Moni Ovadia a Bozzolo per la tre giorni dedicata a don Mazzolari (AUDIO e FOTO)

Partendo dall’evocazione della situazione umana del viaggiare sino a una riflessione sul comandamento dell'amore

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Una serata molto partecipata e intensa quella di sabato 15 giugno a Bozzolo nella cascina di fronte alla Fondazione don Primo Mazzolari. Ospite, all’interno della rassegna di tre giorni dedicata a don Mazzolari, Moni Ovadia, famoso artista eclettico e intellettuale italiano di origini bulgare e di cultura yiddish.

L’atmosfera nella cascina è stata molto accogliente, preceduta da una semplice cena a buffet animata da una band giovanile durante la quale i partecipanti hanno potuto conoscersi e intrattenersi anche con il celebre relatore, giunto prima anche per avere la possibilità di fare visita alla Fondazione.

Don Bruno Bignami, presidente della Fondazione, ha introdotto l’incontro ricordando che la cascina è stata uno dei tre elementi evidenziati da papa Francesco durante la sua visita a Bozzolo due anni fa (insieme al fiume e alla grande pianura): “la figura della cascina è però pericolosa – ha affermato don Bignami – perché può diventare sinonimo di chiusura, mentre il suo vero significato deve essere quello del vivere insieme in comunità, come una famiglia”.

Moni Ovadia è stato introdotto dal professor Enrico Garlaschelli, docente di filosofia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e docente presso l’Istituto di scienze religiose di Mantova, che ha voluto indicare come questa rassegna (organizzata per la prima volta) sia un tentativo di andare oltre i soli libri di Mazzolari per provare a riflettere e ragionare anche di materie come l’economia, la filosofia o l’ecologia, per tentare altre strade entrando in azione e accettando le novità. Presentando l’ospite ha sottolineato come “Moni è una persona difficilmente catalogabile, è una persona a tutto tondo che, come don Primo, pensando ai lontani li sente vicini”.

Moni Ovadia ha saputo coinvolgere i numerosi presenti con parole intense e profonde, partendo dall’evocazione della situazione umana del viaggiare: “da Abramo a Odisseo il viaggio è la scoperta dell’umano e di se stessi. Abramo nel suo viaggio scopre Dio e che l’etica del viandante si identifica con l’etica dello straniero perché, come ci insegnano i maestri cabalisti, il cammino più grande è quello che si innesca quando si va incontro all’altro”. L’artista ha poi ricordato che “come Abramo riceve la benedizione universale da Dio, una benedizione che è unica ma che si declina in diversi modi per ogni famiglia, popolo e religione, così Odisseo non è protagonista di un grande poema perché è tornato a Itaca dalla famiglia e l’ha circondata col filo spinato ma perché compie un percorso di conoscenza, di identità che va verso l’altro con curiosità”. Così è stata poi introdotta la figura di don Mazzolari.

È iniziato poi un percorso sulle parole di Gesù che invitano ad amare il prossimo, ad amare lo straniero perché “in ogni essere umano c’è l’immagine di Dio, che è l’immagine dell’amore. In ebraico si può omettere il verbo essere e, secondo alcune interpretazione, il comandamento dell’amore può essere letto in una diversa chiave: ‘ama il prossimo tuo che è te stesso’, diventando così un invito alla pace. Infatti, secondo la Bibbia, abbiamo tutti un unico progenitore, Adamo, per ricordarci che nessuno può così vantare un’ascendenza superiore”.

Garlaschelli ha poi voluto provocare Ovadia ripartendo da don Primo, per il quale tutti sono esuli, poiché non c’è nessun pellegrino come il cristiano che è in un cammino di formazione umana. A questa provocazione l’artista ha voluto dare risposta indicando come “la giustizia e l’uguaglianza sociale dovrebbero essere alla base della convivenza umana, andando oltre l’idea dell’appartenenza della terra, poiché in realtà essa non ci appartiene: è soltanto un dono che riceviamo. Ci possiamo così ricordare che la fragilità è ciò che caratterizza l’uomo e senza questa si perderebbe l’umanità: questa precarietà ci ricorda che in ogni momento la nostra vita può cambiare e ciò non dipende dalla nostra grandezza o dal nostro potere. Ed è proprio nell’accogliere questa fragilità che i grandi padri biblici, attraverso i loro difetti si sono potuti mettere in contatto con Dio: infatti è nella fragilità che splende la grandezza dell’essere umano”.

Ovadia, che non è cristiano e ha deciso di uscire dalla comunità ebraica, è comunque profondo conoscitore delle Scritture (della Torah come della Bibbia cattolica, ma anche del Corano) e ha voluto ricordare come per i cattolici, per definizione stessa del termine, il Vangelo è per tutti, è di tutti e che la più grande blasfemia è fare di questo libro un simbolo di parte”.

Al termine della serata è stata omaggiata all’artista una maglietta personalizzata con le parole di don Primo “Ciò che è bello non si lascia prendere”.

Matteo Lodigiani

 

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Segue, nella giornata di lunedì, il resoconto della giornata di domenica con il convegno su don Antonini.

TeleRadio Cremona Cittanova
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