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Il canto e il silenzio, il servizio e l’ascolto, la solennità e la semplicità. Attorno ai segni dello spezzarsi del pane e della benedizione del vino, in una liturgia ricca di passaggi e gesti significativi, per la Chiesa sono cominciati i giorni dell’ingresso di Gesù nel mistero pasquale. Anche nella Cattedrale di Cremona si è celebrata la Santa Messa in Coena Domini, «quella cena che per noi è diventata l’Eucarestia, presenza e fermento di vita», ha detto il vescovo Antonio Napolioni, che ha presieduto la liturgia che dà inizio al Triduo Pasquale e che ricorda l’istituzione dell’Eucaristia. Insieme a lui hanno concelebrato il vescovo emerito Dante Lafranconi, il vescovo Carmelo Scampa, e i canonici del Capitolo della Cattedrale con il presidente del capitolo mons. Antonio Trabucchi e il rettore della Cattedrale mons. Attilio Cibolini, insieme ad alcuni altri sacerdoti. Hanno prestato servizio all’altare gli studenti di Teologia del Seminario diocesano.
Una celebrazione vissuta in un atmosfera meditativa e raccolta, nonostante si sia aperta con i canti accompagnati all’organo Mascioni dal maestro Fausto Caporali e proposti dalla Corale della Cattedrale diretta dal maestro don Graziano Ghisolfi, e le distese di campane a introdurre l’inno del Gloria, prima che tutti gli strumenti vengano “legati”, rimanendo dunque in silenzio fino alla Veglia del Sabato Santo.
Una liturgia fatta di «parole antiche di un millennio, che contengono ciò che ora celebriamo minuto per minuto, dal momento che ogni Messa sprigiona all’infinito il suo potenziale di salvezza, e avrà compimento nel giorno di Pasqua», ha sottolineato il vescovo Napolioni durante l’omelia. Una riflessione scaturita dopo l’ascolto del Vangelo e dell’episodio della lavanda dei piedi ai discepoli da parte di Cristo. «Giovanni quella sera fu il più attento, – ha ricordato il vescovo – il più partecipe, il più penetrante, tanto da lasciarci tutte le parole, i messaggi e i gesti che Gesù ha compiuto. Sembra che racconti tutto tranne l’Eucarestia: non racconta del pane e del vino, come se lui fosse andato già al di dentro di quel gesto e ne stesse già contemplando nei frutti nella storia della Chiesa e dell’umanità». Per il vescovo, nella famigliarità dei gesti di vita quotidiana – cenare, lavarsi, confidarsi – l’evangelista ha descritto molto più di «una narrazione di sentimenti umani, più di una storia privata come fosse il ricordo dell’ultima sera con uno dei nostri cari». Bensì «ci ha lasciato un grande inizio, perché è in atto qualcosa che ancora oggi noi non abbiamo finito di comprendere e di mettere a frutto». Ovvero «un nuovo modo di vivere la vita». Ecco il significato dell’Eucarestia: l’unione al mistero della Passione di Cristo e la partecipazione all’Amore di Dio.
Un compimento che non esclude il tradimento: «Gesù non è venuto a inaugurare il lieto fine della storia umana – ha chiosato il vescovo –. Noi a volte siamo un po’ delusi superficialmente: perché poteva sistemare tutto così bene, dalle guerre alle violenze. Eppure, quella sera tutto è cambiato per la libertà umana, resa partecipe di ciò che accade nel cuore di Gesù». E poiché «in precedenza Cristo stesso ha voluto partecipare alla nostra vita, ha voluto vivere anticipatamente come capo ciò che avrebbe vissuto il suo corpo ecclesiale, tanto nelle ferite quanto nelle consolazioni, quando viviamo in grazia di Dio questa mutua partecipazione diventa un’esperienza spirituale. In definitiva è il Risorto che, attraverso l’azione della sua grazia, rende possibile che noi ci uniamo misteriosamente alla sua passione», ha detto il vescovo citando le parole di Papa Francesco e dell’enciclica Dilexit nos.
Il gesto della lavanda dei piedi, «rievocativo e programmatico», è insomma un modo che Cristo ha scelto di rendere concreto e tangibile, il senso dell’amore divino e dell’essere cristiani. «Per far capire che tutto questo si realizza in ogni gesto di servizio, in ogni gesto di attenzione, in ogni gesto e segno di carità», ha concluso monsignor Napolioni, ringraziando i dodici membri della IV Comunità del Cammino neocatecumenale di Cremona cui ha lavato i piedi. Conclusa l’omelia, infatti, dopo essersi cinto il grembiule, il vescovo con brocca e bacile è passato a lavare i loro piedi, ad asciugarli e a baciarli.
Al termine del tradizionale gesto della Messa vespertina del Giovedì Santo, la Messa è proseguita con la preghiera universale e la solenne liturgia eucaristica.
Dopo le comunioni, i lumini accesi distribuiti ai canonici e agli altri concelebranti, hanno preannunciato l’ultimo momento di questa prima celebrazione del Triduo, ovvero la processione del Santissimo Sacramento alla cappella della reposizione, dove il vescovo, i sacerdoti e i fedeli hanno sostato in adorazione silenziosa. E senza più alcuna parola la Messa è terminata. Ma non l’adorazione, continuata in modo personale e proseguita in serata con la preghiera in Cattedrale di singoli e gruppi.
Il video integrale della celebrazione