Padre Gabriele Guarnieri, saveriano in Brasile: «La missione ti cambia, fa scaturire una conversione»

Il missionario in queste settimane in Italia ci ha parlato della sua storia e della sua vocazione, della situazione brasiliana e dei cambiamenti della concezione di missione

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Sarà padre Gabriele Guarnieri, saveriano originario della parrocchia di San Bernardo, a Cremona, da circa venticinque anni in missione in Brasile, di cui gli ultimi cinque a San Paolo, a presiedere la veglia missionaria diocesana in programma sabato 21 ottobre alle 21 in Seminario. Per alcune settimane in Italia, dopo che per sei anni non vi aveva fatto ritorno, sta incontrando amici e comunità sensibilizzando sul tema missionario tra Cremona e Parma, dove attualmente risiede presso la Casa madre dei Saveriani. Abbiamo avuto l’occasione per incontrarlo e porgli alcune domande.

Padre Gabriele, come è nata la sua vocazione?

«Da giovane sono sempre stato coinvolto nella attività della parrocchia. Sono sempre stato un giovane di Chiesa, che amava anche leggere il Vangelo e ascoltare le parole del Papa. Studiavo alle Magistrali e avevo come professore don Giosuè Regonesi, che ha un po’ incentivato il mio discernimento. Poi un ritiro vocazionale a Folgaria, nel 1981, in cui c’era come conferenziere don Maurizio Galli, allora rettore del Seminario, che mi ha fatto capire che prima della professione ci deve essere la vocazione. Da una parte don Giosuè, dall’altra don Maurizio, mi hanno fatto capire che potevo fare un discernimento più serio sulla mia vocazione. Durante l’ultimo anno delle superiori ho poi conosciuto padre Bruno, un missionario savariano. E ho fatto con lui un cammino di un anno. Sono andato e sono rimasto dentro. E sono ancora qua».

In che cosa consiste la tua attività a San Paolo?

«Io sono un padre saveriano missionario. Non sono parroco, sono animatore. Sono padre spirituale e vocazionale, quindi accompagno ragazzi e ragazze nel loro discernimento. Sono anche un padre missionario “onlife“: faccio interviste via social, videocast a tema vocazioni e missioni, in italiano e in portoghese».

Com’è lì la situazione sociale? 

«Qui in Brasile c’è un abisso tra i ricchissimi e i poverissimi: si spera che un po’ diminuisca. Ci sono 50mila omicidi e 40mila morti a causa di incidenti stradali all’anno, problemi gravissimi di droga e femminicidi. Si vivono le stesse cose ormai da anni, con la speranza che questo Governo aiuti maggiormente i più poveri e i più deboli. L’istruzione è pessima, con professori sottopagati che, per mantenersi, si trovano a dover coprire tre turni lavorativi. E sappiamo benissimo che così facendo viene poi a mancare la qualità. Solo una minoranza dei giovani brasiliani riesce a concludere le scuole superiori, anche se negli ultimi anni stanno aumentando gli iscritti alle università. Sono comunque ancora tantissimi quelli che, dopo la scuola media, vanno a lavorare o, alla peggio, finiscono nel giro della droga e della violenza».

Lei è un animatore vocazionale, come è la situazione da questo punto di vista?

«Vocazionalmente parlando, il Brasile sta andando bene nei Seminari diocesani. Stanno aumentando i sacerdoti, ma diminuiscono i religiosi, soprattutto i missionari, che fanno molta fatica e che, secondo me, in futuro si troveranno ancor più in difficoltà. Stanno anche aumentando le “nuove comunità” guidate da fondatori carismatici».

Che situazione sta vivendo attualmente l’ideale missionario?

«La Chiesa è missionaria, quindi siamo tutti missionari. Prima si parlava di missionari che vivevano totalmente per la missione: c’era molto l’idea di distacco dalla patria, con i missionari che partivano e non tornavano più a casa. Adesso, con le nuove vie di comunicazione e i trasporti veloci, è cambiato tutto: il missionario viene richiamato in patria, magari anche a parlare della sua missione. Diciamo che negli ultimi tempi si è persa questa radicalità della missione. Ma esiste un’altra differenza con il passato: nel mondo stanno crescendo moltissimo le Chiese locali. Prima il missionario era “l’eroe” che andava a rappresentare il Vangelo vivente laddove non c’erano comunità cristiane. Prima eravamo noi missionari a costruire le Chiese locali, ora ci inseriamo nelle Chiese locali, che esistono già».

Una missione, dunque, in continuo cambiamento, ma che resta una fiamma da tenere sempre viva. Ha un messaggio da lanciare alle giovani generazioni?

«Sì. Voglio dire loro che la missione ti cambia, fa scaturire una conversione. Se volete fare missione, ricordate che se è vero che è il missionario a fare la missione, allo stesso tempo è altrettanto vero che la missione fa il missionario».

Matteo Cattaneo
TeleRadio Cremona Cittanova
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