Trieste, realtà multietnica e multireligiosa. Diocesi di 134 chilometri quadrati con 242 mila abitanti

Si deve al vescovo cremonese Rodolfo Morandino de Castello Rebecco, originario di Robecco d'Oglio, la costruzione della chiesa capitolina di San Giusto

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Dopo aver annunciato l’elezione a vescovo di Trieste di don Enrico Trevisi, il vescovo Antonio Napolioni ha voluto tracciare il profilo della diocesi che il sacerdote cremonese guiderà, a seguito della rinuncia al governo pastorale della Diocesi presentata dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi e che Papa Francesco ha accettato nella giornata di giovedì 2 febbraio, sottolineando la caratteristica multietnica e multireligiosa di questo capoluogo di regione e più importante porto commerciale d’Italia.

Una diocesi che si estende su un territorio di soli 134 chilometri quadrati. «Un territorio piccolissimo, meno della metà della diocesi di Crema – ha detto il vescovo Napolioni ai presenti –. Intorno ad una città antica e significativa ci sono solamente altri tre comuni. Quindi sarà un vescovo che potrà andare a piedi ovunque e per questo lo invidio».

Dei 242 mila abitanti della diocesi quasi 200 mila vivono in città. Le parrocchie sono 60, 109 i sacerdoti diocesani, 43 i sacerdoti religiosi, 148 le religiose, 15 i diaconi permanenti e 5 i diaconi in attesa del presbiterato, con una ventina di seminaristi divisi in vari centri di formazione, fra cui il Seminario Redentoris Mater del Cammino neocatecumenale.

 

Profilo storico della diocesi di Trieste

La Diocesi di Trieste ha probabilmente origini molto antiche e faceva parte del Patriarcato di Aquileia, anche se non esistono notizie certe fino al VI secolo.

Le prime memorie di archeologia cristiana risalgono al V secolo. Il primo vescovo noto è Frugifero, intorno alla metà del VI secolo (542-565), all’epoca dell’imperatore Giustiniano I. 

Cuore spirituale della Diocesi è la chiesa cattedrale dedicata a san Giusto, laico cristiano martirizzato il 2 novembre 303 durante la persecuzione di Diocleziano, la cui memoria liturgica ricorre il 3 novembre. La città ha in san Sergio, martire in Siria, il patrono secondario: la sua alabarda, che la tradizione dice miracolosamente piovuta dal cielo durante il martirio, conservata nel tesoro della Cattedrale, è diventata l’emblema della città.

Inizialmente suffraganea del patriarcato di Aquileia, all’epoca dello scisma dei Tre Capitoli del 579, avendo aderito allo scisma, entrò a far parte della giurisdizione del patriarcato di Grado. Il vescovo Firmino abiurò lo scisma e per questo motivo ricevette delle lettere di lode e di approvazione da parte di Gregorio Magno.

Tra il tardo impero e l’alto medioevo il territorio diocesano si ridusse per l’erezione delle diocesi di Cittanova, di Pedena e di Capodistria. A partire dall’anno 948 i vescovi ottennero il potere temporale dal re Lotario II che concesse l’indipendenza della diocesi dalla corona, per il territorio fino a tre miglia fuori dalle mura cittadine; vi rinunceranno formalmente nel 1236, anche se le lotte con il Comune continueranno nel corso del Trecento.

Nel 1180 il patriarca di Grado rinunciò alla giurisdizione metropolitica sulle sedi istriane e giuliane, e così Trieste divenne nuovamente suffraganea del patriarcato di Aquileia. Il vescovo Ulrico De Portis (metà del XIII secolo) vendette al comune di Trieste il diritto all’elezione dei giudici, il diritto alla decima ed il diritto di battere moneta. Alla fine del secolo il vescovo Brissa de Toppo concluse il periodo del potere temporale dei vescovi vendendo per 200 pezzi d’argento i rimanenti diritti politici.

Si deve al vescovo cremonese Rodolfo Morandino de Castello Rebecco, originario di Robecco d’Oglio, la costruzione della chiesa capitolina di san Giusto.Per tutto il Medioevo il diritto di elezione del vescovo spetta al capitolo della cattedrale; nel 1459 il diritto di elezione viene conferito all’imperatore.

Nel Cinquecento a Trieste si diffusero le idee del luteranesimo, ma dopo il concilio di Trento la diocesi rientrò pienamente nell’ortodossia cattolica, grazie all’opera del vescovo Nicolò Coret (1575-1591), temibile avversario dei luterani, e all’apostolato dei Cappuccini e dei Gesuiti, presenti rispettivamente dal 1617 e dal 1619.

