Pizzaballa: «Non lasciate soli i cristiani di Terra Santa»

Nel quinto giorno di pellegrinaggio diocesano i cremonesi hanno incontrato l'amministratore apostolico di Terra Santa. In mattinata Messa al Getsemani e visita del Monte degli Ulivi. In serata la Via Dolorosa e il Santo Sepolcro

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Dopo aver celebrato il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio prima a Nazareth e poi a Betlemme, i 220 cremonesi pellegrini in Terra Santa, nella giornata di venerdì 10 marzo, hanno pregato e meditato sulla morte e risurrezione di Gesù. La giornata, ancora caratterizzata dal sole, è iniziata nel Getsemani, a piedi del Monte degli Ulivi: in questo giardino, ben tenuto, ricco di ulivi secolari – tra essi anche quello piantato da Paolo VI nel suo viaggio nel 1964 – , ora circondato da una cancellata di ferro battuto, Gesù amava ritirarsi in preghiera. Vi si trovava anche una grotta contenente un frantoio certamente appartenente a un amico di Gesù, che lo ospitava con i suoi discepoli nella sua proprietà.

A fianco si trova la chiesa delle Nazioni, chiamata così poiché diversi paesi ne hanno finanziato la costruzione negli anni Venti del secolo scorso. La penonbra all’interno della basilica ha subito trasmesso un senso di abbandono, di solitudine, di dolore e angoscia provati da Cristo quando i suoi amici non seppero vegliare con lui e quando Giuda venne con i soldati del tempio per arrestarlo. Sotto l’altare la roccia dell’agonia sulla quale Egli pianse e sudò sangue prima di abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio.

Sotto le volte stellate di questo edificio sacro mons. Napolioni ha presieduto l’Eucaristia che ha dato inizio alla giornata. «Matteo – ha esordito nell’omelia – dice che Gesù incominciò a provare tristezza e angoscia. Che ne sa l’evangelista? Lui non c’era. Lui era già in confusione, più lontano. O forse è fin troppo facile immaginare, visto come sono andate le cose, che cosa deve aver provato Gesù quella notte. Perché se in ogni vicenda di dolore, in ogni prova, in ogni grave malattia, in ogni prova interiore viene da domandarci “perché?”, l’avrà gridato anche Gesù dentro di sé».

«La domanda sui pensieri e i sentimenti di Gesù in quelle ore – ha proseguito il presule – è una domanda che ha accompagnato tutti i cristiani appena non superficiali. E che dovrà accompagnare tutti i cristiani, tutti gli uomini e tutte le donne che vorranno nel tempo misurarsi con Gesù».

«I santi – ha proseguito – sono andati un po’ più avanti. Permettetemi di ricordare una mia concittadina: santa Camilla Battista da Varano, monaca francescana che a Camerino, nel 1500, scrisse un trattato sui dolori mentali, sulla sofferenza psicologica e spirituale di Gesù durante la Passione».

Per mons Napolioni la sofferenza più grande di Gesù è stata quella di capire il senso della sua figliolanza divina: «Già le guide ci hanno introdotto al dramma di questa espressione della Lettera agli Ebrei: “Pur essendo figlio imparò l’obbedienza. E per il suo pieno abbandono, soffrendo, venne reso perfetto”».

«Qual è il figlio perfetto? – si è domandato il vescovo Antonio -. Quello che davanti all’apparente drammatico silenzio del Padre – la cui volontà è un calice di dolore, è la morte del proprio figlio per adottare i peccatori di tutta la storia – passa dal dubbio di sentirsi abbandonato all’abbandonarsi al Padre: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. Non è l’eroe vittorioso, né l’eroe sconfitto: è il bambino fiducioso, umile, fragilissimo, l’agnello immolato che salva il mondo. Il pastore si è fatto agnello: è il paradosso delle nostra fede. Una fede così non poteva venire in mente agli uomini. Non c’è nessun guadagno ad avere una fede così. A meno che non solo lui risorga, ma a meno che Lui non sia presente. È qui! Nel nostro impasto di farina e di acqua, di sofferenza e di speranza, di dolore e di amore. Eccolo il Figlio reso perfetto».

