Accanimento terapeutico: on line tutti gli interventi al convegno dei medici cattolici

Nei giorni scorsi l'AMCI ha promosso una giornata di studio su un tema etico di straordinaria attualità. Tra i relatori don Bruno Bignami

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Nei giorni scorsi, presso la sede dell’Associazione Professionisti di Cremona, si è tenuto un partecipato convegno sul tema: “Il rifiuto dell’accanimento terapeutico è una scelta condivisa in ambito bioetico?”.

L’assise è stato organizzata dalla sezione diocesana di Cremona dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani) con il supporto della Fondazione “Carlo Vismara – Giovanni De Petri” di San Bassano, dell’Ordine provinciale di Cremona dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, del Comitato Etico “San Giuseppe Moscati” (intitolato al santo medico di Napoli, è il comitato etico di quattro fondazioni che si occupano di assistenza agli anziani e disabili: il “Vismara” di San Bassano, il “Germani” di Cingia de’ Botti, l’Opera Pia SS Redentore di Castelverde, il “Preyer” di Casalmorano).

Il dott. Gianluigi Perati, presidente della sezione di Cremona dell’AMCI, ha introdotto i lavori congressuali, richiamando che il medico si trova a fronteggiare il limite della vita umana, segnata dalla malattia, ed è chiamato ad agire con equilibrio, nei confini talvolta labili tra giusta terapia ed accanimento terapeutico. Il Dr. Perati ha auspicato che dal convegno possa nascere un dialogo-mediazione tra le diverse posizioni, alla ricerca del “massimo comune denominatore etico”.

È seguito il saluto ai partecipanti del vescovo di Cremona, Mons. Antonio Napolioni. Nel suo sentito intervento il presule ha auspicato che si possa giungere ad un patto per l’uomo e per i più deboli, evitando di cadere nel dualismo corpo-anima: l’uomo è tutto intero ed il bene integrale di ciascuno deve essere al centro del nostro fare, ha ricordato.

Il dott. Salvatore Mannino, direttore sanitario dell’Ospedale di Cremona (di recente rinominato ASST), ha portato il saluto del direttore generale Camillo Rossi ricordando la necessità di accompagnare, affiancare e ispirare i professionisti sanitari.

Il dott. Carnevale, consigliere dell’Ordine dei Medici, ha portato il saluto dell’istituzione ordinistica, richiamando quanto scritto da una commissione della Federazione Nazionale, in occasione di una recente audizione alla Commissione affari sociali della Camera dei Deputati. Con particolare riferimento al dibattito politico sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, l’auspicio dell’ordine professionale dei Medici è che si giunga ad una legge buona, che sappia normare tematiche complesse, tutelando i soggetti più deboli: persone morenti, terminali, ancor più se incapaci. E’ stato sottolineato l’obbligo inderogabile per il medico di tutelare la salute e la vita, anche nella sua qualità, agendo secondo scienza e coscienza.

Presente anche il consigliere regionale Carlo Malvezzi che, portando il proprio saluto, ha rilevato nel convegno il coraggio di chi ama il proprio lavoro e le persone.

Il convegno ha quindi ospitato l’intervento di don Bruno Bignami, sacerdote cremonese docente di Teologia morale e presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari. Bignami si è soffermato sull’accanimento terapeutico, mostrando che esiste un ampio consenso sul suo rifiuto. Già nel 1980 la Congregazione per la dottrina della fede formulò una dichiarazione sull’eutanasia, definita come “azione o omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore”. Il cardine di una valutazione etica è quindi l’intenzionalità. L’Enciclica del 1995 di S. Giovanni Paolo II Evangelium vitae riprese i temi della Dichiarazione del 1980 e si soffermò sul rifiuto dell’accanimento terapeutico, da intendersi come un prolungamento della vita fisica non più rispettoso della dignità della persona; nella Evangelium vitae l’accanimento terapeutico è dato da interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. Contrariamente a quanto, pregiudizialmente o per ignoranza, da molti ritenuto, il Magistero della Chiesa è da molto tempo contrario a qualsiasi forma di accanimento terapeutico, ritenendo essenziale la proporzionalità delle cure, nella cui valutazione sono da considerare il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che essa comporta, le spese necessarie, ma anche le condizioni dell’ammalato e le sue forze fisiche e morali. Il rifiuto della cura da parte del paziente, ha ricordato don Bruno Bignami, non deve essere equiparato al suicidio, ma è accettazione della condizione umana o desiderio di evitare qualcosa di sproporzionato. Esiste anche un diritto a morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana. Anche il Pontificio Consiglio Cor Unum ha affermato che non si deve ritenere che qualsiasi sofferenza e dolore debbano essere sopportati ad ogni costo; la scelta ultima in merito alle terapie spetta al malato ed occorre mettersi in suo ascolto. Se il Magistero rifiuta l’accanimento terapeutico, tale posizione emerge anche chiaramente dal Codice di Deontologia Medica e da un documento del 2008 del Comitato Nazionale per la Bioetica. Don Bruno Bignami ha quindi invitato a riflettere sulla necessità che il medico sia abile nel discernimento etico, ossia capace di esercitare la propria libertà nel prendere decisioni, scegliendo i mezzi più opportuni per raggiungere il fine prefissato, cioè il bene integrale della persona. Il discernimento etico consente di raggiungere una conclusione che non si ferma al livello più comodo o mediocre ma ricerca il meglio possibile in quella situazione; il discernimento consente di passare dalla logica legalistica del minimo indispensabile a quella del massimo possibile. Il discernimento si opera in un contesto di relazionalità vissuta, in cui il medico non è puro esecutore di leggi o volontà predefinite del paziente. Don Bignami ha proposto la figura di un medico “artista”, che esercita l’arte di prendersi cura di tutta la persona; ed anche di un medico “sentinella”, che vigila affinché la persona nella sua integralità resti al centro. Tutto questo in una cultura odierna caratterizzata largamente da una fuga e rimozione della morte, sempre più spostata in luoghi “tecnici” come ospedali, case di cura e di riposo. Il medico sentinella si scontra con una cultura giovanilistica, che non accetta di invecchiare e sovente porta ad una richiesta di cure sproporzionate; suo compito è anche quello di opporsi ad una visione della morte come puro fatto biologico, tecnicizzato e spersonalizzato. Morire, ha ricordato don Bruno, è un atto di affidamento; la morte è il fallimento dell’auto-salvezza.

