Compie 200 anni l’Oratorio di S. Maria Prima a Commessaggio

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A Commessaggio la “Via Santa Maria” corrisponde a un lungo tratto di strada arginale che, partendo dal lato est del “Peschierone”, volge verso sud fiancheggiando dapprima il lato sinistro del canale Navarolo e, successivamente, quello del canale Bogina, fino alla località “Le Basse”. Per i commessaggesi è scontato come la chiesetta che si erge solitaria, a qualche centinaio di metri dall’inizio dell’argine, sulla sinistra, si chiami “Santa Maria Prima”; forse non è altrettanto scontato sapere perché sia “prima” quando, procedendo, non se ne incontra una seconda. Ma i commessaggesi “doc” e di una certa età, sanno che “Santa Maria Seconda” esiste, seppur ridotta a toponimo indicante una località anziché una chiesa.

Se poi si considera che Santa Maria “prima” è stata costruita nel 1824, quando la “seconda” esisteva già da alcuni secoli, la cosa si ingarbuglia un poco; tuttavia, per sbrogliarla basta qualche cenno storico utile a capire da dove abbia origine la vicenda dell’oratorio che quest’anno festeggia due secoli di vita.

 

SANTA MARIA “IN RIPA D’ADDA”

Due mappe del 1783, conservate nell’Archivio di Stato di Mantova, indicano con il nome di “S. Maria in Ripa d’Adda” il piccolo abitato oggi detto di “S. Maria seconda”. Il titolo “in Ripa d’Adda” (fonte di discussione tra gli storici per la sua singolarità) è costantemente usato dai documenti che, nel corso dei secoli, parlano di questa chiesa. Gli storici Angelo Grandi (1856) e Antonio Parazzi (1894 e 1896) la danno già esistente nel XII secolo. Gli atti della visita pastorale del vescovo Litta (1719) parlano del 1512 come anno in cui l’oratorio sarebbe stato eretto: nulla, però, impedisce di pensare che possa trattarsi dell’anno relativo a una sua ricostruzione. Dalla stessa visita si apprende pure che la chiesa è intitolata all’Annunciazione; conferma indiretta viene da un documento, senza data, che riferisce di un’indulgenza plenaria concessa da Papa Innocenzo XI (1700-1721) “a quanti visiteranno l’oratorio di S. Maria Riva d’Ada nella festa dell’Annunciazione della B. V. Maria”.

I documenti più recenti (sostanzialmente i verbali delle visite pastorali) concordano nel definire l’edificio quale “ecclesia simplex campestris”, oppure “oratorium campestre” e lo qualificano come piccolo, ma di struttura proporzionata, a navata unica, con soffitto in assi e travi, pavimento in mattoni; in fondo all’edificio, verso oriente, stava un’abside semicircolare, a volta, ornata da immagini di santi dipinte sulle pareti; sul muro dietro l’altare era dipinta l’immagine della B. V. Maria “cum puero nudo in brachijs”. Una piazzuola, cinta da siepe, collegava l’argine con la facciata; addossata alla chiesa c’era una casetta a due stanze nella quale abitava un eremita, custode dell’oratorio. La presenza dell’eremita è documentata tra la fine del ‘600 e i primi decenni del ‘700.

La chiesa era considerata dai commessaggesi come un piccolo santuario. Già s’è detto che ottennero da Papa Clemente XI l’indulgenza plenaria per il 25 marzo di ogni anno, in occasione della solennità dell’Annunciazione; lo stesso papa, inoltre, concesse l’indulgenza di cento giorni a coloro che sarebbero intervenuti “alle litanie della B. V. M. da recitarsi tutti li sabbati dell’anno in detto oratorio”; con le proprie elemosine procuravano l’olio necessario a far ardere una lampada che pendeva davanti all’immagine della Madonna. A questa immagine, poi, erano affezionati al punto che non la lasciarono distruggere quando, all’inizio del XIX secolo, l’edificio fu demolito; custodirono il brandello di muro sul quale era dipinta per trasportarlo, qualche anno più tardi, in un nuovo oratorio, quello ora detto di Santa Maria “prima”.