La storia della città è profondamente legata a quella dell’Impero asburgico che, nel 1719, la fece diventare “porto franco”. Ebbe così un periodo di grande sviluppo demografico, economico e culturale. Iniziarono presto a insediarsi in città fedeli di molte altre religioni: ebrei, greco e serbo ortodossi, luterani, valdesi…

In Diocesi è radicata nel tempo la presenza di fedeli di lingua slovena. Dal 1830 al 1977, infatti, la Diocesi si estendeva sino al territorio di Capodistria e comprendeva anche parte della Dalmazia.

Nel 1784 la diocesi di Trieste subì numerose cessioni territoriali allo scopo di farne coincidere il territorio con i confini politici. Porzioni del territorio diocesano triestino passarono alle diocesi di Cittanova, di Capodistria, di Parenzo e di Lubiana; d’altro canto incorporò porzioni dell’Istria che appartenevano alle diocesi di Parenzo e Pola e la gola di Prosecco, che apparteneva all’arcidiocesi di Gorizia.

L’8 marzo 1788 la diocesi fu soppressa in virtù della bolla Super specula di papa Pio VI ed il suo territorio incorporato in quello di Gradisca, eretta il 19 agosto dello stesso anno. Tuttavia, dopo soli tre anni, il 12 settembre 1791 fu ripristinata con la bolla Ad supremum del medesimo pontefice e resa suffraganea dell’arcidiocesi di Lubiana; la diocesi di Pedena, anch’essa soppressa nel 1788, rimase incorporata nel territorio triestino. Il 19 agosto 1807 divenne immediatamente soggetta alla Santa Sede.

Il 30 giugno 1828 in virtù della bolla Locum beati Petri di papa Leone XII le diocesi di Trieste e di Capodistria furono unite aeque principaliter; contestualmente fu soppressa la diocesi di Cittanova ed incorporata in quella di Trieste. Due anni dopo, il 27 luglio 1830, divenne nuovamente suffraganea dell’arcidiocesi di Gorizia per effetto della bolla Insuper eminenti Apostolicae dignitatis di papa Pio VIII.

Dal 1867 fino al collasso dell’impero austro-ungarico i vescovi di Trieste sedettero come membri della Camera dei signori d’Austria, il senato imperiale. Nel 1919 il vescovo Andrej Karlin, sloveno, si dimise a seguito di un’aggressione da parte di un gruppo di irredentisti. Nello stesso anno sulla cattedra triestina siederà un vescovo italiano, dopo quasi novant’anni di episcopati sloveni, tedeschi e croati.

Il 25 aprile 1925 cedette una porzione di territorio a vantaggio dell’erezione della diocesi di Fiume; un’altra porzione di territorio fu ceduta a Fiume nel 1934. In compenso, il 20 febbraio 1932 in seguito alla bolla Quo Christi fideles di papa Pio XI incorporò il decanato di Postumia, che era appartenuto alla diocesi di Lubiana.

Il vescovo Luigi Fogar, per la sua opposizione al regime fascista, dovette dare le dimissioni nel 1936. Dopo la seconda guerra mondiale, a seguito del trattato di pace del 10 febbraio 1947, una larga parte del territorio diocesano si venne a trovare in territorio jugoslavo; furono perciò erette due separate amministrazioni apostoliche per la zona in territorio sloveno e per quella in territorio croato.

Negli anni di sconvolgimenti profondi, tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, maturarono e agirono nella cultura cittadina e nella comunità ecclesiale personalità di eccezionale rilievo, quali il beato Francesco Bonifacio, il venerabile Marcello Labor e il servo di Dio Jakob Ukmar, quando, nella cupa atmosfera del nazionalismo fanatico, toccò ai vescovi essere ponte tra sacerdoti e fedeli, divisi per nazionalità e per idee politiche.

Nel difficile e teso clima del dopoguerra il vescovo Antonio Santin subì una violenta aggressione a Capodistria nel giugno del 1947; la Congregazione Concistoriale dovette intervenire ufficialmente ricordando che a norma del diritto canonico coloro che commettevano queste violenze sarebbero incorsi nella scomunica. Nel 1958 la diocesi di Trieste si ampliò con l’acquisizione di piccole porzioni di territorio dall’arcidiocesi di Gorizia.

Il 17 ottobre 1977, due anni dopo il trattato di Osimo, in forza della bolla Prioribus saeculi di papa Paolo VI, le diocesi di Trieste e di Capodistria furono separate e rese autonome; contestualmente vennero introdotte delle modifiche territoriali per far coincidere i territori delle due diocesi con quelli degli Stati.

Va riconosciuto al vescovo Antonio Santin, costretto a subire la mutilazione della diocesi, il merito della ricostruzione morale e materiale di comunità e di chiese dopo l’azione devastante della seconda guerra mondiale e della lotta civile, qui scatenatasi più violenta che altrove. Al vescovo Santin si susseguirono alla guida della diocesi mons. Bellomi, mons. Ravignani e mons. Crepaldi.

TeleRadio Cremona Cittanova
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