Mons. Napolioni nella veglia di Pasqua: «Rischiamo di fermarci a un Cristo sepolto e vivere un Cristianesimo che non produce vita»

Durante la solenne celebrazione di sabato 27 marzo il Vescovo ha conferito i sacramenti dell'Iniziazione cristiana a 14 catecumeni

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Per il prima volta il vescovo Antonio Napolioni ha conferito in diocesi i sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Lo ha fatto nella solenne veglia pasquale di sabato 26 marzo, nella quale ha battezzato, cresimato e comunicato 14 catecumeni originari di Albania, Costa d’Avorio, Camerun e Iran. Segno di una «Chiesa viva», ha affermato il Vescovo sottolineato come solo l’incontro con volti e parrocchie ha saputo far nascere il desiderio di entrare a far parte della comunità dei discepoli di Cristo. Per questo mons. Napolioni ha voluto rivolgere un particolare ringraziamento non solo a don Antonio Facchinetti, responsabile diocesano per il Catecumenato, ma anche a tutti i parroci, i catechisti, i garanti e le famiglie che hanno accompagnato il percorso dei catecumeni. «Siete e siamo una Chiesa viva – ha detto il Vescovo – dove Cristo è vivo e parla e chiama e dona la fede a nuovi fratelli e sorelle».

La lunga veglia è iniziata alle 21.30 nel cortile del Palazzo Vescovile dove, nella totale oscurità, è iniziata la liturgia della luce con il Vescovo che prima ha benedetto il fuoco e poi ha preparato il cero, simbolo di Cristo Risorto, dalla cui fiamma sono state accese le candele dei fedeli.

Quindi, in processione verso la Cattedrale, per tre volte il diacono don Francesco Gandioli ha innalzato il grande cero acclamando a Cristo luce del mondo. La terza volta l’ha fatto nella navata centrale, ai piedi dell’altare. Solo allora anche le luci del massimo tempio cittadino sono stata accese. Poi, una volta incensato il cero pasquale, don Gandioli ha cantato l’Exultet, l’antico inno del preconio su musica di don Antonio Parisi.

Ha quindi preso avvio la seconda parte della veglia, quella della liturgia della Parola, ascoltando i sette lunghi brani biblici che hanno ripercorso la storia della salvezza fino al solenne canto del Gloria, che ha di nuovo “sciolto” le campane e inondato di luce la Cattedrale. Poi la lettura dell’epistola di Paolo e il suggestivo annuncio dell’Alleluia con la proclamazione del Vangelo della Risurrezione.

«Moltiplicassimo all’infinito il colore, la musica, i profumi, i segni della festa – ha esordito il Vescovo nell’omelia – per quante sono le cattedrali e le chiese della terra non basterebbe a esprimere lo stupore e la gioia per quello che questa notte custodisce e ci dona. Non solo la memoria di un fatto: Gesù risuscitò dai morti. Ma ciò che quel fatto ha reso possibile nel tempo, fino alla fine dei tempi».

Mons. Napolioni guardando alla Risurrezione ha riflettuto su cosa significa nascere di nuovo. Eppure spesso l’uomo vive atteggiamenti del tutto opposti: «Ancora oggi in nome di Dio, o magari usando come scusa il nome di Dio, – ha ricordato il Vescovo – si uccide, si semina odio. Ancora oggi bestemmiamo Dio in mille modi: non tanto con le labbra, ma con la nostra vita. Profaniamo il tempio di Dio che è un ogni bambino, ogni creatura, il più povero, il più debole». E poi ha proseguito: «Abbiamo le nostre storie, le nostre culture, ma tutti rinasciamo da quell’acqua».

«Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati», ha ricordato ai catecumeni mons. Napolioni che, guardando all’etimologia del termine “puro”, ha proseguito: «Un cuore infuocato non congelato. Dunque non un cuore che, per paura, non tocca la vita, non si sporca, non si compromette. Ma un cuore che, come quello di Gesù, si spacca, si apre e genera la salvezza, la fraternità, la misericordia, il perdono, la speranza. Solo chi si lascia infuocare dallo spirito di Dio fa questa esperienza». Un cuore nuovo, dunque, non a motivo di «un trapianto», ha scherzato il Vescovo, ma a motivo del cambiamento che deriva dall’adesione al Vangelo.

«Voi non avete un cuore di pietra – ha detto ancora – nessuno di noi pensa di averlo. Ma capita di indurirci tutte le volte in cui pensiamo di farcela da soli e assecondiamo i nostri istinti e diventiamo testardi e non dialoghiamo più: in famiglia non ci si capisce più e gli altri sbagliano sempre e crescono tra noi i muri, le divisioni e i conflitti. Diventiamo di pietra! Il cuore di carne che Gesù ci offre è il suo. Non è semplicemente intenerire i nostri sentimenti, ammorbidirci. No, ci dice: Io vivrò in te, tu puoi condividere tutto di me. Certo, passando per la croce, per la via stretta, unendoci alla sua passione, godendo del suo rapporto con il Padre, lasciandoci accendere dal suo stesso spirito».

