Storie di questi giorni: la quasi cronaca di un quasi funerale

Nel cimitero di Bozzolo l'ultimo saluto a monsignor Alberto Franzini

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Tra tante bare, dalla Cappella presso le camere mortuarie dell’Ospedale di Cremona esce finalmente la sua. Lui non l’abbiamo potuto vedere, ma lo sappiamo vestito per carità cristiana dei paramenti sacerdotali: la sua alba che indossava ad ogni messa in Cattedrale e una pianeta viola, semplice. Dentro quella bara c’è il nostro caro don Alberto. Sul piazzale non c’è nessuno. Solo un altro carro funebre in attesa.

E mi trovo ad immaginare. Ci sarà il Duomo pieno di gente ad aspettarci. Come si riempiva ogni domenica per la Messa delle 11. Quella che riuniva tanta gente anche davanti alla televisione. È stato così per sei anni, ininterrottamente. Quel seme è diventato una pianta, un’abitudine cara e attesa per tanti.

La Cattedrale sarà piena di fiori, come gli piaceva nelle feste più importanti. E questa lo è. È la sua Pasqua, preparata e attesa da una vita. È solo un poco anticipata nel calendario di questa interminabile Settimana Santa del mondo intero.

Fiori e canti. Gli piaceva la musica e apprezzava le liturgie solennizzate dal bel canto. È sempre stato attratto dal bello. Musica (certe serate in Duomo rimangono indimenticabili), luoghi, viaggi, esperienze, incontri, letture…

Don Giuseppe, don Maurizio e don Riccardo, gli intrepidi cappellani del nostro ospedale, benedicono ancora la sua bara, caricata sul carro funebre. Qui di preti ci sono solo loro, insieme con me. Non può essere che così.

Ma penso che là in Cattedrale, oltre ai due vescovi Antonio e Dante, ci saranno tanti e tanti preti. Ci saranno quasi tutti i nostri preti della Chiesa cremonese, arrivati da ogni angolo della diocesi. Era da tutti stimato e amato.

Era facile volergli bene. Don Alberto è sempre stato una persona aperta, positiva, solare. Tanti nostri preti lo hanno anche avuto professore, nei lunghi anni di insegnamento teologico in Seminario. Era contento di essere stato richiamato ancora in quest’ultimi anni per dei corsi specifici in avvio del cammino degli studi teologici. Gli piaceva insegnare, avere a che fare coi giovani, accettava volentieri la provocazione delle loro domande. Era un modo per continuare ad interrogarsi e a cercare e a trovare risposte nel grande patrimonio di fede della Chiesa.

La Chiesa è sempre stata la sua vera passione. La fede della Chiesa, la Tradizione – era stata questa la sua tesi di laurea a Roma – il suo amore più appassionato. E come ci teneva. Non mancava mai di farlo capire e di predicarlo.

E in quel che diceva coglievi sempre, qua e là, quella unghiata d’aquila che ti svelava la profondità della sua ricerca, nello scandagliare il mistero di Dio. E ti affascinava. E gli davi senz’altro credito e credibilità. Per questo, anche tanti e tanti laici avrebbero gremito oggi la Cattedrale, i tanti per i quali era diventato riferimento e aiuto. Ma anche come segno della sua attenzione e della sua stima per il laicato, per il popolo di Dio, uomini e donne, con cui si intratteneva volentieri, che sapeva coinvolgere nelle iniziative e nelle proposte, perché da loro facilmente coinvolto nella semplice e schietta frequentazione di ogni giorno.

Parte finalmente il carro funebre. Ma la strada non è quella che porta alla Cattedrale.

Questa va più lontano. Ma anche questa compie un ritorno a casa. Non importa se è un cimitero. Lì a Bozzolo ci sono i suoi cari: il papà da più tempo, la mamma solo da quasi un anno. E c’è anche l’amato zio don Aldo. E qui c’era anche il suo don Primo.

Ha voluto accompagnarlo in quest’ultimo viaggio padre Giuseppe, l’amico di tanti altri viaggi.

Al Cimitero, nonostante tutto, nel rispetto delle norme, distanziate, solitarie, ci sono diverse persone ad accoglierlo. C’è anche il sindaco, Giuseppe Torchio, amico da una vita.

Sono don Luigi e don Davide a dargli l’estremo saluto.

La sua bara viene posta nel loculo, trovato all’ultimo in prossimità di quelli dei genitori.

Nel silenzio, nella mestizia, nella solitudine, nello smarrimento. Ma anche nella speranza.

Se infatti la Cattedrale, piena di preti e di gente, e di canti e di fiori, è solo un pensiero vano di quello che sarebbe potuto essere e non è stato, oggi, anche questo cimitero non rivela compiutamente la realtà di ciò che è.

Perché Don Alberto non è tornato nella sua Cattedrale, ma non è nemmeno qui. Il suo spirito è andato molto più lontano. Più in alto.

E qui la cronaca non basta più…

Perché dovrebbe raccontarvi di un viaggio ben diverso, un viaggio intrapreso in questi giorni da tanti altri, troppi altri. Dal caro don Vincenzo, a don Mario, a don Giuseppe, anche loro già canonici del Capitolo della Cattedrale. E poi da don Albino, don Achille, don Vito, don Arnaldo, don Francesco. E da tanti altri ancora, tutti cari fratelli e sorelle del grande popolo di Dio della Chiesa cremonese. Tutti ora molto più lontani, ma anche più intimi a ciascuno di noi. Come anche mia mamma. Tutti ora vivono in Dio, perché “chi crede in me anche se muore, vivrà.”

Don Alberto lo credeva, eccome! Tutti lo credevano, fermamente.

E oggi, in questi giorni terribili, un po’ di più, anche noi.

Ma … “ Tu, Signore, aiuta la nostra incredulità “.

dAC

TeleRadio Cremona Cittanova
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