Intervista a mons. Lafranconi: «Auguro al vescovo Antonio di trovarsi bene a Cremona come mi sono trovato bene io»

A pochi giorni dalla conclusione del suo servizio episcopale mons. Dante traccia un bilancio del suo ministero cremonese che iniziò il 4 novembre 2001

image_pdfimage_print

A pochi giorni dal saluto ufficiale alla diocesi – che si terrà sabato 23 gennaio, alle ore 16, in Cattedrale – abbiamo incontrato mons. Dante Lafranconi. Il presule, di origini comasche, dopo 14 anni di intenso servizio pastorale il prossimo 30 gennaio lascerà il testimone a mons. Antonio Napolioni, scelto il 16 novembre scorso da Papa Francesco come 85° vescovo della Chiesa cremonese. A mons. Lafranconi, impegnato in questi giorni nel trasloco  – continuerà a risiedere a Cremona – abbiamo rivolto alcune domande. Una sorta di bilancio schietto ed esaustivo del suo ministero cremonese.

Eccellenza, con quali sentimenti ed emozioni si appresta a vivere questo passaggio della sua vita di cristiano e di vescovo?
«Mi piace che si dica “sentimenti ed emozioni”, perché in questo momento anche queste dimensioni della vita umana si fanno particolarmente sentire. Devo dire che in me non c’è ansietà: uno sa che a un certo punto dell’esistenza deve lasciare il ministero attivo per seguire altre strade. Da una parte, certamente, provo un po’ di dispiacere e di tristezza. Per esempio, quando vado in Seminario penso: “Non sarò io a ordinare sacerdoti questi seminaristi”, allora c’è quasi il rammarico di non poter essere strumento della grazia di Dio. Però per il resto sono molto sereno, sono anche contento di concludere il ministero episcopale con tutte le responsabilità e le incombenze relative. Mi affido molto tranquillamente al Signore. Indubbiamente non voglio restare inattivo. Mi viene in mente spesso una considerazione che faceva il rettore del Seminario quando io ero seminarista: “Ricordatevi che il prete è un libero imprenditore, il lavoro se lo deve cercare”. Fino adesso devo dire è stato più il lavoro, gli impegni e le persone che hanno cercato me, capisco che d’ora in poi diventerà preponderante il mio impegno a cercare il “lavoro”».

DSCN3335

Che ricordi ha dell’ingresso che fece a Cremona il 4 novembre del 2001?
«I ricordi sono positivi e belli! In modo particolare la folla delle persone che mi ha accolto. A me dà sempre un senso di grande tenerezza il fatto che quando un vescovo o un prete giunge in un nuovo campo di lavoro gode già il rispetto, la simpatia, l’amore di tante persone; molti hanno già pregato per lui, sono in un’attesa piena di fiducia e tutto ciò è commovente. Questo è stato il sentimento che mi ha accompagnato il giorno dell’ingresso. Ricordo poi i volti di varie persone, soprattutto di sacerdoti che ormai non ci sono più, ma che in quel momento sono stati importanti e fondamentali nel muovere i primi passi. Ricordo in particolare, perché questo mi dà un senso di soddisfazione, l’invito – quasi la sollecitazione – del sindaco di allora, il dottor Bodini, che mi chiedeva di aprire un monastero di clausura in città. La benevolenza del Signore e anche un poco di fortuna hanno combinato le cose per avere il monastero domenicano di San Sigismondo».

014

Photogallery completa

In questi anni sono stati molti i fronti di impegno pastorale. Partiamo da quello che le sta più a cuore: il rinnovamento dell’iniziazione cristiana secondo il metodo catecumenale. Che bilancio si sente di fare? Prova qualche delusione per non essere sempre stato seguito e capito?
«Innanzitutto ribadisco che, a mio giudizio, questo impegno è assolutamente primario nella Chiesa di oggi. Si sta compiendo un passaggio, infatti, dove o l’essere cristiano è una scelta convinta o altrimenti, come dice Paolo, si rischia di essere sballottati da ogni vento di dottrina. L’aiutare a diventare cristiani è, quindi, un dovere fondamentale della Chiesa. Naturalmente quando dico “diventare cristiani” non intendo soltanto acquisire semplicemente un sapere, anche se è già importante questo, perché molti battezzati neppure conoscono chi è Gesù Cristo e non si interessano minimamente della vita della Chiesa. Oltre il sapere, infatti, è necessario creare una mentalità, uno stile di vita, un riferimento a Dio che è conforme al modo particolare che Gesù propone. Perché il riferimento a Dio può essere un riferimento anche “magico”. No, Gesù ci ha proposto un tipico modo di riferirci a Dio: quello della fiducia filiale in Lui! L’iniziazione cristiana è un introdurre le nuove generazioni dentro questa prospettiva. Che, ripeto, a mio parere, è fondamentale nella Chiesa! Perché è vero che il Battesimo è un dono di Dio, la fede è una grazia, ma a noi richiede anche con chiarezza una adesione personale.
Bilancio di questo impegno pastorale? Sinceramente io mi sarei aspettato di più! Però voglio dire che introdurre qualcosa di nuovo richiede sempre del tempo, richiede sempre una maturazione nel modo di pensare e nella vita pastorale. Mi auguro che questo cammino intrapreso da almeno un sessanta per cento delle parrocchie possa continuare. E possa continuare anche nel recupero pieno del suo significato: non soltanto come un adattamento di metodo, non soltanto come una strategia, ma nel suo significato più profondo che è quello di scoprire la bellezza di essere amati da Dio e la gioia di vivere come suoi figli».

