Padre Bongiovanni, il linguaggio dell’amore nell’Africa dei bambini soldato

A Cristo Re (Cremona) la testimonianza del saveriano originario di Bozzolo, per 50 anni missionario in Sierra Leone

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Fino a che punto può arrivare la crudeltà dell’uomo? Fino a che punto ci si può spingere a ferire un’altra persona? A certe domande è quasi impossibile dare una risposta, ma c’è qualcuno che per tutta la vita ha donato la sua libertà e il suo cuore per difendere e aiutare chi ha sperimentato sulla propria pelle alcune le crudeltà più indicibili. Come padre Vittorio Bongiovanni, missionario saveriano originario di Bozzolo, che all’età di 81 anni non ha ancora smesso di sorridere al pensiero di Gesù, al pensiero di poter essere presente laddove c’è più bisogno della sua presenza. Mercoledì, ospite della parrocchia di Cristo Re, a Cremona, ha raccontato che «in Sierra Leone la lingua ufficiale è l’inglese, ma ci sono ben sedici dialetti da dover imparare per poter comunicare nelle varie tribù.

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Non è certamente facile, ma c’è una lingua che tutti capiscono: quella del volersi bene. Siamo fratelli e sorelle, bisogna iniziare a volerci bene». Il problema principale che affligge la Sierra Leone è «la crudeltà dei ribelli, che si traduce nello sfruttamento dei più piccoli trasformati in soldati. Bambini di terza o quarta elementare costretti a imbracciare un fucile». Morte, disperazione e fede sono i tre elementi che caratterizzano le sua vita nell’emisfero australe. Ma è con nella sua mano un crocifisso, crudelmente privato da braccia e gambe da un soldato ribelle, che ricorda a tutti: «Se vogliamo aiutare qualcuno stiamo aiutando il Signore, e lui è sempre con noi, anche quando non sembra esserci altra speranza».

 

Luca Marca
TeleRadio Cremona Cittanova
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