«Come la scia di una nave», la prima missione ad gentes delle Adoratrici raccontata in un libro

Nei giorni in cui si ricorda la canonizzazione di Francesco Spinelli, la presentazione del libro curato da suor Paola Rizzi che racconta la missione delle Suore Adoratrici in Albania negli anni di guerra

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È stato presentato il 12 ottobre, proprio nei giorni della memoria della Canonizzazione di San Francesco Spinelli, “Come la scia di una nave”, il libro curato da suor Paola Rizzi che racconta le vicende di 11 semplici Suore Adoratrici partite in missione per l’Albania nel lontano 1940, alle porte di una dolorosa guerra, per la prima missione ad gentes del loro Istituto.

«Arriva una mail dall’Albania. Un giovane frate che vive in Albania, chiede alla Segreteria generale conferma del fatto che, in un passato non ben definito, un gruppo di Suore Adoratrici del SS. Sacramento abbia vissuto a Berat. E per dare risposta a fra Paolo Marasco una mattina del gennaio 2019 apriamo l’armadio numero 6 dell’Archivio Storico, dove si conservano i faldoni impolverati delle comunità di Adoratrici già chiuse. Il numero 3 riporta la dicitura “Albania”. Lo slacciamo. Si apre un mondo. Fatto di nomi, di volti, di date, di lettere, di storie, di fede, di angoscia, di guerra, di servizio. Soprattutto fatto di amore fino al dono della vita. Un diario, tre cartellette colme di lettere, alcuni documenti a far crescere, via via che la lettura procede, la consapevolezza di essere di fronte a un tesoro di santità».

Così inizia la presentazione del libro Come la scia di una nave, che racconta la presenza in Albania delle prime Suore Adoratrici missionarie. Salpate da Bari all’inizio di giugno 1940, sono ritornate in Italia dopo l’espulsione di tutti i missionari, da parte del partito comunista appena salito al potere, nel febbraio 1946.

È una storia che parla della fondazione di una missione. Ma è soprattutto la storia di una comunità religiosa che si trova a condividere tutta la presenza in Albania, allora Protettorato italiano, con una vicina di casa che si chiama “guerra”. La guerra con la Grecia, la seconda guerra mondiale, la guerra di espansione e la guerra di difesa. Insomma, sei anni vissuti tra bombe e mitraglie, tra soldati e sparatorie. Eppure sei anni in cui le undici suore Adoratrici hanno donato il loro servizio nel paese di Berat, nel cuore dell’Albania, senza fermarsi mai. Dapprima come maestre nella scuola materna e per il lavoro femminile, poi come infermiere a domicilio e quindi nel grande ospedale militare, che arrivò a ospitare 33.000 malati in 4 mesi, in una struttura predisposta per 1000 malati…

La povertà del luogo, della casa, dei trasporti, del cibo, delle comunicazioni sono altrettanti segni di quell’eroismo proprio di chi sceglie di mettere il Vangelo prima delle proprie sicurezze. Ma il dover fuggire più volte perché le bombe dei nemici erano rivolte proprio alla loro casa, questo è segno di quella disponibilità al martirio che le suore dichiarano a chiare lettere. Anche quando a loro è data la possibilità di lasciare l’Albania, come a tutte le mogli dei militari lì presenti, esse dichiarano in coro: “Noi restiamo”. Sapendo che se il Signore le riterrà degne del martirio, darà loro la grazia di consegnare la vita fino all’atto estremo.

La storia ha un altro epilogo. A gennaio 1946 il partito Comunista firma il decreto di espulsione di tutti gli italiani, primi fra tutti i missionari. Ma prima di imbarcarli alla volta di Brindisi, li terrà internati per 35 giorni, in attesa di mandarli in Siberia… non certo in gita turistica.

La narrazione di suor Franceschilla racconta: «E venne il giorno della partenza. Il 25 febbraio dopo minuziosi controlli alle valigie e la perquisizione personale salimmo sulla nave che ci doveva portare in Italia. Era una piccola nave mercantile chiesta dal S. Padre Pio XII alla Marina mercantile quando seppe che ci avrebbero portato in Siberia. Alle 17 la nave si mosse dal porto. Salutammo la povera Albania cantando la Salve Regina per affidare alla Madonna quella terra e il nostro viaggio».

Arrivarono a Rivolta, in Casa madre l’11 marzo 1946. Le Memorie dell’Istituto ricordano che «La Reverendissima Madre è andata ad accoglierle a Cassano. Sono state quindi ricevute alla porta della chiesa da tutta la comunità ivi convenuta che intona il Benedictus. Le missionarie salgono l’altare e, terminato il canto, il cappellano, Rev. Don Annibale, imparte la benedizione eucaristica. Ringraziamo il Signore che le ha salvate da tanti pericoli».

È la storia di un popolo, raccontata da undici suore che l’hanno condivisa da vicino; non è scritta nei libri di storia, è annotata a mano sul diario della superiora, suor Ausilia.

È la storia di una guerra combattuta dagli uomini ma supportata dalle donne. Dietro, in silenzio, quelle donne curavano, consolavano, pregavano, sostenevano le migliaia di soldati lontani da casa, dalla mamma, dalla moglie.

È la storia di missionari cristiani cattolici, inviati in un paese in cui «le statistiche del 1930 davano il 73% di musulmani, il 27% di ortodossi, nessun cattolico». In cui non c’era alcuna certezza se non la fede incrollabile in Colui che le mandava.

È la storia della Provvidenza all’opera che, come diceva spesso san Francesco Spinelli, “non ci ha mai abbandonati”.

È la storia di religioni diverse che si parlano, si accolgono, si incontrano, come fossero fratelli tutti. Commoventi le pagine in cui le suore pregano il Dio di Gesù Cristo e insieme i bambini pregano Allah, perché le bombe non travolgano case e persone.

È la storia della fraternità che rende “un cuore solo e un’anima sola” e che, se guardata con gli occhi semplici, appare proprio come la forza che salva il mondo. Solo insieme, nel nome dello Spirito che è comunione, le Suore Adoratrici e con loro i frati Conventuali hanno superato le giornate più nere.

Non si può raccontare di più; bisogna leggerlo, a partire dai testi autografi ritrovati, il diario, le cronache, le lettere.

E si scoprirà che è vero quanto papa Francesco, ottant’anni dopo, ha scritto nella Fratelli tutti: «Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde… ma anche il ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene.

Il libro, edito da Ancora, è disponibile in libreria o si può richiedere in Casa Madre all’indirizzo segreteria@suoreadoratrici.it 

 

TeleRadio Cremona Cittanova
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