La Parola che non passa: commenti ai vangeli domenicali di don Primo Mazzolari

Le Dehoniane hanno pubblicato, a cura di don Pier Luigi Ferrari, una riedizione del libro del parroco di Bozzolo

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Le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno pubblicato una riedizione del libro di don Mazzolari, La parola che non passa, che raccoglie i commenti ai vangeli domenicali e festivi di un intero anno liturgico secondo la disposizione del messale di San Pio V in uso prima del Concilio Vaticano II. L’edizione critica è curata da don Pier Luigi Ferrari su incarico della Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo.

Si tratta di 71 sapide prediche scritte nelle giornate turbinose dell’ultima guerra. In esse emerge tutto il pensiero e la personalità del parroco di Bozzolo, una delle figure più limpide del clero italiano nella prima metà del ‘900, tra gli iniziatori, insieme ad altri testimoni di avanguardia, di quella stagione di modernizzazione della presenza cristiana che maturò alla vigilia del Concilio Vaticano II.

Mazzolari visse la sua esperienza di Chiesa nel “piccolo mondo” di due parrocchie della diocesi di Cremona, Cicognara (1922 al 1932) e Bozzolo (1932 al 1959) sull’argine del Po. Tuttavia le sue prediche attestano una straordinaria apertura verso orizzonti più ampi lasciando percepire una responsabilità di coscienza allargata alla grande famiglia umana. Non è casuale che La Parola che non passa sia indirizzata specialmente ai «parrocchiani di fuori», con il desiderio che occorra loro la “più bella avventura” (titolo di un’altra opera di Mazzolari), quella di ritrovare Cristo fonte di verità. Nelle parole incandescenti di don Primo è sempre la sua coscienza umana e cristiana che si espone, coscienza gravida di situazioni vissute e di possibilità aperte: l’angoscia e le tristezze dell’ora, il crollo di miti effimeri, la tiepidezza di tanti cristiani e insieme la speranza e la passione per l’uomo.

La prima edizione del libro ebbe una vicenda piuttosto travagliata e conobbe lunghi e imprevisti tempi di attesa che crearono a don Primo qualche amarezza in quanto non riusciva a trovare editori a motivo della necessaria autorizzazione di un censore ecclesiastico. Fu Rienzo Colla, un giovane vicentino di grandi aperture, formato alla scuola dello stesso Mazzolari, ad assumersi la responsabilità della pubblicazione, anche contro il veto del suo vescovo Carlo Zinato. Il libro uscì il 4 gennaio 1954, accolto da un coro di recensioni positive. Si disse: «non c’è che Mazzolari che oggi in Italia abbia questa forza»; «È il libro più suo, perché il più evangelico»; una voce laica (L’Europeo) parlò di «confessioni appassionate» e di sintonia «con le inquietudini proprie del nostro tempo».

La pubblicazione precedette di pochi mesi la dura prova che don Primo ha dovuto vivere, quando una lettera del S. Ufficio indirizzata al vescovo di Cremona Danio Bolognini gli toglieva la facoltà di predicare fuori della propria parrocchia e di scrivere o dare interviste su materie sociali. Don Primo accettò, con una eccedenza del cuore, questo e altri dispiaceri che accompagnarono gli ultimi 5 anni della sua vita senza risarcimenti, tranne quello dell’arcivescovo Montini che, infrangendo le disposizioni del Sant’Ufficio, lo invitò a predicare per due settimane la Missione di Milano del 1957, e quello di Giovanni XXIII che, incontrandolo poco prima della morte, lo salutò come «la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana». Papa Francesco Il 20 giugno 2017 ha voluto riconoscere la singolare grandezza di don Primo con un pellegrinaggio alla sua tomba.

In queste prediche si respira un’aria di novità. Ad ogni pagina s’intravede tutto il mondo spirituale di Mazzolari. Colpisce, il fatto che esse non indulgano mai alla dottrina astratta dei manuali di teologia ma abbiano, come prima preoccupazione l’annuncio di Cristo e del suo Vangelo: «il nostro star male – scriveva – è conseguenza dell’aver lavorato senza di Lui». L’aderenza alla Parola di Dio è ciò che più gli sta a cuore, l’elemento innovativo e rivoluzionario che egli esprime con straordinaria incisività. Innamorato della Scrittura, spendeva ore per meditarla, accoglierla e spezzarla con i parrocchiani. Nel suo studio e nella sua proclamazione don Primo investiva l’anima e il cuore: «Il Vangelo – amava dire -, prima di predicarlo, bisogna farlo passare attraverso la nostra povertà».

Se si vuole individuare un motivo che sintetizza le prediche di Mazzolari, non esiterei a parlare di una qualità indubbiamente “profetica”, che egli ha espresso in tanti modi:  parole sferzanti e cariche di passione evangelica che miravano solo a suscitare la fede; il dialogo con la storia del proprio tempo fino a toccare gli interrogativi di fondo dell’uomo; la gioia di annunciare il messaggio cristiano come grazia, come seme e lievito; la convinzione che il Vangelo potesse contribuire in modo determinante a costruire un umanesimo integrale; una voce che coincideva con la grandezza della rivoluzione cristiana. Fu questo il travaglio della sua coscienza e della sua fede profonda ma anche tormentata.

In queste prediche emerge come Mazzolari intuiva che il «regime di cristianità» stava per finire ed era necessario ripensare su basi nuove il rapporto tra Chiesa e società. Non dubitava che il Vangelo costituisse la più grande forza innovativa, a patto che si recuperasse la sua purezza originaria e che la Chiesa si rinnovasse per essere una «città sul monte». Il suo romanzo autobiografico, La pieve sull’argine, può essere considerato una metafora dell’impegno pastorale di Mazzolari. Stare sull’argine, nelle sue intenzioni, non significava costruire, da parte della Chiesa, una difesa di contenimento, quanto piuttosto la possibilità di allungare lo sguardo e di oltrepassare la frontiera per navigare tra le correnti del mondo contemporaneo.

Oggi le intuizioni di questa voce profetica hanno conosciuto una lenta ma sicura maturazione fino alle stimolazioni di papa Francesco per una Chiesa “in uscita”. Siamo certi che le intuizioni di Mazzolari altro non erano che l’evangelico “vino nuovo” capace di spaccare gli otri vecchi di una Chiesa troppo ripiegata su se stessa, una primavera che faceva intravedere feconde stagioni di frutti.

TeleRadio Cremona Cittanova
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