Storie di accoglienza, quando l’incontro con l’altro è il miglior manifesto politico

Tre testimonianze in Comune nella serata organizzata dal Centro Culturale Sant'Omobono. Ziggy Weldeslassie che racconta il viaggio dall'Eritrea all'Europa tra deserto, prigioni e il Mediterraneo e le esperienze della Fattoria della Carità di Cortetano e delle piccole suore della Carità dell’Assunzione

image_pdfimage_print

“Il miglior manifesto elettorale per un politico è la realtà”. Con questa frase si è aperto ieri sera, nella cornice della Sala Quadri del Comune di Cremona, il secondo incontro proposto alla città dal Centro Culturale S. Omobono in vista delle elezioni amministrative. “E’ il miglior manifesto”, ha spiegato il moderatore Cristiano Guarneri, “perché l’esperienza e una vita in azione valgono più di tanti discorsi”. Il tema della serata non era semplice: accoglienza dei migranti. In un clima politico inasprito, con tensioni sociali evidenti in tutto il Paese, trattare un argomento simile sembrerebbe da pazzi. Invece non lo è stato.

“Il mare di fronte”, la storia di Ziggy

In sala cala il silenzio quando Ziggy (soprannome di Tsegehans Weldeslassie) racconta la sua storia. Eritreo, nato e vissuto ad Asmara, studia matematica. Nel 1991, come tanti eritrei aveva salutato con gioia la liberazione del suo Paese dal giogo dell’Etiopia di Menghistu, l’ingombrante vicino che l’aveva occupata trent’anni prima. Con il riconoscimento dell’indipendenza nel 1993 da parte della comunità internazionale sembrava aprirsi una nuova era per il piccolo Stato del Corno d’Africa.

Pura illusione: il presidente Isaias Afewerki, da allora al potere, instaura un sistema a partito unico e, di fatto, una dittatura militare. Poco prima di laurearsi la vita di Ziggy si alterna tra lezioni impartite e addestramento nell’esercito, obbligatorio per tutti (maschi e femmine) e dalla durata imprecisata (“Cinque anni, quindici anni… nessuno lo sapeva”). Ma la repressione governativa è cieca e colpisce duro. Nel 1998 tutti i media indipendenti vengono chiusi. Le porte della prigione si aprono invece per chiunque venga considerato dissente: politici, giornalisti, seguaci di religioni non autorizzate. Anche per Ziggy.

“Ho passato sei mesi in carcere. Mentre ero lì, continuavo solo a pensare che un Paese che fa soffrire il suo popolo non poteva più essere casa mia”. Nel 2007 diserta l’esercito e fugge. Superato di nascosto il confine con il Sudan, trova ad attenderlo i trafficanti di esseri umani. Racconta dei 21 giorni passati nel deserto in condizioni pietose, con i cadaveri di chi non ce l’aveva fatta nei viaggi precedenti ormai semi-sepolti dalla sabbia. Ma la prova più dura deve ancora arrivare.

In Libia i trafficanti rubano al giovane ragazzo e ai suoi sventurati compagni il denaro necessario per la traversata in mare, poi li denunciano alla polizia. Qualcuno finisce in prigione, Ziggy si nasconde a Tripoli per sette mesi e infine il 30 settembre, giorno del suo compleanno, si imbarca su uno dei barconi che solcano ogni giorno il Mediterraneo. Il gommone rischia di affondare, ma la Guardia Costiera italiana lo soccorre. “E’ stato il giorno più bello della mia vita”.

Non cercava l’Italia, Ziggy. Puntava all’Inghilterra, ma le leggi europee lo inchiodano al Paese di primo arrivo. Un Paese dove all’inizio non si sente accolto. “Dormivo per strada, mangiavo nei centri di assistenza, ma non lavoravo, non avevo niente da fare. Mi sentivo inutile”.

