Si è tenuta il 16 settembre in Seminario a Cremona l’annuale Assemblea Oratori. Tema dell’edizione 2025: “La convivenza tra culture come opportunità educativa nella vita dell’oratorio”, che concretizza il motto dell’anno oratoriano: “Facciamo pace”. Un invito ad affrontare insieme la sfida, sempre più attuale, della presenza crescente di ragazzi provenienti da famiglie con background migratorio.
Al centro dell’incontro gli interventi di Milena Santerini, docente di Pedagogia interculturale all’Università Cattolica del S. Cuore, don Alex Malfasi, vicario parrocchiale dell’unità pastorale di Castelverde, laureato in Scienze psicologiche, e Luca Simmi, educatore professionale dell’oratorio di Cristo Re a Cremona.
«Il tema dell’intercultura – ha precisato Mattia Cabrini, collaboratore dell’Ufficio diocesano di Pastorale giovanile, aprendo i lavori – è centrale per gli oratori, che devono diventare luoghi di incontro e non di scontro. Il Vescovo ci ha chiesto di far diventare gli oratori dei laboratori di pace; lavorare sull’intercultura è il modo migliore per affrontare i cambiamenti che stanno avvenendo. L’obiettivo è far diventare i nostri luoghi degli spazi di incontro, mentre tutto il mondo va verso uno scontro di civiltà sempre più pressante».
In apertura, dopo l’introduzione di Cabrini e il saluto del Vescovo, la lunga esposizione della professoressa Milena Santerini ha snocciolato numeri, dati, contesti e ha invitato gli oratori a investire nel pensiero e ad allenarsi a interpretare. Un lavoro che deve valorizzare le diversità e cercare ogni modo possibile per ascoltare, accogliere, comprendere, sottolineando come la società sia da sempre multiculturale: non solo per la presenza di immigrati, ma anche per le differenze interne di mentalità, valori e visioni del mondo. L’arrivo di stranieri da molte parti del mondo ha reso più evidente questa pluralità, portando con sé sfide, ma anche opportunità di confronto. In oratorio emergono sia somiglianze – legate all’età adolescenziale, all’iperconnessione e ai consumi globali – sia differenze dovute a genere, religione, condizioni socioeconomiche e percorsi migratori. I rischi principali sono da un lato negare le differenze, dall’altro leggerle solo in chiave etnica, trascurando le variabili personali e sociali.
La Santerini ha poi illustrato come la presenza crescente di minori stranieri e di seconde generazioni pone sfide educative, linguistiche, religiose e di cittadinanza: molti ragazzi, pur essendo nati e cresciuti in Italia, non hanno riconoscimento legale, con pesanti conseguenze sul senso di appartenenza. L’oratorio può diventare un laboratorio di intercultura e di pace se è capace di valorizzare le diversità senza perdere la propria identità cristiana, puntando sul gruppo, come spazio di amicizia e responsabilità, e sulla formazione interculturale di educatori e animatori. La sfida è costruire comunità inclusive, capaci di educare alla fraternità e di offrire a tutti – indipendentemente dalla fede o dall’origine – la possibilità di sentirsi protagonisti e parte della società.
A seguire, don Alex Malfasi ha portato alcuni esempi concreti legati alla propria attività nella scuola e nell’oratorio, che mettono in evidenza paure reciproche, disinteresse verso le differenze religiose e la tendenza a etichettare, anche tra gli stessi ragazzi di origini straniere. In questo contesto lo sport diventa occasione naturale di incontro e integrazione, ma anche in questo contesto emergono difficoltà linguistiche, burocratiche e legate alla scarsa diffusione digitale che ostacolano la partecipazione delle famiglie. «Nei ragazzi – ha precisato don Malfasi – le relazioni sono più libere e spontanee rispetto agli adulti: sanno scherzare sulle differenze senza rigidità e mostrano spesso una sensibilità religiosa più viva rispetto ai coetanei italiani».
La chiave dell’intercultura in oratorio è tuttavia il gruppo: i ragazzi non vengono solo per motivi religiosi, ma per le relazioni autentiche che trovano. L’oratorio, pur mantenendo la sua identità cristiana, può essere luogo di incontro, crescita e scambio, dove le differenze diventano occasione di dialogo e non di esclusione.
L’intervento dell’educatore Luca Simmi è partito dalla propria esperienza in oratorio per sottolineare come al suo interno convivono molte diverse “culture”: sportiva, scoutistica, catechistica, del tempo libero, etc. Questa pluralità è però multicultura, mentre l’intercultura nasce solo quando c’è vera condivisione, cosa non semplice: gli obiettivi sono diversi, a volte si parla la stessa lingua, ma non ci si capisce, e spesso i gruppi tendono ad essere chiusi e frammentati.
«La sfida è riconoscere l’oratorio come luogo comune e chiedersi che cosa si può condividere concretamente tra tutti, non solo tra educatori o catechisti. Anche le famiglie hanno un ruolo: chiedono sostegno – per il Grest, lo sport, aiuti di tipo economico – ma faticano a sentirsi pienamente coinvolte. Con gli adolescenti, invece, emerge una cultura condivisa tipica della loro età, che a volte supera differenze religiose e di origine, ma che richiede regole e obiettivi comuni per funzionare. L’oratorio diventa quindi un laboratorio fragile ma prezioso, in cui l’intercultura si costruisce giorno per giorno attraverso pratiche di relazione e responsabilità condivise».
Dopo la sessione di domande e risposte, Mattia Cabrini ha ricordato don Pietro Samarini, recentemente scomparso e la sua passione per la lettura e i libri, che spesso diventavano strumenti per parlare ai ragazzi attraverso delle storie in cui si potessero riconoscere e appassionare.
La lettura di un brano della Lettera agli Efesini da parte di don Francesco Fontana ha infine dato lo spunto al vescovo Antonio Napolioni per la riflessione conclusiva: «Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. Questa è la buona notizia che noi abbiamo cominciato ad accogliere. Eravamo senza Cristo. Ora invece abbiamo cominciato a essere in Cristo Gesù e non abbiamo in tasca il termometro o il centimetro per misurare a che punto siamo noi o a che punto sono gli altri. Però abbiamo un mandato: andate e annunciate questa Buona Notizia a tutte le creature, in ogni modo. L’oratorio è uno dei modi in cui annunciamo Cristo. Con il sorriso, con la porta aperta, con il cuore spalancato, con le azioni, con i gioco, con tutto ciò che prima o poi ci farà incontrare Cristo».
L’Assemblea ha offerto spunti importanti e ribadito l’importanza di un approccio aperto e attento, che sappia rendere le differenze un valore, anziché un ostacolo e che impegni gli oratori nella ricerca di strade sostenibili per diventare davvero luoghi di incontro e laboratori di pace.