«Prendere le parti di uno dei contendenti, stare vicini solo al dolore di una parte sarebbe la cosa più semplice. Ma noi vogliamo stare in mezzo, essere ugualmente vicini a tutti», dice suor Valentina Sala riecheggiando il senso profondo dell’intercessione (inter-cedere, stare in mezzo) di cui parlava spesso il cardinal Martini nei suoi anni a Gerusalemme. Quella di questa religiosa, che ha lavorato a lungo come ostetrica nel Saint Joseph Hospital, l’unico ospedale cattolico di Gerusalemme, prima di assumere altri incarichi sempre nella città santa, è una delle testimonianze che hanno connotato, lunedì 27 ottobre, la prima serata del pellegrinaggio dei vescovi lombardi in Terra Santa (presente anche il vescovo di Cremona Antonio Napolioni), iniziato con il volo da Milano a metà giornata.
In un clima familiare, durante e dopo la cena, religiosi, religiose e laici italiani che in vari modi lavorano in ambito ecclesiale a Gerusalemme hanno raccontato ai vescovi e ai loro accompagnatori la propria esperienza, spesso pluriennale, ma che certamente negli ultimi due anni si è fatta particolarmente intensa.
Lo si capisce ascoltando Miriam, videomaker dei media della Custodia, sposata con un palestinese e con un figlio di 4 anni, che racconta il clima pesantissimo seguito al 7 ottobre, la paura per i bombardamenti iraniani dello scorso giugno e il pensiero, che per la prima volta si insinua con insistenza dopo sette anni, di tornare in Italia.
Mons. Pierangelo Pedretti, originario di Cremona ma incardinato nella Diocesi di Roma, lavora invece alla Domus Betaniae, un centro di formazione biblica e spirituale per presbiteri, situato nel luogo che ricorda l’abitazione di Lazzaro, Marta e Maria. Racconta di una sofferenza diffusa, trasversale alle diverse appartenenze religiose e avverte: «In Italia pensate che la guerra sia finita, ma qui si continua a morire, la tregua riguarda una piccola zona e il conflitto ha radici profondissime». Nonostante questo, riesce a trovare segnali di speranza: «Una cosa che apprezzo molto della mia esperienza qui è l’unità che si è creata nella piccola comunità cattolica: consapevoli di essere una minoranza, ci si lascia alle spalle snobismi e divisioni, e si lavora davvero con un cuore solo e un’anima sola».
Prima della cena, a dare in qualche modo il via ufficiale al pellegrinaggio era stata l’Eucaristia presieduta da mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, nella suggestiva Chiesa dei Melchiti, non lontana dalla Porta di Giaffa e dallo stesso albergo in cui risiedono i 32 partecipanti al pellegrinaggio.
«Mentre portiamo dei messaggi di pace agli altri – un passaggio dell’omelia di mons. Beschi – siamo invitati a esaminarci dentro: perché i germi della guerra sono anche dentro di noi. Ogni guerra nasce nel cuore abitato dal peccato e ogni possibilità di pace credibile è frutto della conversione del cuore».
Parole da meditare in vista della intensa giornata di martedì 28 ottobre con in programma la tappa a Betlemme.














