Opere di misericordia e di speranza: a S. Imerio la testimonianza del cremonese padre Mario Puppo, cappellano dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma

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È stato un incontro carico di emozione e di grande profondità spirituale quello che nel pomeriggio di sabato 15 marzo si è tenuto all’oratorio di Sant’Imerio, a Cremona, con padre Mario Puppo, vincenziano, cremonese di nascita, oggi cappellano dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

Introdotto da don Antonio Bandirali, parroco dell’unità pastorale Sant’Omobono, don Puppo per la sua riflessione è partito dall’immagine evocativa de “L’urlo” del pittore norvegese Edvard Munch, che magistralmente seppe cogliere l’essenza del dramma e dell’angoscia. Il quadro ritrae un uomo che si tiene la testa tra le mani e urla terrorizzato, mentre due persone si allontanano su un ponte. Un’opera in cui l’autore racchiuse il «grande urlo infinito che pervadeva la natura» di un tramonto rosso sangue, cui aveva assistito sull’orlo di un fiordo e che lo aveva scosso profondamente.

«Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho veduto con l’anima», disse in un’altra occasione Munch, maestro dei colori e dei contrasti, che penetrano in profondità ben oltre la vista, raggiungendo le anime di chi si ferma a vedere con lui.

In questo quadro don Puppo vede tutta la sofferenza e l’angoscia dell’umanità. Sangue rosso, in cui il pittore trasfigura il colore intenso del tramonto, che è al tempo stesso morte e vita, dolore e forza, angoscia e speranza.

Sono molti i significati racchiusi nel quadro di Munch, così come i simboli, a partire dal ponte e dalle due persone, che il pittore descrive come gli amici con cui era andato a passeggiare nei pressi del fiordo immortalato nel celebre quadro. Il ponte che unisce, la distanza che divide l’uomo che urla e le persone alle sue spalle, ciò che queste potrebbero fare per calmare la sua paura e lenire la sua sofferenza, se smetteranno di essere spettatori e si faranno parte attiva.

È proprio questo che don Puppo ha testimoniato ai molti presenti nella sala dell’oratorio di Sant’Imerio e che ha accompagnato la sua vita sin da ragazzo, quando con la sorella Marina faceva volontariato sul nostro territorio. Una vita spesa a non voltarsi dall’altra parte di fronte al dolore, cercando di portare speranza a chi è sul punto di perderla.

Nella narrazione si fondono la grande competenza di Puppo nell’arte, che più volte emerge nel racconto sotto forma di opere, artisti, suggestioni, ma traspare limpidissima la sua umanità e la sua grande empatia.

Tra i molti episodi raccontati quello di una mamma che stava perdendo la propria bambina e che don Puppo accompagnò con la sua presenza senza dire nulla, «perché di fronte alla morte di una bambina cosa si può dire?». Quella mamma gli scrisse poi un biglietto, «grazie per i suoi silenzi» e divenne sua amica, perché è soprattutto questo che cerca chi ha bisogno di essere aiutato a sopportare il dolore: una presenza, qualcuno che non volta le spalle e che è lì a portare speranza, a colmare il vuoto tra il ponte dell’urlo di Munch e l’abisso del fiordo.

Durante il suo intervento don Puppo ha coinvolto i presenti in due letture, tra le quali una toccante testimonianza di Margherita Guidacci, una poetessa che ha vissuto gran parte della sua vita con dei problemi di carattere psichiatrico. Anche lei, come Munch, ritenne importante dare voce al grido delle persone che non sono in grado e di farlo, per rendere gli altri partecipi e fargli comprendere che l’esperienza del disagio, della malattia, della sofferenza appartiene a tutti e proprio perché la condividiamo può aprire la porta alla speranza: «E anche se questo grido fosse destinato a morire senza echi, lo dobbiamo innalzare perché di fronte alla verità qualcuno ha gridato dal profondo e allora non sarà perduto questo grido come non è stato perduto quello di Gesù».

Don Puppo ha poi ricordato l’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI del 2007, che definì l’ “agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza”, perché “ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto”.

Un agire che è ciò che ogni giorno il cappellano dell’Ospedale Bambino Gesù mette in atto con i bambini e con i loro genitori e parenti, cercando di trasformare il loro dolore in speranza, la sofferenza in resurrezione, l’urlo di paura in un abbraccio che consola.

È stato un viaggio carico di emozioni e di suggestioni, quello che il padre vincenziano di stanza a Roma ha riportato sul suo territorio di origine per ricordare a tutti che la speranza si costruisce nelle azioni concrete, nella disponibilità alla vicinanza e all’aiuto, nella capacità di mettere in gioco se stessi per dare e ricevere, perché di fronte al dolore degli altri siamo più forti e sappiamo diventare delle rocce che sostengono, dei parapetti che evitano di cadere nel vuoto e di annegare nel fiordo nerissimo dell’angoscia, che terrorizzò il pittore Munch ma regalò all’umanità quel capolavoro senza tempo.

L’incontro ha aperto il ciclo quaresimale – dal titolo “Parole di speranza” – proposto dall’unità pastorale Sant’Omobono nel contesto anche del Giubileo. Il prossimo appuntamento sarà la sera del 20 marzo con una preghiera di adorazione della croce nella chiesa di S. Maria Maddalena (ore 21). Martedì 25 marzo alle 21 nella sala S. Teresa dell’oratorio di S. Imerio don Bruno Bignami svilupperà il tema “Scrutare i segni dei tempi. Speranza nel mondo del lavoro”. Ultimo appuntamento la sera di martedì 1° aprile (sempre alle 21 all’oratorio di S. Imerio) con una tavola rotonda con testimoni di speranza nella Casa S. Omobono e nel carcere di Cremona.

 

Claudio Gagliardini
TeleRadio Cremona Cittanova
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