Poi il riferimento alla terza comunità neocatecumenale di S. Ilario e S. Agata presente con indosso le vesti bianche conferite proprio nei giorni precedenti dal Vescovo. «Alcuni fratelli – ha spiegato mons. Napolioni – indossano una veste bianca perché sono al culmine di un lungo cammino di riscoperta del Battesimo. Siamo pronti a morire e risorgere? Siamo pronti a diventare vivi del Cristo risorto e di un Cristianesimo che, dunque, non possiamo cercare tra i morti?». E ancora: «A volte rischiamo di fermarci a un Cristo sepolto e a vivere un Cristianesimo che non produce vita. Voi, invece, stasera – ha detto ancora rivolto ai catecumeni – ci aiutate a diventare tutti più vivi, più presenti, più palpitanti con la nostra umanità fatta di limiti e di peccati, ma abitata e trasfigurata dal Signore risorto che, non solo ci rigenera nel Battesimo, ma ci nutre continuamente con i Sacramenti, con l’Eucaristia: ci fa diventare il suo corpo, la sua presenza viva. Ecco perché la veglia pasquale è la madre del cammino della Chiesa».

Infine un auspicio: «Mi auguro – per me e per voi e per tutti – che questa celebrazione ci seduca, cioè ci innamori di Cristo, ci porti a Lui, ci unisca a Lui e faccia di noi un segno visibile di Lui risorto. Non avremo il coraggio di dire, come san Paolo, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Forse non riusciremo a dire “Per me vivere è Cristo e morire è un guadagno”. Ma lo Spirito Santo può dilatare il nostro cuore e può far crescere la nostra fede fino a pensieri e sentimenti come questi. Perché ce ne accorgeremo che solo in lui trova senso la nostra vita, solo in Lui vivente noi siamo vivi e immortali».

La celebrazione è proseguita con la liturgia battesimale, aperta dalla chiamata degli eletti da parte di don Facchinetti. Il gruppo più consistente di Cremona: dalla parrocchia di S. Michele Rudina Mecaj, originaria dell’Albania, e Marie Beugre e Franck Dongo, della Costa d’Avorio; così come Carine Yedo Assoma, del Cambonino. Di origini ivoriane anche Sylvestre Yao N’goran di Bonemerse e Joelle Kouassi Ahou e Ange Gouanet Rostan di Piadena. Originari dell’Albania Todi Prendi e Juliana Prendi (di Scandolara Ravara), così come Bardhi Kaci e Eglantina Pjetri Kaci (di Casirate d’Adda) e Fran Biba (di Cassano d’Adda). Da Cassano anche Dominique Annette Naossi Nadia, originaria del Camerun. Originaria di Tehran (Iran) Fariba Zahmatkesh Oladi, di Casalmaggiore.

Dopo il canto delle litanie, la benedizione dell’acqua e la professione di fede, ogni catecumeno, accompagnato dai propri padrini o madrine, si è avvicinato al fonte, posizionato al centro del presbiterio, per ricevere sul capo l’acqua benedetta, che mons. Napolioni ha imposto attingendo l’acqua dal fonte con la propria mano. La consegna della veste bianca da parte del Vescovo e della candela accesa con la fiamma del cero pasquale ai padrini e alle madrine, perché la consegnassero ai neobattezzati, hanno evidenziato la nuova dignità di figli di Dio di questi 14 adulti.

A seguire mons. Napolioni ha amministrato il sacramento della Confermazione.

Dopo la liturgia eucaristica, invece, i nuovi cristiani l’hanno ricevuto la Prima Comunione, sotto forma delle due specie.

Insieme a mons. Napolioni hanno concelebrato il responsabile diocesano del Servizio per il Catecumenato, don Antonio Facchinetti, alcuni dei canonici del Capitolo con il presidente mons. Giuseppe Perotti e diversi altri sacerdoti, tra cui il rettore del Seminario, don Enrico Trevisi, e il direttore spirituale don Primo Margini, il delegato episcopale per la Pastorale, don Irvano Maglia, e i sacerdoti che hanno seguito il cammino dei catecumeni, oltre a don Franco Regonaschi (collaboratore parrocchiale a S. Ilario e S. Agata) e don Pierangelo Pedretti (incardinato nella diocesi di Roma) che insieme agli altri membri della terza comunità del Cammino neocatecumenale di S. Ilario lo scorso 21 marzo a Palazzo Vescovile hanno ricevuto da mons. Napolioni la veste bianca al termine del percorso di riscoperto del Battesimo durato 25 anni.

La solenne veglia pasquale si è conclusa con un particolare saluto alla Madre del Risorto: mentre mons. Napolioni incensava la pala dell’Assunta che troneggia nell’abside, il Coro della Cattedrale (che sotto la direzione del maestro don Graziano Ghisolfi ha accompagnato l’intera liturgia, supportato dal suono dell’organo e di una tromba) ha intonato il “Regina coeli laetare”, il tipico canto mariano del tempo di Pasqua.

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