Essere la mano che aiuta la mano del Papa a fare del bene. Affiancarlo nell’annuncio del messaggio cristiano, contribuire alla sua carità verso chi vive una vita non degna, aiutarlo a promuovere la pace. In questo sta il senso dell’Obolo di San Pietro, pratica secolare di solidarietà a sostegno dei Papi che affonda le radici nella stessa sacra Scrittura. Il giorno tradizionale della raccolta è il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo, che quest’anno coincide con l’ultima domenica del mese. Si tratta dunque di un modo concreto per sostenere Leone XIV nella sua missione a servizio della Chiesa universale.
A supporto di questa iniziativa, la Segreteria per l’Economia e il Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede hanno predisposto materiali informativi e multimediali che ne raccontano il significato.
Sul sito ufficiale ObolodiSanPietro.va è possibile contribuire con una donazione su canali digitali sicuri. Come ogni anno, ogni offerta – piccola o grande – sosterrà il Santo Padre nel suo ministero e nelle Sue attività caritative in risposta a situazioni di emergenza e bisogno in tutto il mondo.
San Pietro nella letteratura: un pescatore che apre le strade del Signore
Leone XIV è il nuovo Successore di Pietro, il pescatore, non solo nelle acque di Galilea, ma nel cammino di fondazione del nuovo messaggio. Un uomo semplice, illetterato, eppure scelto da Gesù come guida dopo di lui. Un messaggio sconcertante, soprattutto per i pagani abituati alle sottigliezze retoriche e ad una cultura autoreferenziale. Eppure Gesù ha indicato lui, e lui ha affascinato l’arte a venire, come anche la letteratura.
“Quando sul lago ci trovammo nel pieno della tempesta e noi eravamo terrorizzati, Cristo non ci ha lasciato soli. Perché io, suo discepolo, non dovrei imitare il maestro?”. Sono le parole di Pietro, che nel celebre romanzo “Quo vadis?” di Henryk Sienkiewicz è ai conti finali con la Roma di Nerone, una città – e una civiltà – all’inizio della propria decadenza, in cui solo la nuova Parola rappresenta un segno di rinascita nell’amore e nella carità. È questo un personaggio che deve molto alla “Legenda Aurea” del domenicano Jacopo da Varazze (siamo nel XIII secolo), dove viene narrato proprio l’episodio di Pietro che si lascia convincere a fuggire da Roma durante la persecuzione di Nerone. Mentre sta per lasciare la città, ecco che incontra Gesù, che gli dice di star andando a farsi crocifiggere una seconda volta. Al che l’apostolo decide di tornare indietro e di accettare il proprio destino di testimone fino in fondo della Parola, con quell’atto finale di umiltà nel chiedere di farsi crocifiggere a testa in giù, perché non si sentiva degno di imitare Gesù neanche in quella atroce morte.
Il primo Pontefice assume nelle narrazioni della letteratura moderna (“Quo vadis?” è stato scritto alla fine dell’Ottocento) la dimensione della fedeltà nonostante tutto, non legata ad una obbedienza dogmatica, ma all’aver vissuto in prima persona l’esperienza dell’amore fraterno e della speranza in un senso altro che non quello della soddisfazione materiale.
Non è solo un pescatore illetterato, ma è un uomo che ha fatto, fa e continuerà a fare la Chiesa, ma anche l’arte e la letteratura. Un po’ come il Cantico di Francesco d’Assisi, san Pietro è la dimostrazione reale della geniale veridicità del passo di Matteo in cui si parla della pietra scartata che diviene testata d’angolo. Pietro è prosecutore del messaggio di Cristo. E contemporaneamente protagonista dell’arte e della letteratura.
È questo il personaggio narrato dagli scrittori, anche quelli non credenti o dilaniati dal dubbio, come Baudelaire, che, sembrerà strano, nei suoi celebri “Fiori del male”, in quel suo cammino tra peccato e ricerca di una (im)possibile luce che lo guidi, dedica una poesia al “Rinnegamento di San Pietro” in cui quell’episodio evangelico viene visto dalla parte umana, troppo umana avrebbe detto Nietzsche, giustificando la paura di un uomo che, come tutti, ha paura della tortura e della morte. Quello di Baudelaire è un Pietro più uomo che fedele seguace di quella che, nella laica Francia delle rivoluzioni e delle rivolte contro qualsiasi forma di potere, era vista come una superstizione.
Per Dante, uno dei maestri di tutto ciò che avverrà poi, invece Pietro è trasfigurato in un’entità ormai parte della perfezione celeste. L’antico pescatore analfabeta ora è divenuto parte fondamentale del terzo regno; ed è lui a interrogare Dante. Nel XXIV canto del Paradiso è addirittura il magister portatore di una verità che non è inutile cultura fine a se stessa, ma essenza di ogni cosa. Tant’è vero che la sua domanda non è solo e non tanto dottrinale, perché chiede “semplicemente”: “Fede che è?”. Non solo dottrina quindi, perché Pietro appare a Dante acceso da una forza ardente di carità, di un amore capace di fondere l’umano con il divino. E di continuare a parlare agli uomini di ogni tempo e luogo.
Marco Testi (AgenSir)