Visita Pastorale SDP 032

Decisiva è stata poi la Visita pastorale: in quell’occasione che immagine si è fatto della Diocesi? E che frutti ha portato questo suo lungo peregrinare nelle Parrocchie?
«L’immagine che mi sono fatto della diocesi è di una realtà ecclesiale che ha sensibilità diverse: penso al Mantovano o al Casalasco o quella porzione di territorio in provincia di Bergamo. Non vanno esagerate o esasperate, ma è certo che c’è un modo di vivere e praticare la fede che ha sfumature diverse. Al di là di questo devo dire che la Visita pastorale non è stata molto frequentata, però mi ha dato la possibilità di passare un tempo un po’ più prolungato con i sacerdoti e con i collaboratori più stretti oltre che di sperimentare l’andamento quotidiano delle parrocchie: tutto ciò mi ha permesso una conoscenza più realistica della Diocesi.
Alla fin fine non saprei dire dei frutti! Però ho percepito un fatto: che non è veramente forte nelle nostre comunità cristiane il senso della diocesi. C’è un atteggiamento che porta a vivere e a gestire le cose secondo la propria sensibilità, il proprio gusto, secondo la propria intraprendenza. Il senso della Diocesi, come Chiesa dove il Vescovo è principio e fondamento dell’unità, dove i credenti vivono il loro legame con il Collegio degli apostoli, a me non è sembrato forte. Non dico debole, ma certamente non molto sentito».

SCUOLA INFANZIA

È risaputa la sua attenzione alle famiglie: quale è stato il suo impegno in questi anni a loro favore?
«L’impegno è stato soprattutto quello di aiutare le famiglie a scoprire il senso vocazionale della scelta matrimoniale, a leggere con fede le vicende che segnano la propria storia nelle situazioni felici e in quelle problematiche: di malattia, di fragilità, di disoccupazione, di figli che causano dispiaceri o delusioni. Tutto per rimarcare che l’amore umano di una coppia di sposi costituisce per Dio un luogo per manifestare e per continuare la sua presenza. Questo è il bello del Sacramento! Poi ho visto con molta evidenza il diminuire delle celebrazioni matrimoniali come sacramento, ma anche il diminuire dei matrimoni civili e il dilatarsi di forme di convivenza che, come dire, lasciano l’amaro in bocca: è come se due persone non si fidassero completamente l’una dell’altra, per cui preferiscono mantenere una facile via d’uscita. Il venir meno della fiducia reciproca è proprio ciò che rende meno entusiasmante, meno bello e meno visibile l’amore e che rende più difficile quella comunione che permette alla coppia di affrontare insieme i passaggi più difficili della vita. Inoltre ho cercato di far capire alle famiglie ferite che la Chiesa le ama, che l’appartenenza alla comunità dei credenti rimane, che non si deve identificare strettamente appartenenza alla Chiesa e comunione eucaristica, perché ci sono tante modalità e tante occasioni per vivere questa appartenenza che non avrà la dimensione culminante della partecipazione eucaristica, ma che non per questo è meno vera e meno apprezzata da Dio».

