviario, tutta la preghiera personale, sono elementi dell’essere con Dio, dell’essere uomini di Dio, Il nostro essere, la nostra vita, il nostro cuore devono essere fissati in Dio, in questo punto dal quale non dobbiamo uscire, e ciò si realizza, si rafforza giorno per giorno, anche con brevi preghiere nelle quali ci ricolleghiamo con Dio e diventiamo sempre più uomini di Dio, che vivono nella sua comunione e possono così parlare di Dio e guidare a Dio.
L’altro elemento è che il sacerdote deve essere uomo. Uomo in tutti i sensi, cioè deve vivere una vera umanità, un vero umanesimo; deve avere un’educazione, una formazione umana, delle virtù umane; deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore, del Redentore, perché sappiamo che l’essere umano è ferito e la questione di “che cosa sia l’uomo” è oscurata dal fatto del peccato, che ha leso la natura umana fino nelle sue profondità. Così si dice: “ha mentito”, “è umano”; “ha rubato”, “è umano; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia, della prudenza vera, della saggezza. Quindi uscire, con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura per giungere al vero essere umano ad immagine di Dio, è un processo di vita che deve cominciare nella formazione al sacerdozio, ma che deve realizzarsi poi e continuare in tutta la nostra esistenza. Penso che le due cose vadano fondamentalmente insieme: essere di Dio e con Dio ed essere realmente uomo, nel vero senso che ha voluto il creatore plasmando questa creatura che siamo noi…».
Inoltre il Papa emerito aggiunge: “Questa umanità del sacerdote non risponde all’ideale platonico e aristotelico, secondo il quale il vero uomo sarebbe colui che vive solo nella contemplazione della verità, e così è beato, felice, perché ha solo amicizia con le cose belle, con la bellezza divina, ma “i lavori” li fanno altri. Questa è una supposizione, mentre qui si suppone che il sacerdote entri come Cristo nella miseria umana, la porti con sé, vada alle persone sofferenti, se ne occupi, e non solo esteriormente, ma interiormente prenda su di sé, raccolga in se stesso la “passione” del suo tempo, della sua parrocchia, delle persone a lui affidate. Così Cristo ha mostrato il vero umanesimo. Certo il suo cuore è sempre fisso in Dio, vede sempre Dio, intimamente è sempre in colloquio con Lui, ma Egli porta, nello stesso tempo, tutto l’essere, tutta la sofferenza umana entra nella Passione. Parlando, vedendo gli uomini che sono piccoli, senza pastore, Egli soffre con loro e noi sacerdoti non possiamo ritrarci in un Elysium, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo, con l’aiuto di Cristo e in comunione con Lui, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio».
Questa è l’immagine del parroco che sapientemente Benedetto XVI dipinge, non un operatore sociale e nemmeno un funzionario ecclesiastico, ma un uomo di Dio che cerca di portare la sua comunità verso Dio. Venendo da Voi non ho in mente iniziative strabilianti o innovazioni che cambieranno la storia di Annicco o della Chiesa. Il mio piano pastorale sarà solamente cercare di andare verso Dio, cioè di percorrere un pezzo di strada insieme verso il Paradiso.
don Antonio