Al posto della chiesa fu eretta una cappelletta il cui prospetto consisteva in un’apertura ad arco, protetta da cancello di legno, con una lesena per lato e un timpano triangolare a coronare il tutto. Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, per lavori di ristrutturazione all’edificio retrostante (allora abitato dalla famiglia Beccari), la santella fu demolita; attualmente ne fa memoria la semplice colonna che regge una piccola statua dell’Immacolata di Lourdes, collocata tra la casa e la strada.

E l’antico e misterioso nome “in ripa d’Adda”? È scomparso, sostituito dal più scontato di “Santa Maria seconda” per il semplice motivo che dal 1824, lungo l’argine, si incontra prima l’oratorio di Santa Maria.

 

SANTA MARIA “PRIMA”

Nel 1856 lo storico cremonese Angelo Grandi scriveva: “Non lungi dal luogo di quel santo edificio [S. Maria in Ripa d’Adda], fu fatto, sono pochi anni, costruire in bella architettura dal signor Guido Pagliari un altro bel tempietto, e quivi trasportare solennemente con grande edificazione dei devoti l’antica immagine della Vergine”. In seguito Antonio Parazzi, scrivendo dell’oratorio “edificato nel 1824 da Gio. Pagliari su disegno dell’Architetto Giuseppe Cantoni”, precisa l’anno di costruzione e fa il nome del progettista. Dunque un privato, certamente mosso dalla pietà “dei devoti”, volendo in certo modo rimediare alla demolizione della vetusta chiesa di S. Maria in Ripa d’Adda, diede onorevole accoglienza all’antica immagine della Vergine in un oratorio nuovo di zecca.

Proprio intorno al 1824 Giuseppe Cantoni aveva presentato un suo progetto per la facciata della nuova chiesa parrocchiale di Commessaggio; è plausibile, quindi, che in quella occasione i Pagliari abbiano commissionato all’architetto mantovano la costruzione dell’oratorio di famiglia.

Cantoni preparò i disegni per quest’opera che, pur non portata a termine in tutte le sue parti, sorprende e stupisce per la felice sintesi tra arte classica e rinascimentale operata in un edificio di così modeste proporzioni.

Il frontone, la trabeazione, le lesene con i loro basamenti, propongono un corretto stile corinzio, classico quindi. Ma la forte rientranza del portale e l’uso delle finestre cieche cadenzanti le fiancate dell’edificio con ritmo regolare sono, in genere, frutto della riflessione rinascimentale; l’uso del cotto, poi, nella trabeazione e nelle rifiniture è caratteristico, in particolare, del rinascimento padano.

L’interno dell’edificio è diviso in due ambienti: la chiesa (rotonda) e la sala-sagrestia (rettangolare). L’innesto, nella pianta rettangolare di tutto l’edificio, della chiesa a pianta centrale, ha dato luogo alla creazione di piccoli ambienti-ripostiglio e di raccordo tra la stessa chiesa e la sala-sagrestia. Da uno di questi ultimi, poi, attraverso una scaletta a chiocciola in marmo, si scende al piano di sotto dove, corrispondente alla chiesa, vi è un ambiente (pure rotondo) con robusta e suggestiva volta ad ombrello; invece, alla sala-sagrestia corrisponde una stanza con volta a crociera.

Entrando nell’oratorio si è subito attratti da un senso di compostezza e di raccoglimento dovuto al proporzionato calcolo degli elementi: la nicchia centrale dell’altare, le quattro porte laterali, le finestre a mezzaluna, che con discrezione forniscono la luce necessaria, la cupola che corona dignitosamente l’ambiente.

L’altare ligneo è in stile impero, con il tabernacolo affiancato da due gradini di raccordo tra la mensa e l’ancona; al centro di questa, tra quattro colonne reggenti un frontone spezzato, è racchiusa l’antica immagine della B. M. V. delle Grazie: seduta in trono, Maria sorregge il Cristo bambino in atto benedicente.