E così ha concluso: «In questa Eucaristia pensiamo a più persone possibili, riportiamo tutti i momenti più difficili della nostra vita, della vita delle nostre famiglie. Contempliamo la fedeltà assoluta di Dio, che conduce la storia nonostante le violenze, le guerre, i drammi che avrebbero potuto già chiudere. E invece Lui si è lasciato schiacciare perché rifiorisse la vita».

Durante la Messa, che si è conclusa con il bacio dei pellegrini alla pietra dell’agonia, si è pregato intensamente per tutti i sacerdoti e in modo particolare per il vescovo emerito Lafranconi che proprio il 10 marzo compie gli anni.

Ascolta l’omelia di mons. Napolioni

Photogallery della celebrazione eucaristica

 

La mattinata è proseguita con la visita alla vicina tomba di Maria: una chiesa di epoca crociata caratterizzata da una lunga scalinata che porta fino al luogo in cui la Vergine passò da questa vita a quella eterna. Accanto a questo edificio sacro retto dagli ortodossi si trova la grotta del frantoio, una cappella che all’epoca delle persecuzione dei cristiani ricordava, in maniera molto nascosta, l’episodio del Getsemani. Oggi è una cappella francescana molto intima e angusta.

A seguire è stata visitata l’edicola dell’ascensione, di epoca crociata, oggi trasformata in moschea. All’interno c’è una pietra con una vanga impronta di piede: si dice che sia stata l’ultima traccia lasciata da Cristo prima di salire in Cielo.

Particolarmente suggestivo anche il complesso carmelitano del Pater Noster che racchiude la grotta nella quale il Signore Gesù insegnò ai discepoli il Padre Nostro. Lungo le pareti del bellissimo chiostro, immerso nel verde, sono appesi più di un centinario di pannelli in ceramica, riportanti la preghiera in diverse lunghe e dialetti di tutto il mondo, compreso il milanese.

Ultima tappa è stato il Domunis Flevit: scendendo dal monte degli Ulivi – da cui si gode una bellissima vista di Gerusalemme e della valle di Giosafat costellata di tombe di pii ebrei – una chiesa francescana ricorda il pianto di Cristo sulla Città Santa. Questo luogo è particolarmente frequentato dai pellegrini, forse anche a motivo del panorama incantevole. La chiesa (1955), opera del già citato architetto Barluzzi, ha un particolare cupola a forma di lacrima e una grande vetrata proprio dietro l’altare che dà sulla città vecchia.

Photogallery della visita al Monte degli Ulivi

Nel primo pomeriggio, presso la concattedrale del Santissimo Nome di Gesù, interna al Patriarcato Latino, c’è stato un fraterno incontro con mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme. Il presule, fino a poco tempo fa Custode di Terra Santa, ha origini diocesane: i suoi genitori, infatti, sono di Brignano Gera d’Adda. Con molta disponibilità e umiltà l’arcivescovo ha raccontato le fatiche e le speranze della Chiesa di Gerusalemme (essa comprende non solo Israele e la Palestina, ma anche la Giordania e Cipro). Pizzaballa ha spiegato che in Terra Santa vivono solo 180.000 cristiani (di questi il 40% è cattolico) a fronte di oltre 6 milioni di ebrei e 4 milioni di musulmani. Pur essendo una piccola comunità quella cattolica ha numerose scuole e ospedali e continua ad adoperarsi per favorire il dialogo tra ebrei e palestinesi. Eppure le difficoltà economiche e l’ostilità di parte della popolazione costringe i cristiani ad emigrare: solo negli ultimi mesi oltre 120 famiglie se ne sono andate da Betlemme!

Ascolta l’intervento dell’arcivescovo Pizzaballa

L’arcivescovo non ha comunque nascosto la difficoltà di rapporti sia con gli israeliani sia con i palestinesi, sottolineando invece i buoni frutti in campo ecumenico: i restauri in atto della basilica della Natività a Betlemme e quelli del Santo Sepolcro a Gerusalemme – dopo decenni di stasi – sono un evidente prova che il confronto tra i cristiani delle diverse confessioni è stato avviato. Tra l’altro questa primavera ecumenica è dovuta soprattutto ai fedeli: non esiste famiglia, infatti, in cui i coniugi siano della stessa confessione.

