«Cara terra non è solo l’analisi di un piccolo mondo antico» da parte di un sacerdote «contadino nell’animo»; così come «chiave di evangelizzazione» è la relazione tra i lavoratori e la terra e le riflessioni da essa scaturite. Per don Bruno Bignami è «la prospettiva di un’acquisizione di qualcosa che è parte integrante di una spiritualità che abbiamo rischiato di perdere e che oggi, invece, è essenziale se vogliamo sopravvivere dentro l’epoca della crisi ecologica»: ovvero «tra l’abitare e possedere il terreno».
Il commento alla raccolta postuma di don Mazzolari da parte del sacerdote cremonese postulatore della causa di beatificazione di don Primo e direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, ha chiuso nel pomeriggio di domenica 16 giugno a Bozzolo la quinta edizione della Tre giorni Mazzolariana, rassegna dedicata al pensiero dell’illustre parroco di Bozzolo.
Organizzata dall’associazione Isacco, con il patrocinio del Comune, della Parrocchia, della Fondazione “Don Primo Mazzolari” e con il contributo della Fondazione Banca Agricola Mantovana, la manifestazione si è conclusa proprio analizzando le riflessioni espresse dal sacerdote bozzolese dagli anni Trenta agli anni Cinquanta e raccolte, dopo la sua morte, sul tema del rapporto tra il mondo agricolo e la terra.
Don Bignami ha riepilogato l’evoluzione del pensiero mazzolariano su una dimensione così vicina a lui, sia per le sue origini sia per la realtà e spiritualità delle persone con cui ebbe a che fare durante la propria predicazione.
Un mondo, quello conosciuto e vissuto da don Mazzolari, che ora non c’è più, ma risulta ancora attuale nella sua prospettiva ecologica e di annuncio del Vangelo, perché «Mazzolari ha consapevolezza che la terra parla, ha un legame profondo con la vita; allora con ciò significa che il Vangelo è già presente dentro la vita delle persone». La campagna è «maestra di spiritualità», crea una relazione profonda con gli uomini, in qualche modo persa nella modernità. «Quella capacità di interagire e sentirsi parte di essa: questo è l’elemento che Mazzolari in qualche modo avverte come necessario», ha spiegato don Bignami. Allo stesso tempo quel legame don Primo lo rilegge «in maniera opportuna e intelligente» sia nella difesa del suolo dalla «devastazione della guerra», sia nelle relazioni pastorali e umane dei braccianti.
La vicinanza di don Primo ai lavoratori della terra, infatti, si può spiegare non solo per le trasformazioni storico-economiche della campagna negli anni Venti, ma perché «il contadino ha la prospettiva legata alla realtà», perché è nella terra «che si recupera la dignità della persona».
Una rivendicazione che si esprime anche nelle battaglie di don Primo a difesa del lavoro dei braccianti, «cercando di risolvere il problema delle preoccupazioni del guadagno da parte del mediatore, cioè il proprietario, e del sopravvivere del bracciante e lavoratore», per il quale la campagna «a conduzione famigliare» era «l’unica fonte di sostentamento». Una riflessione che anticipò quella attuale della prospettiva ecologica, espressa nella Laudato si’ di Papa Francesco, ovvero del rapporto con la creazione «che non era un semplice rapporto di consumo», ma di comunione.
E poiché don Primo ha frequentato quei luoghi dell’esperienza umana fatta di cascine e grandi famiglie – e quindi «abilitato a parlarne per esprimere il messaggio del Vangelo» -, secondo don Bignami il linguaggio contadino diventa quello più utilizzato dal parroco bozzolese «per spiegare cos’è la pastorale e la vita cristiana», affinché gli agricoltori potessero farlo loro, «proprio come Cristo “contadino”» che utilizzò le parabole per comunicare la Parola.
Questa visione di un «Cristianesimo contadino», insomma, è il modo con cui don Primo «rilegge la sua fede cristiana in questa esperienza terrena di fondo», vissuta come «uomo della terra» e «fratello contadino».
Scriveva infatti che «molti non sanno che i contadini guardano alla religione come alla vanga, il carretto, al cavallo, alla mucca. Se non entra nel loro sistema di vita, se come le altre cose non serve a vivere e capire, la rifiuta. Il contadino vuole vedere, toccare, vuole certezze tra tante incertezze». Serve in definitiva, secondo don Primo, riprendere quella prospettiva di uno sguardo lontano tipico dell’uomo di campagna, «nel seme di oggi c’è la raccolta di domani», di un modo di vivere la realtà come reciprocità tra uomo e creato.
L’intervento di don Bruno Bignami