Rieducazione e reinserimento, mai marginalità. All’Istituto Romani una tavola rotonda sulla giustizia riparativa

L'incontro, promosso dalle Acli di Casalmaggiore nell'ambito del Festival dei Diritti

image_pdfimage_print

Anche il Circolo Acli di Casalmaggiore ha partecipato al Festival dei Diritti 2024, promosso da Centro Servizi al Volontariato Lombardia Sud ETS nelle province di Cremona, Lodi, Pavia e Mantova, proponendo tre incontri di approfondimento sul tema delle carceri e della giustizia riparativa.

Il primo si è svolto all’Istituto Romani di Casalmaggiore. Professori e studenti della scuola si sono raccolti nel tardo pomeriggio di giovedì 14 novembre in aula magna per ascoltare gli interventi di cinque esperte che vivono ogni giorno la realtà che si nasconde dietro alla vita di un detenuto. Tra i relatori la direttrice della Casa Circondariale di Cremona Rossella Padula, Marzia Tosi e Laura Gagliardi dell’Associazione Carcere e Territorio di Brescia, Francesca Salucci della Cooperativa di Bessimo e Mara Sperati della Cooperativa Nazareth. L’incontro è stato organizzato e presentato da Sara Pisani, presidente del Circolo Acli di Casalmaggiore e docente di Religione nello stesso Istituto Romani.

Quella delle carceri è una realtà percepita spesso come lontana e sono poche le occasioni per raccontarla superando pregiudizi e luoghi comuni. Per questo l’occasione di parlarne all’interno di una scuola, ad una platea di studenti, è particolarmente preziosa.  I relatori hanno sviluppato i propri interventi andando a delineare le iniziative che le associazioni per le quali lavorano introducono nei penitenziari e nelle comunità per costruire con il detenuto una opportunità di riallacciarsi al tessuto sociale dal quale, per un gesto o un momento di debolezza, è stato allontanato.

«Scuola e carcere sono due realtà che spesso collaborano – ha spiegato Rossella Padula facendo riferimento a progetti, spesso di natura sportiva, che mettono in contatto gli studenti con i detenuti – e questo ci fa capire che come l’istruzione, anche la rieducazione è un valore di interesse comune». E ancora: «La pena non deve mai essere disumana, perché il valore che muove gli operatori carcerari, così come le associazioni, è quello della fiducia nelle persone e nella capacità di riscatto».

E proprio le associazioni citate da Padula quotidianamente si spendono per il riscatto dei carcerati. Ne è un esempio Carcere e Territorio di Brescia, che nella sua missione si affianca al UEPE (ufficio esecuzione penale esterna) per garantire pene alternative a chi ne è meritevole. Come ha spiegato Marzia Tosi, «esistono misure penali alternative esterne al carcere, che coinvolgono il territorio. Noi pensiamo che il reato sia soltanto un comportamento, e non rappresenta chi lo ha compiuto, per questo valorizziamo aspetti di recupero e responsabilizzazione che poi si traducono in coesione sociale. In caso di reati minori, in fase processuale, se l’imputato viene dichiarato idoneo è possibile “congelare” il processo, per essere messi alla prova, adempiendo una serie di doveri per dimostrare di essere cittadini responsabili».

Ha aggiunto la psicologa Laura Gagliardi, anche lei dell’associazione Carcere e Territorio: «Più che giustizia riparativa, la nostra associazione si occupa di cultura riparativa. È un argomento molto più vasto che cerca di ricucire il patto sociale spezzato con un reato. In questo modo si ritorna ad essere parte integrante della società, e non cittadini di serie b relegati ai margini». L’idea della cultura riparativa si è già concretizzata in diverse iniziative, una delle più significative è “Un amico fra le sbarre”, progetto nel quale un detenuto inizia uno scambio epistolare con una classe di studenti. Questi ultimi fanno domande al detenuto che racconta della sua esperienza e della sua vita, quindi una misura non solo di natura rieducativa, ma anche preventiva.

Francesca Salucci ha voluto fornire agli studenti un nuovo modo di vedere i detenuti, ha infatti ricordato che «chi sta in carcere, prima di essere un detenuto è un papà, è un figlio, un fratello e un lavoratore, non è solo un delinquente. Alla luce di questi elementi, la Cooperativa di Bessimo si occupa del progetto Restart». Il progetto, che proprio nel pomeriggio di giovedì ha compito due anni di attività, si impegna a strutturare percorsi di vita che non si limitano alla vita carceraria, ma anche a quella che si intraprende nella comunità una volta usciti. Salucci ha infatti spiegato che «non possiamo pensare, una volta terminata la pena, di abbandonare chi esce dal carcere. Una volta all’esterno è necessario creare un percorso che aiuti a ritornare a vivere nella società, trovando un lavoro e un luogo nel quale vivere».

Per Cooperativa Nazareth è intervenuta Mara Sperati, che in più di un’occasione ha ribadito che «il punto fondamentale rimane l’incontro. Stabilire un fronte comune di condivisione permette di pensare ad una vita, una volta usciti, diversa da quella che si aveva prima. Questa volta bisogna agire diversamente, nella consapevolezza che prima qualcosa si è rotto». E ancora: «Cerchiamo di attivare dei ragionamenti che portano il detenuto a reinventarsi, a pensare e capire cosa si vuole essere una volta usciti dal carcere».

I prossimi due appuntamenti si terranno venerdì 22 novembre alle ore 21 presso l’auditorium Giovanni Paolo II dell’oratorio Maffei, per un incontro dal titolo Dal carcere: come promuovere la persona, e sabato 23 alle 10 proprio all’interno della Casa circondariale di Cremona, in Via Palosca 2, per Freed un time. Tempo liberato. Dalla Casa Circondariale di Cremona alla comunità.

Luca Marca
TeleRadio Cremona Cittanova
condividi su