Mons. Pizzaballa ha poi ricordato il dramma dei cristiani di Aleppo in Siria, che dista solo poche centinaia di chilometri da Gerusalemme, e ha sottolineato che se non ci sono attentanti o fatti gravi in Israele, comunque serpeggia una mentalità fondamentalista in tanti palestinesi.

Nel suo breve intervento il presule ha chiesto di non lasciare soli i cristiani di questa Terra, di pregare e di sostenerli, anche attraverso più frequenti pellegrinaggi.

Quello di Cremona – sono parole di Pizzaballa – è il gruppo più numeroso dopo tanti mesi: la paura di attentanti è molto forte nella gente.

A mons. Pizzaballa è stato consegnata una offerta della Chiesa cremonese a favore di quellla di Gerusalemme.

Photogallery dell’incontro con mons. Pizzaballa

La giornata si è quindi conclusa con la meditazione della passione del Signore attraverso la preghiera della Via Crucis: i pellegrini hanno iniziato insieme questa pratica devozionale poi divisi nei cinque gruppi hanno percorso la via Dolorosa che attraversa il quartiere musulmano e cristiano e che termina alla basilica del Santo Sepolcro.

I cremonesi hanno potuto sperimentare quello che visse Gesù: essi, infatti, sono passati tra le piccole vie della città costellate di negozi di ogni genere, tra il vociare dei commercianti, lo strillare dei bambini, il dialogare concitato dei residenti ormai abituati a veder passare tanti gruppi di cristiani. Così è andato a morire il Figlio di Dio, tra l’indifferenza della gente.

L’ultima tappa è stata al Santo Sepolcro, una basilica che è il risultato di diversi edifici costruiti e distrutti diverse volte dove convivono diverse confessioni cristiane (cattolica, ortodossa, copta, siriaca, armena) e dove i pellegrini sono sempre tantissimi. L’impressione di confusione e di disordine è sempre molto forte, ma che si dimentica dinanzi al Calvario, il luogo dove fu Crocifisso Cristo con i due malfattori, passando poi dalla pietra dell’unzione, che ricorda la preparazione del corpo di Gesù per la sepoltura, fino all’edicola del Santo Sepolcro, il luogo più santo di tutta la Cristianità, attualmente in restauro ma visitabile da parte dei fedeli.

Non tutti i gruppi, dato l’alto afflusso di pellegrini, sono potuti entrate nel Sepolcro: sabato o domenica, certamente, anche chi non ha potuto provare questa intensa esperienza spirituale, potrà entrare nel luogo che da Duemila anni è testimone muto della Risurrezione.

Photogallery della Via Dolorosa

Nella mattinata di sabato 11 marzo escursione nel Deserto di Giuda: visita di Qumran, dove in alcune grotte vennero rinvenuti i più antichi manoscritti della Bibbia. Rientrando a Gerusalemme sosta al Wadi Qelt. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio celebrazione della Santa Messa alle ore 15 nella Chiesa di San Pietro in Gallicantu; a seguire visita del Sion Cristiano con il Cenacolo, la Chiesa della Dormitio Mariae e la Valle del Cedron.

 

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PROGRAMMA DEI PROSSIMI GIORNI

Domenica 12 marzo:     BETLEMME/Escursione a Gerusalemme
Partenza per Gerusalemme e  visita della Spianata del Tempio e al Muro occidentale della preghiera. Visita del nuovo museo francescano e della chiesa di S. Anna dove alle ore 12 sarà celebrata la S. Messa. Nel pomeriggio visita dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto e continuazione per Ein Karem con la visita ai santuari che ricordano la Nascita di S. Giovanni e la Visitazione di Maria ad Elisabetta.

Lunedì 13 marzo:    BETLEMME/TEL AVIV/ITALIA
Nella notte  trasferimento in aeroporto a Tel Aviv per il rientro a Cremona previsto per le ore 13.

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