Il Vescovo: «È possibile diventare santi e seguire Gesù, purché noi non mettiamo in archivio la Pasqua»

Nella mattinata di domenica 21 aprile mons. Napolioni ha presieduto in Cattedrale il solenne pontificale di Pasqua

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«Chiamati a diventare santi, a diventare veri cristiani, a diventare uomini e donne delle beatitudini, a diventare risorti». Questo l’augurio e insieme l’invito rivolto dal vescovo Antonio Napolioni nella solenne Messa pontificale di Pasqua, presieduta nella mattinata di domenica 21 aprile in Cattedrale. Una celebrazione iniziata con l’aspersione con l’acqua benedetta nella veglia pasquale, nella memoria del Battesimo, e conclusa con la benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria, rinnovando la grazia divina.

«Siamo quelli del giorno di Pasqua», ha esordito il Vescovo nell’omelia, usando un particolare termine, «pasqualini»: «Io voglio che questo nome – ha detto – sia il mio e di tutti i miei fratelli, sia la nostra vera identità, 365 giorni all’anno: vivere la Pasqua, custodire la Pasqua, la coscienza di ciò che il Signore ha fatto per noi e di noi. Ci ha chiamato a essere suoi amici – siamo quelli di Gesù, con Gesù – ma nello stesso tempo ha corso il rischio della nostra libertà, del nostro capriccio, della nostra incostanza, della nostra miseria, del nostro peccato, tanto da farci riconoscere anche in quelli senza e contro Gesù».

Al centro di questa giornata l’annuncio della Risurrezione, che «rimette in moto la vita!», ha ricordato il Vescovo, usando l’immagine del Risorto che spezza il pane tra i discepoli di Emmaus, per poi scomparire, cioè «per affidarsi totalmente alla Chiesa nascente nei segni umili e potentissimi dei Sacramenti».

Ma che cosa porta in ciascuno la Pasqua? Anche quella di quest’anno? Se lo è chiesto mons. Napolioni, che ha proseguito: «Oggi noi che cosa facciamo di questa identità ritrovata? La Pasqua ci ha detto chi siamo, quanto siamo amati da Dio, quanto Egli è fedele al suo progetto di salvezza. Che cosa dobbiamo fare?». La risposta l’ha data citando i Padri della Chiesa: «Diventa quello che sei!». In altre parole il compito è quello di «Portare la nostra vita, la nostra identità e la nostra persona a contatto con il mondo, per il quale siamo stati messi al mondo. Per trasformare il mondo in Regno di Dio con Gesù. Per essere operatori di giustizia, di pace e di bene. Nella famiglia e in tutti i contesti in cui ciascuno spende se stesso, minuto per minuto. Siamo chiamati a diventare santi, a diventare veri cristiani, a diventare uomini e donne delle beatitudini, a diventare risorti».

Mons. Napolioni ha ricordato quindi come «La buona notizia di oggi non è soltanto l’annuncio di un premio eterno rispetto alla sofferenza terrena, ma l’inizio di un lavorìo dello Spirito che permette a ciascuno di non sentirsi più solo, abbandonato, alle prese con un’impresa impossibile». E ha subito precisato: «È possibile diventare santi e seguire Gesù, purché noi non mettiamo in archivio la Pasqua, purché questo ritmo di vita-morte-risurrezione segni tutte le nostre esperienze umane».

Perché la morte, anche se vinta, non è stata tolta: è stata trasformata. «Affinché la morte – non solo del corpo ma prima ancora del nostro io, della nostra voglia di affermarci, delle nostre idee strampalate, della nostra fatica di assomigliare davvero a Gesù per il quale e nel quale siamo stati pensati da Dio – diventi il solco nel quale fiorisce la vita. È la legge della natura! Perché allora non dovrebbe essere la legge degli uomini e delle donne, dei figli di Dio?». Non per lasciare che le stagioni facciano il proprio corso, ma interpretando il proprio posto «nel giardino di Dio».

Infine il riferimento al salmo Salmo (117), nel passaggio: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. «Che ne dite di tornare a casa con questo programma?», ha detto mons. Napolioni. «Non morirò solo se morirò, solo se mi donerò, solo se non mi tirerò indietro nel momento della croce». Dunque «Si tratta di spenderci secondo i suggerimenti dello Spirito, secondo segni dei tempi, secondo la volontà di Dio. Che Cristo Gesù ha fatto con tutto se stesso, da vivo, da morto e da risorto. E rende capaci anche noi di percorrere la stessa via, non ce n’è un’altra».

«Come dice il Papa – ha quindi auspicato, concludendo l’omelia – siate tutti predicatori del Vangelo, con la vita e, se necessario, con la parola. Tornando a casa, si veda che questa Messa non era una Messa qualsiasi, che il nostro essere qui il giorno di Pasqua non è un rito che si ripete, ma è un dono che ci è stato fatto, che abbiamo accolto e che spartiremo con le persone che amiamo».

La Messa di Pasqua, concelebrata dai canonici del Capitolo e servita dal diacono Arrigo Duranti, è stata animata con il canto dal Coro della Cattedrale, supportato all’organo dal maestro Fausto Caporali e da un quartetto di ottoni guidato dal maestro Giovanni Grandi, il tutto sotto la direzione di don Graziano Ghisolfi. Come per le altre celebrazioni della Settimana Santa I seminaristi diocesani hanno effettuato il servizio liturgico coordinati dal cerimoniere don Flavio Meani.

 

 

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