È seguita la relazione del dott. Piergiorgio Bellani, medico geriatra presso la Fondazione “Vismara – De Petri”, presidente del Comitato Etico “S. Giuseppe Moscati”. Al centro dell’intervento la proporzionalità delle cure in geriatria. Bellani, partendo dalla propria esperienza professionale, ha richiamato che esiste una terminalità fisiologica, spesso oggi dimenticata: quando si è vecchi e malati si può anche morire, soprattutto all’emergere di nuove patologie in un organismo senile, già biograficamente e biologicamente provato. Anche in geriatria si riscontra poi quella sofferenza “globale”, fatta anche di solitudine e abbandono, che non è solo propria del malato oncologico. Le persone anziane comunicano un desiderio di “per sempre” che non deve far scivolare nell’accanimento terapeutico ma esige un livello superiore di risposte. Centrale è sempre un giudizio etico e clinico, sul confine tra corretta terapia e accanimento terapeutico, individuando il momento in cui le terapie e gli accertamenti divengono futili e portatori di nuova sofferenza. Bellani ha anche ricordato il pondus che avvertono persone molto anziane, fragili e vulnerabili, in cui la ferita più grande è la dipendenza, spesso anche la solitudine e la mancanza di affetti. In questo contesto il senso di terminalità è avvertito da tutti: persona anziana, familiari, operatori sanitari. Ed è in questa fase in cui si incontrano due rischi: quello di abbandonare oppure di voler fare di tutto. Occorre entrare nella dimensione di curare un uomo che sta morendo, una vita che si sta compiendo. Permettere la morte non è fare eutanasia, c’è una giusta terminalità. Il cardine è accostarsi a queste situazioni con pietà: siamo uomini, persone accanto ad altre persone.

L’incontro è proseguito con una tavola rotonda, moderata da don Bruno Bignami, in cui sono intervenuti il Prof. Mario Picozzi – Specialista in Medicina Legale, docente dell’Università dell’Insubria ed esperto in questioni di bioetica – ed il Dr. Luciano Orsi, Direttore della Struttura Complessa di Cure Palliative della ASST di Mantova. Numerose le domande poste dall’uditorio ai due relatori. Il Dr. Orsi ha ricordato il problema formativo dei medici, non preparati ad assumere decisioni etiche e con un imprinting formativo basato sulle patologie acute, laddove la maggior parte delle morti in ospedale sono in un contesto di cronicità e terminalità. Anche il Prof. Picozzi ha richiamato la necessità di inserire nei corsi di laurea in medicina discipline come la bioetica e l’etica clinica, passando ad una medicina che spieghi anche perché si fanno le cose. Si è convenuto che l’ultima parola è sempre del paziente, la cui autodeterminazione è centrale; tutti – ha ricordato Picozzi – hanno però una parola da dire, medico, infermiere, parenti; la libertà non è mai ab-soluta, deve far conto di legami all’interno di una storia. Anche il Dr. Orsi ha concordato che l’autodeterminazione è sicuramente all’interno di una relazione, in cui è necessario tempo per informare il paziente perché prenda una decisione consapevole. Il dibattito si è portato sul tema delle DAT, Dichiarazioni/Direttive Anticipate di Trattamento, al centro ormai da anni del dibattito politico, a partire dal ddl Calabrò. Picozzi ed Orsi hanno convenuto sulla necessità che le DAT giungano al termine di un percorso, in cui il medico gioca un ruolo essenziale. Non si può pensare, ha sostenuto Picozzi, ad una dichiarazione resa ad un notaio, come alcuni vorrebbero: si deve giungere ad una legge in cui la relazione sia essenziale. Orsi ha ricordato che nelle situazioni di cronicità c’è sempre tempo per spiegare e parlare con il paziente ed i suoi familiari, per arrivare a sancire una decisione consapevole del paziente su quali cure intende accettare. Come ricordato nella prima relazione anche il Magistero della Chiesa è concorde nel ritenere sproporzionate cure troppo gravose per un malato o la sua famiglia, come per le sue condizioni fisiche o morali. Si è dibattuto anche sul ruolo delle DAT formulate da un soggetto in piena salute (dichiarazioni ora per allora), ritenute necessarie dal Dr. Orsi per quelle condizioni (come un arresto cardiocircolatorio con anossia cerebrale) che possono portare acutamente ed in modo imprevedibile ad uno stato di irreversibile perdita di coscienza.

La tavola rotonda finale ha mostrato che, superati pregiudizi ed ideologie, è possibile un dialogo costruttivo anche tra diverse posizioni bioetiche, trovando numerosi punti di convergenza: il rifiuto di cure sproporzionate; l’accesso alle cure palliative; l’autodeterminazione del paziente inserita in un percorso di relazione, evitando la burocratizzazione. Quando i medici si confrontano con onestà intellettuale, passione per la propria professione e per le persone ammalate, è davvero possibile una ricerca comune di ciò che è bene.

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