Dopo Gmg, don Arienti: «Quanto sperimentato porterà frutto»

"Tra Cracovia e Panama non scorgiamo solo una cronologia di tre anni, ma vediamo anche la geografia delle nostre strade cremonesi, delle nostre relazioni ecclesiali, del nostro cammino che è esattamente la consegna per noi della vita vera"

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Si è appena conclusa un’altra Ggm (per molti la prima, per altri, più veterani, la terza… la quarta… la quinta) e già si percepisce il gusto un poco amaro dell’assenza, proprio quando ci si accorge che il tempo passa, inesorabile, e “consuma” gli attimi di un incontro, di una emozione e di una vicinanza.

 

Siamo tornati

Il viaggio in notturna del rientro, la sera del 31 luglio, ha fatto risvegliare i ragazzi cremonesi già quasi in territorio austriaco: la Polonia sembrava già così lontana; altra moneta, altra lingua sui cartelli autostradali e nelle aree di sosta, altro paesaggio. Una distanza si era ormai consumata; per certi versi giusta, perché imparassimo ancora una volta quella “giustizia degli affetti” che non pretende di legare e fissare in un attimo, ma lascia vivere, ama e consegna: come ci hanno insegnato, nella gratuità, i nostri padroni di casa polacchi, capaci di un servizio instancabile e libero, forte e discreto, preciso e gioviale, fedele e caparbio.

E mentre ci si trovava in casa d’altri a sperimentare la bellezza concreta di una Chiesa che si apre perché riconosce che non esistono stranieri irriducibili, ma solo fratelli degni di essere accolti, si sono intrecciate con i nostri vissuti, le camminate, le attese snervanti di autobus poi spariti o di tram stracarichi di ragazzi, le parole di Francesco e gli insegnamenti di suoi due confratelli: il vescovo Nazzareno di Macerata e il vescovo Antonio.

Il primo l’abbiamo sentito vicinissimo, benché agli occhi non apparisse che un piccolo segmento di qualche millimetro, “rapito” da un palco che fatalmente lo separava dai ragazzi. Ma le sue parole, quelle, le abbiamo davvero ascoltate: quando ha confessato la sua rabbia davanti ai giovani “pensionati”, quando ha abbracciato le storie di riscatto e amore rinnovato di giovani vite; quando ha taciuto – proprio come noi – percorrendo le vie cartesiane di Auschwitz, dove tutto è ancora mortalmente al suo posto; quando ha riferito ai più giovani la vicenda di Zaccheo e quel suo cambiar vita perché un pezzo di mondo potesse cambiare, allora come oggi. Le sue parole sono state una denuncia della paralisi, delle vite-museo, della chiusura e del potere devastante dei divani che anestetizzano; ma sono state anche e soprattutto uno sprone alla costruzione di ponti, alla passione per orizzonti nuovi, al lasciare impronte e usare per il bene mani intelligenti.

Dal canto loro i vescovi Nazzareno ed Antonio ci hanno ricordato che la misericordia, tanto cantata per le strade polacche in tutte le lingue del mondo, non è né un mantra né una formula magica, quanto piuttosto una verità vitale che cerca casa in noi, che attende un riconoscimento e una traduzione in stile. Se vuole sopravvivere, il mondo non può consegnarsi né alla violenza cieca né alla vendetta disumana: la storia attende la fraternità, la desidera oltre le difese e i meccanismi psicologici del narcisismo che giudica o della paura che si difende.

 

Abbiamo gratitudine nel cuore

L’abbiamo ripetuto tante volte: nelle famiglie, in parrocchia, tra di noi o quando i volontari di Wola a mezzanotte ancora ci aspettavano per un the caldo o una fetta di torta alla ricotta: “grazie”. Ed è la gratitudine il volto più concreto della misericordia: non sono un chinarsi verso chi è di meno, ma soprattutto un farlo entrare, un ospitarlo, un tenerselo a cuore. E così è stato. Ed è stata, ancora una volta, Chiesa.

 

Guardiamo ad oggi, verifica della GMG

Ed ora in Italia? Certo nulla cambierà con il tocco magico di una formula. Eppure siamo convinti che quanto abbiamo sperimentato, si sedimenterà e porterà frutto, nella misura che solo la sapienza evangelica conosce, senza alcun giudizio sprezzante sulla giovane età dell’uno o sui limiti dell’altro. Una cosa sola sappiamo: che quel mondo in attesa di entusiasmi e decisioni di bene da parte dei giovani, c’è davvero ed è il nostro, l’unico esistente, dove va costruita la stoffa dell’umano.

Papa Francesco ha riconsegnato le diverse metafore impiegate nei giorni di Gmg alla concreta storia di ciascuno, perché una lotta di bene e una scelta di pace si profilino in ciascuno. Da qui ripartiamo, nel racconto grato in parrocchia, nelle feste degli Oratori, tra amici e parenti; da qui, da questo “oggi” che nessuno può strapparci di mano, come quella libertà che Francesco ha così vigorosamente riconsegnato al “sì” di ogni giovane.

Tra Cracovia e Panama – sede della prossima GMG nel 2019 – non scorgiamo solo una cronologia di tre anni, ma vediamo anche la geografia delle nostre strade cremonesi, delle nostre relazioni ecclesiali, del nostro cammino che è esattamente la consegna per noi della vita vera.

Buon cammino!

 

don Paolo Arienti
incaricato Pastorale giovanile
Diocesi di Cremona

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