«Lo sport affascina perchè metafora della vita»

La riflessione di don Paolo Arienti, consulente del CSI cremonese, a pochi giorni dall'inizio dei giochi olimpici di Rio de Janeiro

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Molti ragazzi, ma anche adulti, hanno detto nei giorni scorsi: “Resto incollato a vedere i giochi di Rio”. Certo le emozioni che lo sport suscita sono molte, soprattutto per il fatto che tutto un mondo confluisca in pochi attimi, consumati tra sforzi di intelligenza e forza e alzabandiera multicolori. Credo che affascini anche la forza della disciplina che non è solo questione muscolare, ma attitudine di tutta un’esistenza… appunto disciplinata, orientata, protesa ad un risultato (il massimo per sé, senza sconti) e originata da una passione. Davvero ci affascina questo sport, metafora della vita.

Ma a Rio lo sport è anche altro: è stato ed è purtroppo “narcotico” per i più poveri, in una terra dove fatalismo e vitalismo si mescolano e spingono comunque a sorridere al sole e al Cristo del Corcovado; è stato ed è sogno, desiderio, finestra su di un mondo che puoi intravvedere oltre il muro della Favela o dal balcone della tua casupola.

E se sono un pugno in pancia gli sfarzi sfavillanti e le opere faraoniche omaggiate alle TV del mondo intero… resta sempre il sogno degli outsiders, l’orgoglio di gente dal sangue pulito, la dignità di chi fa parte addirittura di una squadra di profughi. Molti hanno dovuto convertire il proprio agonismo in resistenza a viaggi disumani e solo ora, per chi ce l’ha fatta, si tratta di riprendersi la propria passione che il deserto o il mare o la ferocia del simile stavano per strappare. Anche in memoria di chi non ce l’ha fatta. Francesco chiede che lo spirito olimpionico sia rispettato e funzioni come quella spettacolare macchina che ha preso vita dal braciere olimpico, comandata dalla forza invisibile del calore. Che questo calore ci sia ed assuma il volto (e non la maschera) della solidarietà vera che il popolo brasiliano desidera, segno del desiderio di tantissimi popoli.

Ove le contraddizioni rischiano di assuefarci – come nel mondo entusiasmante e commerciale degli sport -, serve più vigilanza, serena e convinta, perché noi si possa essere differenti: nel pensiero, nella speranza, nel lavoro quotidiano.

Differenti perché legittimamente lontani da costi che comportino il sacrificio anonimo di altri, da scelte che impongano all’ultimo di restare sempre e comunque indietro, da vetrine che rischiano di oscurare il lavoro onesto e quotidiano di chi per passione sfida l’umano e i suoi limiti.

Spostare l’asticella sempre più in là, liberi dal mito di Prometeo, non è rubare: è onorare.

Che lo sport, quello grande e luccicante delle Olimpiadi, come il “nostro”, più piccolo dove tutti possono giocare  e con benedizione ci si accoglie… sia un onorare.

Don Paolo Arienti
Consulente CSI

 

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