Il dialogo a tutto campo tra Bertinotti e Carron in una Cattedrale gremita

Introdotti da mons. Napolioni i due relatori hanno riflettuto sul futuro della società e sull'importanza della speranza

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«Fausto», «Jiulián»: questo reciproco riconoscimento non solo di nomi, ma di identità, è risuonato, senza che in ciò vi fosse nulla di affettato, in una Cattedrale gremita all’inverosimile giovedì 7 aprile, a Cremona. Certo, insolita l’abbinata seduta al tavolo dei relatori: da una parte, Fausto Bertinotti, ex-Presidente della Camera dei Deputati, oggi al vertice della Fondazione «Cercare ancora», una militanza decennale e convinta, da leader, nelle fila del comunismo italiano; dall’altra, don Julián Carron, succeduto al fondatore, don Luigi Giussani, alla guida del movimento di «Comunione e Liberazione».

Spunto e tema dell’incontro, coordinato dall’avv. Paolo Mirri responsabile diocesano della Fraternità di Cl, è stato il primo libro scritto da don Carron ed edito da Rizzoli, «La bellezza disarmata», libro in cui l’attualità viene analizzata nelle sue varie evidenze – immigrazione, famiglia, Europa, terrorismo, e via dicendo -, rilette mantenendo sullo sfondo la crisi della cultura occidentale.

Il Vescovo, mons. Antonio Napolioni, fermatosi all’intero incontro, nel breve saluto introduttivo ha evidenziato come il luogo scelto per l’iniziativa non fosse casuale, ma volesse indicare la «Cattedrale come luogo di dialogo, come luogo di incontro», chiedendo ai relatori di aiutare ad essere «disarmati e disarmanti».

Saluto del vescovo Antonio Napolioni

L’on. Bertinotti, nel corso del suo intervento, non ha risparmiato critiche a Marx ed allo stalinismo: oggi, però, il capitalismo, a suo giudizio, avrebbe «riassunto una vocazione totalitaria» e riconquistato «l’ambizione a plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza», a trasformare le «persone in merci senza diritti. I nostri figli stanno peggio di noi – ha osservato – non solo economicamente, bensì anche come prospettiva di vita» e di speranza. La stessa democrazia sarebbe «ridotta ormai ad un fantasma», mentre la politica avrebbe smarrito il «senso del limite». Insomma, una situazione nient’affatto invidiabile, quella descritta. Da tutto questo giungerebbe però la necessità di un «nuovo inizio», come presa d’atto della sconfitta della rivoluzione e del movimento operaio da un lato, nonché del fatto di trovarci, per i motivi descritti, su di un «terreno pericoloso» dall’altro. Ciò richiederebbe uno sguardo prospettico, impossibile senza la dimensione della fede, in qualcosa od in Qualcuno. Bertinotti non ha nascosto d’aver trovato in questo sintonia interpretativa e di analisi con l’enciclica di papa Francesco, «Laudato sì». Si è poi detto, invece, più sospettoso di don Carron sul concetto di bellezza, intesa come «manifestazione di arroganza, armata del potere della moda per una minimizzazione della persona. Solo quando si disarma – ha concluso – la bellezza può diventare levatrice di un incontro».

Dal canto suo, don Carron, ha esordito, dicendosi disposto a sottoscrivere la definizione di totalitarismo proposta da Bertinotti. Ha poi precisato come sostanzialmente l’uomo per primo abbia ricercato la propria sconfitta, acconsentendo ad una rivoluzione, che avesse implicito il fenomeno di «passivizzazione». L’«emergenza educativa» consisterebbe proprio in questo, nel predisporre – docenti e genitori assieme – «qualcosa che possa dare ai ragazzi un di più, per il quale la vita sia degna degli uomini». In tal senso, don Carron ha individuato nel Concilio Vaticano II «un momento profetico, una mossa dello Spirito, il riconoscimento da parte della Chiesa della necessità di un nuovo inizio», cui prima, neppur con le chiese ed i seminari strapieni, si era pensato: «Occorre che accada questo nuovo inizio – ha aggiunto – affinché tutti possiamo trovare lo sguardo giusto per poter affrontare con successo questa situazione», percorrendo un cammino, che consenta di sentire «l’accento di verità dell’altro». Rispetto al passato, oggi avremmo «un vantaggio – come ha precisato don Carron – ovvero «il fatto di esser un po’ tutti meno presuntuosi». La “ricetta”, a suo giudizio, consisterebbe nel valorizzare «il positivo, pur nel suo limite. Un atteggiamento, questo, che permette di incontrare chiunque e questo fatto genera cultura. La tensione consiste allora nel cogliere le briciole di bellezza, di beni e di valori. Tutti quanti oggi siamo davanti a questa sfida, ch’è al contempo un’occasione preziosa ed una fonte di domande. E’ bello poter cominciare un dialogo a tutto campo», ha concluso, donando evidentemente spunti importanti di speranza, specie in una situazione, a livello sociale, come quella attuale. Al folto pubblico è stato affidato ora il compito di meditare su questi spunti ed elaborare in cuor proprio la strada da percorrere.

Mauro Faverzani

Primo intervento di Fausto Bertinotti

Primo intervento di don Julián Carrón

Secondo intervento di Fausto Bertinotti

Secondo intervento di don Julián Carrón

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