Intorno all’opera/10 – Cena in Emmaus

L'intensità di Caravaggio nel riconoscimento del Signore

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La Cena in Emmaus, è considerata la sintesi emotiva del linguaggio intenso di Caravaggio, in realtà sono due le opere che il Merisi dipinge, la più famosa è certamente quella conservata a Londra, dove i gesti sono enfatizzati. Il momento che Caravaggio rappresenta è l’attimo nel quale i due pellegrini comprendono la vera identità del terzo viandante, tanto che uno allarga le braccia, e non solo per accentuare la profondità prospettica del dipinto, ma per alludere alla croce, mentre l’altro discepolo sulla sinistra, che con un gesto di foga, sposta la seggiola sulla quale è seduto sembra rompere la tela con il gomito, tanto che anche la sua giubba si lacera.

Preferisco portare alla nostra attenzione l’altro dipinto, conservato nella Pinacoteca milanese di Brera, opera di un Caravaggio maturo, pieno di sofferenza oltre che di esperienze negative più che positive della vita vissuta. Qui c’è una scena ancora più essenziale, persino la tavola è ridotta al minino, non c’è più la canestra di frutta appoggiata acrobaticamente sull’orlo del tavolo in procinto di cadere e che ricorda la canestra dell’Ambrosiana, qui c’è solo quello che serve, null’altro. Un tozzo di pane una brocca di vino, un piatto con delle erbe amare. È la povera cena dei viandanti, arrivati troppo tardi alla locanda, quando la cucina ormai è chiusa. Unica intrusa una vecchia serva rugosa, che tiene un vassoio con un pezzo di carne arrostita, sembra un costato.

Mi piace soffermarmi ad osservare gli sguardi degli astanti, tutti, Gesù compreso e i loro gesti. L’oste, il più vicino, ma anche il più lontano nel comprendere. Con quella posa, la mano alla cintura per nulla sorpreso, assente e incapace di cogliere nel gesto di Cristo il significato dell’Eucarestia che sta celebrando, ma non per questo rischia di dissacrare l’evento, manco fosse un involontario carabiniere intruso. Lui non lo riconobbe e basta.

I due discepoli: quello sulla destra deve tenersi con tutte e due le mani ai bordi del tavolo diventato mensa, forse si sta per alzare, o meglio ancora per inginocchiarsi, la fronte corrugata e quelle sopracciglia inarcate mostrano nel migliore dei modi la meraviglia e lo stupore del cominciare a riconoscere, del vedere veramente, del capire chi ha davanti, seduto alla sua stessa tavola. Ma il tutto in modo composto; uomo rozzo e sporco, ma che ha un sussulto delicatissimo di stridente dolcezza.

L’altro, quello che ci da le spalle, il credente seduto nel banco davanti a noi in chiesa e che non vediamo in volto. Lui ha capito, allarga le braccia, che ben ci fa capire cosa pensa. Tra le sue mani il pane appena benedetto da Cristo.

E poi Gesù, un atteggiamento benedicente che ha il sapore della massima riservatezza, della assoluta discrezionalità, della minima invadenza. Un gesto dolcissimo, contenuto, quasi riservato. Già riservato ai soli che possono capire, i due compagni di viaggio. Lo sguardo abbassato, concentrato. La mano sinistra appoggiata alla mesa, la stessa mensa che il primo discepolo affranca vigorosamente, le due mani sembrano quasi toccarsi, allora si poteva senza sospetto alcuno di contagio, anzi da li forse passa il vero contagio, quello della fede che illumina una notte ancora buia e lunga che circonda gli uomini presenti nell’osteria, ma che non può spaventare la corsa frenetica che i due di lì a poco faranno per tornare dai fratelli, per dire come lo avevano riconosciuto dello spezzare il pane. Secondo Philippe Daverio la linea che caratterizza Caravaggio è la “pulsione intima” ossia un sentimento messo in scena come in uno spettacolo teatrale. Per il professore le opere dell’artista di origini bergamasca sono capaci di esprimere la perfetta osservazione della realtà. Queste sono le Eucarestie che dovremmo vivere.

don Gianluca Gaiardi

incaricato diocesano per i Beni Culturali

TeleRadio Cremona Cittanova
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