La “cultura dell’errore” è al centro della dodicesima puntata della rubrica sulla prevenzione e la tutela curata dal Servizio regionale delle Diocesi lombarde per la tutela minori e adulti vulnerabili. Ogni mese una parola chiave della prevenzione. In tre tempi: significato nella pratica educativa, domande per le relazioni educative personali e comunitarie, strumenti per l’approfondimento.
Nel contesto attuale sembra paradossale parlare di “cultura dell’errore” (l’espressione “cultura dell’errore” si trova nel progetto di prevenzione della Chiesa di Bolzano “Il coraggio di guardare”: https://www.bz-bx.net/it/coraggio-di-guardare.html), vista la notevole resistenza in ogni ambito relazionale e sociale a riconoscere i propri errori. Eppure, per un efficace lavoro di prevenzione nel contesto ecclesiale, sarebbe necessario coltivare la “cultura dell’errore”: non solo per una attenta salvaguardia dei minori e dei più vulnerabili a partire dallo stile e dalle scelte educative e di autenticità verso la persona, ma anche come osservazione del modo di gestire una realtà comunitaria e di governare un’istituzione.
Significato
A fronte di molteplici casi di abuso passati e recenti nella nostra Chiesa, si è dovuto riconoscere la mancanza di una cultura dell’errore. Nonostante nelle comunità cristiane si parli spesso di perdono, anche se l’intera storia biblica ci esorta a riconoscere gli errori, anche se ci è stato donato un sacramento per la conversione e la riconciliazione, spesso ci risulta difficile nominare la colpa e il peccato e convertirci, anche come Chiesa. Sviluppare una cultura dell’errore significa imparare a non nascondere, non occultare, non sminuire e banalizzare gli errori, ma imparare a riconoscerli, nominarli, ammetterli e affrontarli, per correggersi e per individuare progetti di prevenzione veramente efficaci.
La cultura dell’errore sta all’origine del processo preventivo rispetto agli abusi, come passaggio necessario, e presuppone l’onestà e anche la disponibilità a non permettere più che si verifichino iniquità e che si ricrei terreno fertile per nuove ingiustizie. Una buona cultura dell’errore ci rende umili come Chiesa, ma anche decisi nel trattare i passi falsi e le situazioni di peccato nei contesti ecclesiali.
Il racconto biblico presenta storie di ingiustizia, di accusa e di riconoscimento del male compiuto. Si pensi ad esempio alla storia del re Davide (2Sam, 11-12). Nel secondo testamento non c’è nessuna altra figura più emblematica di Pietro nell’illustrare la cultura cristiana dell’errore nel suo significato più vero e profondo e le conversioni che è necessario attraversare. La cultura dell’errore comporta, sia a livello personale che istituzionale (comunità, associazioni, movimenti, diocesi…), differenti passaggi: non nascondere i passi falsi, ammettere gli sbagli, vivere il pentimento effettivo verso le persone ferite, assumere la responsabilità del male compiuto e delle sue conseguenze, imparare dai propri errori e crescere grazie ad essi, non disperarsi, ma trarre a partire proprio da questo processo un rafforzamento del cambiamento che include la propria povertà e che dovrebbe segnare lo stile delle scelte successive.
Domande
- Quali storie di figure bibliche, del primo o secondo testamento, possiamo ripercorre e condividere nel confronto per approfondire il senso e le applicazioni della “cultura dell’errore”.
- Quali sono le resistenze alla “cultura dell’errore” sia a livello personale che nelle nostre comunità? Che cosa manca nella mentalità e nella pratica, nei nostri contesti educativi ed ecclesiali, con giovani e adulti, per coltivare una “cultura dell’errore”?
Strumenti
- BINANTI LUIGI, Sbagliando si impara: una rivalutazione dell’errore, Armando Editore, 2022
- MUSER IVO, Lettera pastorale di Quaresima: per una cultura dell‘errore, 2025, www.bz-bx.net/it/news/dettaglio/lettera-pastorale-quaresima-2025
- RODARI GIANNI, Sbagliando si inventa. Le parole della vita, Artebambini, 2018













