La visione dell’universo è un argomento che ha affascinato l’uomo fin dall’alba dei tempi. Le stelle, i pianeti e le galassie rappresentano anche oggi un tema tanto vasto quanto complesso, una realtà studiata e discussa ma ancora misteriosa e sfuggente sotto diversi punti di vista.
Nella mattina di sabato 30 novembre, il salone Bonomelli del Seminario Vescovile di Cremona è diventato il palco di un confronto fatto sullo stesso argomento, ma da due punti di vista diversi, il focus è la visione dell’universo che ci circonda. Da una parte l’analisi scientifica e metodologica del cosmo, spiegata e descritta dallo scienziato e cosmologo Davide Maino, professore associato in fisica sperimentale presso l’Università degli studi di Milano, dall’altra don Giuseppe Rizzardi, docente di islamistica presso la facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano.
L’incontro, moderato dal professor Giacomo Raffo, docente di filosofia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant’Agostino, è stato un momento dove l’analisi scientifica, caratterizzata dal metodo galileiano, si è confrontata con la visione teologica, fatta di fede e tradizione secolare.
«Nelle culture vediche, islamiche ed ebraiche si può parlare di “cosmopatia” – ha spiegato don Rizzardi – si tratta di culture che partecipano al cosmo ma non indicano l’origine e la fine dello stesso. L’attenzione si pone quindi sull’uomo, e come quest’ultimo si rapporta con l’universo, del quale si sa molto poco. Nasce quindi la spiritualità “cosmopatica”, ovvero quella dove c’è una convivenza di percezioni: siamo parte profonda del mondo, non due entità separate».
Al centro del confronto la questione centenaria che vede la separazione tra fede e ragione, e come queste possano in qualche modo conciliarsi facendo emergere un legame tra la scienza e le scritture. Entrando nel merito, don Giuseppe Rizzardi ha spiegato che «oggi si sta superando il divario fra fede e ragione. Pur sapendo che i due metodi di conoscenza hanno strutture differenti, si può dire che le difficoltà da superare ruotino attorno al concetto di rivelazione; non più un pensiero che scende dall’alto e va compreso con l’uso della ragione, quanto piuttosto una conoscenza che dal basso va a costituire le basi del concetto di rivelazione. La conoscenza entra nel mistero della rivelazione come partecipante del concetto stesso, questo è il salto che bisogna fare per riconciliare la fede con la ragione».
Attraverso un’analisi precisa e metodologica della storia della scienza occidentale, il professor Maino ha esposto quali sono stati i momenti che hanno caratterizzato il fondamento della cosmologia. Ha infatti spiegato che «il punto di partenza è lo stupore davanti ai misteri della realtà. I fenomeni ci restituiscono dei dati, e davanti a questi serve un’analisi rispettosa, mirate al fine ultimo della conoscenza. Lo scienziato pone domande alla realtà, e quest’ultima risponde, è solo questione di aguzzare lo sguardo per trovare la strada gusta da percorrere, per vedere le risposte che sono davanti a noi, ma coperte da un velo».
Proprio come nelle culture cosmopatiche, anche nella scienza l’uomo si rapporta con il cosmo: «I protagonisti del gioco della ricerca sono il soggetto che ricerca e l’universo che viene studiato. Si parte dall’ipotesi della conoscibilità della realtà, un preconcetto buono che apre tante strade, che mi spinge a fare tutto per arrivare alla conoscenza. A volte, però, bisogna arrendersi davanti all’evidenza: la realtà ci mostra com’è fatta, non è la nostra teoria che la caratterizza. Il lavoro dello scienziato è anche quello di fare un passo indietro quando i dati dimostrano che si sta percorrendo la strada sbagliata. Se uno è veramente leale avrà lo scopo di capire come stanno veramente le cose».