Un migliaio di cremonesi pellegrini a Caravaggio

Nel pomeriggio di domenica 25 settembre in tanti hanno partecipato all'Eucaristia presieduta dal vescovo Antonio in apertura dell'anno pastorale

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A pochi giorni dall’inizio ufficiale dell’anno pastorale – sancito dall’affollata convocazione in Cattedrale del 19 settembre – la Chiesa cremonese si è fatta pellegrina al Santuario di Caravaggio, per abbeverarsi a quella fonte di grazia che è la Vergine Maria e per chiedere di continuare ad avere sete di Dio e del Vangelo.

Domenica 25 settembre oltre mille fedeli provenienti da tutta la diocesi, comprese le 150 persone – tra malati, volontari e simpatizzanti dell’Unitalsi – sono giunti nel grande complesso mariano già nelle prime ore del pomeriggio. Massiccia anche la presenza della religiose, soprattutto le suore Adoratrici che nella vicina Rivolta d’Adda hanno la Casa madre.

Il pellegrinaggio, guidato dal vescovo Antonio insieme all’emerito Lafranconi, ha avuto inizio dinanzi al simulacro del’Apparizione alle 15.30 in punto. Qui è avvenuto il breve, ma intenso saluto alla Vergine Maria, venerata in questo ultimo scorcio di Giubileo come madre di misericordia. Le parole della Bolla Dives in misericordia di Papa Francesco hanno dato il tono alla preghiera: «Nessuno come Maria – scrive il Pontefice – ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne». L’antico canto del Salve Regina è quindi risuonato tra le volte della grande basilica stipita di fedeli. E dopo la lettura del Vangelo della visitazione l’unione corale “Don Domenico Vecchi” diretta da Giovanni Merisio e accompagnata all’organo da Roberto Grazioli ha intonato un’altra antifona mariana tanto cari ai cristiani di ogni tempo: il Magnificat.

Photogallery della preghiera mariana in basilica

 

Alle 16 è quindi partita la processione dei ministri verso l’altare del Crocifisso, nel cortile che guarda la facciata principale della basilica. Dopo i seminaristi e i diaconi che hanno servito la solenne Eucaristia, procedevano una settantina di sacerdoti, quindi il vescovo Antonio con mons. Lafranconi, il vicario generale don Massimo Calvi e il delegato per il clero e la pastorale don Giampaolo Maccagni.

All’inizio della celebrazione, al posto dell’atto penitenziale, mons. Napolioni ha benedetto l’acqua e asperso l’assemblea così da ravvivare il gioioso ricordo e la grazia della prima Pasqua nel battesimo.

La bella e tiepida giornata che ha fatto da cornice al pellegrinaggio ha ispirato il Vescovo per l’incipit della sua riflessione: «Mi verrebbe quasi voglia di non fare l’omelia, ma di fare silenzio. In fondo questo è un luogo di silenzio, non quello obbligato, ma quello che nasce dal mistero, dalla contemplazione della bellezza: quando una cosa è troppo bella ti lascia a bocca aperta». E poi una domanda a bruciapelo: «La presenza di Maria nella storia dell’umanità e nell’oggi personale ed ecclesiale ci lascia a bocca aperta? O ci basta recitare qualche ave maria protestando poi se non ci arrivano le grazie?».

L’attenzione poi si è spostato sul Vangelo del giorno, una pagina «dura, chiara, che non ha bisogno di prediche quanto di essere preso sul serio, soprattuto oggi in un mondo ancora spaccato tra ricchi epuloni e poveri Lazzaro». Mons. Napolioni si è soffermato in modo particolare sulle parole di Abramo che spiega che per convertirsi è necessario anzitutto ascoltare la Parola di Dio: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». Per il vescovo Antonio questo è un chiaro riferimento alla futura risurrezione di Cristo e così ha commentato: «Egli sapeva di morire e risuscitare, ma non per imporre la sua vittoria! Anche questo evento prodigioso è connotato dall’umiltà, dal nascondimento, dalla discrezione: esso chiede un atto di fede. In fondo non è bastato che sia risorto da morti per cambiare il mondo».

Lo stile dell’umiltà e della misericordia è ciò che accomuna Gesù a Maria. Nel Magnificat, in fondo, la Vergine anticipa il messaggio del Figlio: ella, nella casa di Elisabetta, sapeva già come sarebbe andata a finire la storia: «Ella sapeva – ha spiegato il vescovo – che Dio non sta dalla parte di chi si sazia solo di se stesso, del proprio io, dei propri successi, ma è amore misericordioso che ricolma il vuoto di chi si affida a lui». E paradossalmente ricolma per svuotare: «le nostre mani non sono fatte per stringere le cose che abbiamo, ma devono essere punti di incontro. Le mani dei credenti devono essere le mani di Gesù».

Guai a pensare che la risurrezione di Cristo sia stata vana: «Noi siamo qui per celebrare l’Eucaristia: questo è il modo che Gesù ha trovato per vivere in noi. Egli risorge in noi se però ci riconosciamo affamati non solo di cibo, ma anche di senso, di speranza, di amore. Oggi siamo qui come dei mendicanti: Gesù vieni in noi e parlaci!».

Infine l’invito a mostrare la novità dell’incarnazione di Gesù: «Che cosa è una diocesi, una parrocchia, una comunità religiosa o una famiglia credente se non il luogo in cui Dio prende carne e dove si tende secondo l’ammonimento di Paolo a Timoteo: “alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”?».

«Iniziamo questo nuovo anno pastorale uniti in questo gesto di fede – ha poi concluso il presule -. Uniti non per considerarci più potenti, ma più fiduciosi in un Dio che si prende cura di noi. Insieme possiamo testimoniarlo meglio e con più incisività a chi non lo conosce».

Particolarmente suggestivo il momento delle comunioni: mons. Napolioni si è avvicinato al settore Unitalsi dove spiccavano in prima fila i malati e le persone diversamente abili. A molti il presule ha amministrato l’Eucaristia in un clima di grande commozione.

La celebrazione si poi conclusa con la benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria: ciascun pellegrino, infatti, ha potuto godere anche di questo dono di grazia. In questo ultimo scorcio di Giubileo.

Photogallery della Messa

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