In seguito al trasporto dell’affresco dal demolito oratorio di santa Maria in ripa d’Adda, l’immagine fu ridipinta e accomodata a secco; da qualche tassello di pulitura, infatti, è emerso che dietro la Vergine fu dipinto lo schienale di un trono, coprendo – così – un preesistente addobbo a festone; inoltre fu ampliata la fascia che cinge i fianchi del Bambino, più succinta nell’originale; in effetti nel 1614 il dipinto era descritto quale “Imago B. V. Mariae cum puero nudo in brachijs”. Un’auspicabile opera di restauro restituirà una preziosa testimonianza di antichi tempi.

Il gusto neoclassico caratterizza la decorazione dell’oratorio; la cupola è a finti cassettoni con rosette assortite; sopra la cornice, alla base della cupola e tra i lunotti delle finestre, vi sono quattro composizioni monocrome a festone. Le pareti della rotonda sono decorate in finto marmo.

Tre delle quattro porte in legno di noce, che chiudevano gli accessi agli ambienti circostanti, furono trafugate anni orsono; ne è rimasta soltanto una che comunque testimonia l’attenzione dei committenti anche per i lavori di rifinitura. Frutto di scelto artigianato pure le inferriate dei lunotti che assolvono con eleganza il loro compito di sicurezza.

Due accessi consentono di passare dalla chiesa alla sagrestia: vasta, luminosa e ingentilita da raffinate decorazioni, specie nella volta. Il carattere profano, però, di queste decorazioni e i paesaggi delle pareti sembrano attestare che questo ambiente non fosse destinato in primo luogo a sagrestia quanto, piuttosto, a sala d’abitazione come la stanza sottostante. Un dignitoso caminetto marmoreo dà un tocco di compiutezza all’ambiente.

Dai Pagliari, che l’avevano fatto costruire, l’oratorio in seguito passò a un’altra notabile famiglia commessaggese, quella dei Grandi. L’ultima discendente di questi, la signora Luigia Pietra Grandi ved. Locatelli (la “Siùra Bigìna”), nel 1969 lo lasciò in eredità alla Parrocchia di Commessaggio che è l’attuale proprietaria.

Dal 1979 i coniugi commessaggesi Luigina Corsi e Angelo Sorini si presero a cuore la manutenzione dell’oratorio: erano affezionati a questo luogo fin dai tempi del fidanzamento; dal paese giungevano spesso qui, sostando sui gradini d’accesso e affidando il loro amore alla protezione della Vergine Maria. Dalle loro nozze, celebrate nel 1954, l’anno seguente nacque il figlio Emanuele. In occasione delle nozze d’argento (appunto nel 1979) realizzarono il desiderio di celebrarle nell’oratorio di Santa Maria e di esso si presero cura, sino alla morte. Con pazienza e arte, Luigina e Angelo operarono interventi notevoli per rimettere in sesto l’edifico, sistemarono tanti particolari e rifiniture, salvando il tutto dalla rovina che il passare degli anni e il ripetersi di eventi negativi sembravano rendere inarrestabile. Alla loro morte, il figlio Emanuele ha voluto continuare con lo stesso zelo l’opera dei genitori e – con la pubblicazione di un agile testo corredato da diverse immagini – intende divulgare la conoscenza di questo piccolo gioiello a duecento anni dalla sua costruzione.

La posizione isolata e l’architettura elegante, fan sì che l’oratorio caratterizzi in modo singolare il territorio circostante e lo renda prezioso certamente per nutrire la devozione nei confronti della Vergine, ma anche per trovare il silenzio necessario allo spirito, la naturale meta di una passeggiata “fuori porta”, lo spazio ideale per un esercizio fisico rilassante, l’angolatura privilegiata per la visione di tramonti davvero suggestivi.

TeleRadio Cremona Cittanova
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