Finché un giorno non si imbatte nel Progetto Arca. E la sua vita cambia. Oggi lavora come mediatore culturale all’interno di un centro di accoglienza. “Questo non è un lavoro che si fa per i soldi, lo faccio perché mi sento utile, anche solo quando serve tradurre ai miei compaesani cose banali. Quando sono arrivato a Lampedusa, se qualcuno avesse parlato la mia lingua sarebbe stato un grande aiuto”.

Non aggiunge altro Ziggy. Niente fronzoli, zero retorica. Solo la storia di una vita vissuta che ricorda a ciascuno di noi che, in fondo, “l’altro” ha nel cuore gli stessi desideri di ciascuno.

Una bicicletta per ricominciare: l’esperienza della Fattoria della Carità

Lo ha raccontato bene anche Mattia Ferrari, educatore e responsabile della Fattoria della carità di Cortetano. La struttura, che oggi accoglie circa una quindicina di ragazzi, ha escogitato un metodo semplice, ma infallibile: l’uso della bicicletta. “Coi ragazzi ogni anno percorriamo un pezzo della via Francigena con l’obiettivo di arrivare a Roma. A volte ci riusciamo, altre no. Ma è la strada che importa”.

Si pedala perché questa è la metafora più bella della vita: una vita che chiede di essere impugnata come un manubrio perché possa seguire la giusta direzione e che ha bisogno di gambe allenate per poter procedere sicura. E, sulla strada, accadono cose impensate. Come la volta in cui a uno dei ragazzi si rompe la catena della bici, proprio mentre il gruppo sta facendo la Cisa. “Mattia, la catena”, dice il ragazzo. L’educatore lo invita a raggiungerlo per valutare i danni. Ma il ragazzo insiste: “Mattia vieni qui. Vieni qui”. Un po’ scocciato l’educatore torna indietro e arriva dal ragazzo. “Mattia guarda, ci sono le fragoline”.

“Era giugno, un caldo pazzesco. Ogni ragazzo ha disposizione 20 euro al giorno per mangiare bere dormire e sistemare la bici. Deve gestirli. E lui cosa vede? Le fragoline! E ci chiama perché tutti possiamo gustarle. Insomma, la rottura della catena era diventata una possibilità”.

“Nella carità, la reciprocità”: le piccole suore della Carità dell’Assunzione

A chiudere una serata densa, il commovente racconto di suor Cristina Bertola, delle piccole suore della Carità dell’Assunzione. La congregazione, nata dal genio umano di due grandi sacerdoti (padre Etienne Pernet e don Luigi Giussani), conta circa 200 suore e opera nei quartieri più disagiati di Milano, Napoli, Torino aiutando famiglie e ragazzi su diversi fronti: aiuto allo studio, aiuti economici, accompagnamento nella malattia o nella ricerca di lavoro.

Suor Cristina vive a Corvetto, una delle zone più degradate della città meneghina. Parla a bassa voce mentre racconta delle centinaia di ragazzi – perlopiù stranieri – che incontrano oggi con il doposcuola, delle famiglie che accompagnano nel bisogno “per riconoscere poi che ciò che desiderano loro è la stessa cosa che vogliamo noi: essere felici”. Come durante l’annuale tombolata organizzata in convento. “Avevamo chiesto a una mamma egiziana, molto povera, di fare dei biscotti per tutti. Glieli avremmo pagati. All’ora fissata, lei arriva con tutta la famiglia e con una montagna di biscotti. Ma lei e il marito rifiutano di essere pagati. “E’ così tanto quello che ci avete dato”, dicono alle suorine, “che questo è il minimo. Avete insegnato ai nostri ragazzi una lingua, li aiutate a studiare, ci accompagnate. Questi biscotti sono il nostro grazie”.

“E’ la reciprocità della carità”, conclude suor Cristina. La dimostrazione che il bene genera bene e che una vita donata e spesa per l’altro non è mai una vita persa.

Così le storie di Ziggy, dei ragazzi di Cortetano e di queste coraggiose suore “fanno” politica. Perché dicono bene – ha concluso Guarneri – “di un impatto con la realtà, di una trama di rapporti che aiuta a cogliere il senso della realtà stessa e il cui unico collante è la carità”.

Facebooktwittermail