A contatto col “male assoluto”, i giovani ad Auschwitz

Nel pomeriggio di venerdì 22 i 125 ragazzi cremonesi accompagnati dal vescovo Antonio hanno visitato il famoso campo di concentramento nazista

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Un brivido gelido ha attraversato la schiena dei 125 giovani cremonesi quando dinanzi a loro è apparso il cancello con la nota frase: «Arbeit macht frei», «il lavoro rende liberi». Tre parole che per i prigionieri di Auschwitz potevano significare speranza, ma che in realtà si trattrava dell’ennesima illusione orchestrata dai nazisti per mascherare la fine di ogni dignità umana.

Lasciata da parte la gioia e la spensieratezza dei momenti precedenti, quello di venerdì 22 luglio è stato un giorno di riflessione, di silenzio, di memoria. Forse un pugno nello stomaco per molti ragazzi, ma salutare, capace di suscitare quella santa indignazione verso quel male assoluto che ha distrutto o segnato la vita di milioni di persone.

Fino alla fine del 1941 Auschwitz ha svolto la funzione di Campo di concentramento, dove la maggioranza dei deportati erano polacchi ed il motivo dell’internamento quello politico; dal 1942 svolse una seconda funzione, diventando il più’ grande centro di sterminio degli ebrei provenienti dai vari paesi europei.

Auschwitz in realtà è un enorme complesso di campi che comprendeva: dal 1940 il Campo di Auschwitz I (Campo base) , dal 1942, a circa tre chilometri, il Campo di Auschwitz II – Birkenau, a circa 6 chilometri il Campo di Auschwitz III – Monowitz (dove fu internato anche Primo Levi) oltre a circa 45 sotto-campi e più di 40 chilometri quadrati di area di competenza del Campo.

I giovani cremonesi, intorno alle 15.30, hanno visitato Auschwitz I dove furono rinchiusi dai 15.000 ai 20.000 prigionieri alla volta. Qui vennero uccise, nella camera a gas o morirono a causa delle impossibili condizioni di lavoro o per percosse, torture, malattie, fame, criminali esperimenti medici, circa 70.000 persone, per lo più intellettuali polacchi e prigionieri di guerra sovietici.

La visita è durata un’ora e mezza e ha permesso di osservare le baracche dove erano rinchiuse le persone, passare attraverso i corridoi di filo spinato e osservare il muro dove avvenivano le fucilizani così come la prima camera a gas. Dei pannelli lungo il percorso hanno permesso di capire come si viveva in questo inferno e a che cosa servivano le varie strutture.

Il gruppo è transitato anche dinanzi al patibolo dove fu impiccato lo spietato comandante del campo, Rudolf Höss, tenente colonnello delle SS, reso celebre, tra l’altro, dal film Schindler’s List di Steven Spilberg.

Difficile stabilire un numero preciso di persone deportate e vittime del Campo in quanto i nazisti, prima di abbandonarlo, distrussero quasi tutta la documentazione. In base agli studi storici (che proseguono tuttora) si stima che circa 1.300.000 persone furono deportate e che oltre 1.100.000 vi furono uccise.

La maggioranza delle vittime è rappresentata dagli ebrei, circa 1.100.000 deportati e circa un milione uccisi; inoltre si contano circa 150.000 polacchi deportati e la metà uccisi nel Campo; quasi 23.000 i Sinti e i Rom, tutti uccisi nel Campo, e circa 25.000 vittime di altre nazionalità, tra di essi anche molti cattolici così come anche persone omosessuali.

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Ha collaborato Matteo Lodigiani

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