Seminario: il sogno diventa un seme

Come ogni terza domenica di Avvento si celebra la Giornata diocesana di preghiera e aiuto concreto: intervista al rettore don D'Agostino. On-line il messaggio del Vescovo e alcuni sussidi

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L’11 dicembre, come ogni terza domenica di Avvento, si celebra in diocesi la Giornata del Seminario. Per l’occasione il vescovo Antonio ha scritto un messaggio dal titolo “Il sogno diventa un seme”. In preparazione della ricorrenza il Seminario ha predisposto alcuni strumenti di preghiera e approfondimento. Abbiamo colto l’occasione per porre alcune domande al nuovo rettore, don Marco d’Agostino.

Messaggio del vescovo Antonio

Brochure per la Giornata del Seminario 2016

Locandina della Giornata

Schema di adorazione         Preghiera

 

Don D’Agostino, anche se da decenni la terza domenica di Avvento si celebra la Giornata del Seminario è sempre bene ribadire i motivi di questa ricorrenza…

«Anzitutto il ringraziamento al Signore perché non smette di far sentire la sua voce e smuove, chiama, incoraggia i ragazzi e i giovani di oggi. La gratitudine è anche per le comunità cristiane, gli oratori, le associazioni e i movimenti che s’interfacciano con le famiglie perché i figli siano ancora dono per la Chiesa. Infine è una giornata “vocazionale” nella quale tutti riscopriamo la nostra vocazione battesimale di figli e quanto, insieme, abbiamo potuto lavorare per il Regno di Dio».

Tema di quest’anno è “Un cantiere per sognare la Chiesa”. Quale il messaggio che volete trasmettere alle persone in questa Giornata 2016?

«Le linee pastorali sono state scritte dal vescovo Antonio sulla Chiesa “cantiere”. Dio è il progettista e noi le mani, la forza, la creatività. Ma non da soli. Non senza progetti, non a caso. Sempre insieme. Il seminario è dentro la comunità diocesana e si sente vivamente parte del presbiterio. Se respira con quei polmoni può anche sognare con quel cuore».

Tra le novità di quest’anno spicca certamente l’ingresso di ben cinque giovani in propedeutica, un fatto certo molto positivo. Si sta invertendo il trend negativo di questi ultimi anni?

«Io non sono devoto dei numeri. Sono un dono, ma anche un monito. Nessuno di noi ha fatto nulla per la loro vocazione. Come nessuno ha lavorato male negli anni precedenti. Il Papa ricorda che “Dio è sorprendente”. Lo è nei doni e nelle privazioni. Ci chiede di saper leggere la storia con umiltà, riconoscenza e fede. Certamente chiama. E il trend s’inverte se ci aiutiamo a rispondere».

Altra novità è la sistemazione di un’ala dello stabile dedicata esclusivamente ai seminaristi e che avete arredato come una casa. Qual è l’intento di questa scelta?

«Il Seminario è una casa. E chi ci abita è chiamato a vivere in famiglia. Anche chi ci passa. Sistemare i muri e i mobili è la cosa più semplici. Adesso è tempo di sentirsi a casa. “Abitare” è stato uno dei verbi del Convegno di Firenze. Se si fa l’esperienza della bontà e della misericordia del Signore, della fraternità, della carità reciproca. Solo così si potrà “uscire” e testimoniare ciò che insieme abbiamo potuto vivere».

Infine c’è stato un cambiamento anche negli orari di studio dei seminaristi che quasi quotidianamente si spostano a Lodi per seguire le lezioni di teologia. Come attualmente è strutturata la settimana dei seminaristi?

«Dal lunedì al giovedì la scuola è a Lodi e il pranzo è alle 14. La sveglia suona prima e la preghiera inizia al mattino alle 6.30. Venerdì e sabato sono due giorni più distesi perché si è a casa per lo studio o altre attività pastorali. La propedeutica ha un suo calendario settimanale differente da quello della comunità, con momenti d’insieme. Simbolicamente il lunedì è il momento della comunità (con la messa alla sera tutti insieme e, dopo cena, il momento mariano o missionario); il martedì è il giorno della Parola, spezzata in seminario, o in famiglia o da un prete diocesano; il mercoledì è il giorno formativo, con la riunione comunitaria e il confronto fraterno; il giovedì il giorno dell’adorazione prolungata; il venerdì il giorno della carità (visita ai preti malati o ai parenti e amici malati); sabato e domenica i giorni dell’esperienza pastorale e presbiterale accanto a un prete e alla sua gente. Sono tentativi…».

Il Vescovo nel suo messaggio invoca un Seminario non clericalmente tranquillo, ma cristianamente inquieto. Come concretamente state mettendo in atto questo suo desiderio?

«Intanto il Seminario vuole essere una comunità di giovani in cammino. È bello che il suo magazine, così ben rinnovato, si chiami “Chiesa in cammino”. Vogliamo essere una comunità in cammino, sulla via che il Vangelo e la Chiesa tracciano. In questo sta l’inquietudine. Non nel problematizzare tutto, ma nel non essere mai sufficientemente all’opera perché il Vangelo penetri profondamente in noi e ci converta. In questo tanta gente ci dà una mano. Le esperienze interne ed esterne che i seminaristi vivono raccontano come il Signore si serva di tutti per porre domande, “svegliarci” dal torpore, essere autentici e liberi».

Sempre nel suo messaggio mons. Napolioni sogna il Seminario come una “comunità giovane, aperta ad altri giovani”. Vi sono iniziative al riguardo?

«Sì. Il Seminario è aperto ai giovani che vogliono pregare, cenare, stare un po’ con la comunità. Abbiamo vissuto una bella serata, il 3 novembre scorso, primi vespri di San Carlo Borromeo, nostro patrono, con gli amici dei seminaristi. Erano tavolate di giovani che hanno condiviso la preghiera, la cena e il dopo cena. Nella serenità e gratuità di un incontro. C’è anche una piccola iniziativa della domenica sera. I giovani che sono seriamente incamminati per il discernimento cenano, celebrano i vespri con la comunità, vivono fraternamente e il lunedì partecipano a qualche momento della vita del Seminario. Sono gocce di speranza e di fiducia».

C’è anche una nuova esperienza: la lectio divina dei seminaristi con alcune famiglie. Di che si tratta?

«Come accennato sopra un martedì al mese ogni seminaristi, dopo aver celebrato il vespro insieme e aver sentito un pensiero di meditazione sul vangelo già preparato durante i giorni precedenti, si reca in una famiglia (sempre quella per tutto l’anno) e lì condivide la Parola, non da maestro, ma da discepolo. Ogni famiglia ha le sue caratteristiche (bambini piccoli, adolescenti, giovani, difficoltà e malattie…) e queste servono per permettere ai seminaristi di rapportarsi con le realtà più diversificate e soprattutto, al ritorno (fissato per le 22.30) poter condividere pensieri e situazioni che non avrebbero trovato rimanendo in casa. L’iniziativa sembra ben avviata e il 19 dicembre ci si ritrova tutti insieme qui in Seminario».

Infine, come poter aiutare concretamente il Seminario?

«Anzitutto con la preghiera, l’amicizia, il ricordo. Insieme a questo il Seminario vive di carità e su questa fonda la sua opera di educazione. Fa impressione vedere quante persone, nella loro semplicità, donano ciò che hanno per il Seminario e per la formazione dei seminaristi. Ci sono tanti volontari che danno una mano al Seminario e questo permette di poter gustare la squisita carità che tanti ci vogliono e di saperne far tesoro perché la vita dei futuri pastori prenda spunto dalla dedizione di tante pecore che ci sono testimoni di vita e di amore».

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