L’esperienza della paternità secondo il modello di S. Giuseppe

Partecipato incontro nel pomeriggio di martedì 14 marzo presso il Civico 81 di Cremona con gli autori del libro “Giuseppe siamo noi”

image_pdfimage_print

 

Per discutere della figura del padre, sala conferenze gremita martedì 14 marzo al Civico 81 di via Bonomelli, a Cremona. Segno di quanto l’argomento interpelli oggi le famiglie e la società. “Giuseppe siamo noi” è stato il titolo scelto per l’incontro, traendo spunto dall’omonimo libro, presentato alla presenza degli autori, Johnny Dotti e padre Mario Aldegani. Il primo è imprenditore sociale, pedagogista e docente universitario presso la facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano; il secondo, sacerdote dei Giuseppini del Murialdo, è insegnante ed educatore.

Il modello di riferimento è san Giuseppe, con cui si ritiene che le generazioni adulte di oggi abbiano molti tratti in comune in termini di avventura umana e spirituale: «Per circa 1.800 anni la voce del padre è stata sinonimo di autorità, con un ruolo preciso nell’assetto sociale ed in un rapporto asimmetrico e verticale verso i figli – ha evidenziato Dotti, peraltro marito e quattro volte padre –. Negli ultimi vent’anni la sua figura è scivolata, invece, verso un’idea di padre-amico in rapporto simmetrico». Due figure, che oggi «non stanno più insieme». Quindi, cosa resta? «Resta Giuseppe», Youssef di Nazareth, «che non ha paura della sua fragilità». Non basta insomma essere “giusti”, lui «impara da suo Figlio», si instaura cioè un rapporto di reciprocità, per il quale «Giuseppe è padre di Gesù, in quanto c’è Gesù», il che è vero «anche per noi oggi. Ognuno di noi è il “tu” dell’altro».

Dal canto suo, padre Aldegani ha evidenziato come «il Vangelo dica poche cose di Giuseppe e Giuseppe non dica niente di sé», sebbene «la traccia del padre sia in ognuno di noi, anche quando non ce ne si renda conto. Gesù ha fatto con Giuseppe la propria esperienza umana di paternità», particolarmente attenta: «Giuseppe c’è quando ci deve essere e non c’è più quando non ci deve essere. Lui la quotidianità l’ha vissuta fino in fondo, non solo nei tre anni di vita pubblica, bensì anche nei trenta di vita nascosta».

Sono state poi suggerite alcune parole-chiave, in primis l’«abitare» inteso come «relazione con il silenzio, il mistero e il tempo – ha sottolineato Dotti –. È necessario non confondere l’intimità con l’isolamento». Un buon aiuto per quanti, padri e non, siano chiamati ogni giorno a confrontarsi con la sfida educativa, a tratti faticosa, ma pur sempre entusiasmante.

Mauro Faverzani

Photogallery

Facebooktwittermail