ottobre 08 079

Unità pastorali, vita comune fra i preti, maggiore fraternità e stima nel presbiterio sono altre sue attenzioni che tra l’altro vanno verso una pastorale integrata e più comunionale. Sembra, però, che i risultati tardino a venire. Che messaggio vuole lasciare ai suoi sacerdoti?
«Anzitutto di amare la Chiesa al cui servizio sono stati chiamati. Di ricordare che l’ordinazione sacerdotale è un dono grande del Signore, ma per servire la Chiesa. Il tempo che stiamo vivendo richiede un gran adattamento perché stiamo assistendo a molte trasformazioni: penso, per esempio, alla pastorale integrata, cioè a quella azione pastorale che non guarda soltanto il proprio settore, ma che sa convergere con gli altri settori così da offrire alle persone credenti, ma anche a quelle non credenti, la vivacità del messaggio cristiano nella sua pienezza. In secondo luogo vorrei che facessero spesso memoria della propria ordinazione sacerdotale, che crea e determina la presenza nel presbiterio, ma anche un legame forte e specifico con il Vescovo. Inoltre vorrei dire ai sacerdoti che la vera prima conversione per adeguare la propria azione ministeriale all’evolversi dei tempi è anzitutto personale: non è solo conversione di strutture. È conversione di modalità, di stili: è una conversione del cuore! È vivere quella comunione ecclesiale che aiuti a implementare la fraternità con i confratelli, ma anche la corresponsabilità con i laici. Vorrei dire ancora che non bisogna guardare alle nuove forme ecclesiali  – movimenti, associazioni e stili di evangelizzazione – quasi con sospetto, come se smantellassero o rendessero più difficile la vita della comunità parrocchiale! Tutti dobbiamo fare uno sforzo per integrare queste varie esperienze che lo Spirito Santo ci presenta per favorire il percorso della Chiesa verso una fedeltà al Signore Gesù e alla tradizione, che, però, non rifiuta il rinnovamento. Infine raccomando un’intensa vita spirituale. Il vescovo Bonomelli parlando dei sacerdoti cremonesi diceva che sono degli infaticabili, dei cavalli da tiro, lavorano molto. A volte, però, ho l’impressione che alcuni – non tutti – mettono troppo in secondo piano la vita spirituale, l’incontro personale con Dio, la configurazione a Gesù Cristo sacerdote, il servizio umile e disinteressato».

B_046

Nel suo stile sobrio ed essenziale per certi versi lei ha anticipato Papa Francesco. Che cosa le piace di questo Pontefice?
«Non so se ho anticipato papa Francesco! Penso di vivere secondo il mio temperamento, il mio carattere, la mia formazione, il mio stile. Del Santo Padre mi piace la semplicità con cui propone la Parola di Dio: una semplicità che la rende comprensibile a tutti. Mi piace anche la sua grande capacità di comunicare subito con affetto, andando al di là degli schemi. Ma questo non deve portare a banalizzare il messaggio: esso, infatti, rimane molto forte e molto chiaro. Un messaggio di adesione al Vangelo senza mezzi termini».

Foto_00

Ha qualche impianto per non aver raggiunto qualche obiettivo che le stava a cuore?
«Il primo rimpianto è quello di non essere diventato più santo, più credente. Anche se io ripeto spesso che il ministero episcopale è stata una grande occasione per fidarmi di più di Dio. Poi certamente ci sono state diverse omissioni: d’altra parte occorre tenere conto che alcuni passaggi pastorali richiedono una maturazione più articolata e approfondita. Però sono anche convinto che quando si pongono in essere dei cambiamenti nella vita comunitaria, così come nella vita personale del resto, bisogna avere l’umiltà di fare dei passi piccoli, di non aspettarsi subito dei grandi risultati e di avere pazienza e tenacia nel portare avanti il progetto. Mi sembra di aver avuto sempre questa attenzione».

086

A prima vista sembra che con il vescovo Antonio ci sia stata subito una grande e bella intesa. Quale augurio vuole formulare al suo successore?
«Gli auguro di trovarsi bene a Cremona, come mi sono trovato io! Che possa migliorare quello che io, come i miei predecessori, ho cercato di fare a servizio della Chiesa cremonese, attraverso la sua cultura, il suo slancio, la sua chiarezza, ma anche la sua decisione nelle proposte pastorali. Questo è l’augurio che gli rivolgo proprio con molta amicizia, ringraziandolo anche per le parole e i sentimenti di sincera fraternità che fin dal primo momento mi ha rivolto e che io ricambio con tutto il cuore».

15-11-26_Vescovi_081

Ha deciso di rimanere ad abitare in città: come mai questa decisione?
«Fondamentalmente hanno giocato in me due motivi. Il primo, potremmo dire, è di carattere teologico: il vescovo è presentato nella liturgia – soprattutto al momento dell’ordinazione – e poi nella teologia come lo “sposo della Chiesa”. Allora io ho pensato che quando il vescovo va in pensione non può non rimanere vicino alla sua Chiesa condividendo ancora la sua storia e mettendosi a disposizioni per quei servizi che gli saranno richiesti.  Il secondo motivo è di carattere più contingente: a Cremona ho vissuto in questi anni, mi sono trovato bene, ho delle relazioni buone, forse qui posso anche continuare ad espletare il mio ministero, sia pure con forme e modalità diverse, con più facilità rispetto ad altri posti».

B_254

Come sarà la sua vita dal 31 gennaio? Ha già immaginato che cosa farà? Quale il suo contributo alla Chiesa cremonese?
«Preferisco non immaginare niente. Perché poi quando uno si immagina ha delle delusioni! Mi piacerebbe dedicare più tempo al ministero del dialogo e dell’accompagnamento delle persone, della coltivazione della vita spirituale, delle confessioni. Vorrei essere più vicino alla gente anche perché più libero dagli impegni istituzionali. Poi per il resto vedremo … tra un anno se mai risponderò meglio a questa domanda».

Claudio Rasoli

DSC_0031

Facebooktwittermail