Sabato sera in Cattedrale il “Vespro della Beata Vergine” di Monteverdi

Con l’English Baroque Soloists e il Monteverdi Choir diretti da sir John Eliot Gardiner

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Appuntamento di prestigio la sera di sabato 24 giugno, alle 21, nella Cattedrale di Cremona, con il tutto esaurito, per l’appuntamento conclusivo dell’edizione 2017 del Festival Monteverdi, che porta nel massimo tempio cittadino un evento di eccezionale rilevanza quale l’esecuzione del “Vespro della Beata Vergine” di Monteverdi, capolavoro sommo nella letteratura di musica sacra di ogni tempo.

Ad impreziosire l’occasione è la presenza di una delle compagini più rappresentative al mondo nel campo della musica antica: l’English Baroque Soloists e il Monteverdi Choir diretti da sir John Eliot Gardiner.

Straordinaria è la parabola artistica del 74enne direttore inglese, formatosi al King’s College di Cambridge e già alla fine degli anni ’60 (dunque poco più che ventenne) indirizzatosi decisamente allo studio della musica antica, un impegno concretizzatosi con la fondazione del Monteverdi Choir nel 1966 e la Monteverdi Orchestra due anni dopo (successivamente trasformata nell’attuale English Baroque Soloists). La ricerca della prassi filologica (o, come si direbbe oggi, “storicamente informata”) ha costituito l’essenza costante della carriera di Gardiner, i cui ambiti e interessi si sono poi allargati anche al periodo romantico, sino alla celebre esecuzione del Falstaff di Verdi.

La sua presenza a Cremona, non nuova per la verità, è già di per sè un evento, suggellata ancor di più dall’esecuzione di un’opera – il Vespro della Beata Vergine – che per la nostra città assume un significato simbolico, nel ruolo che Cremona sta portando avanti da decenni come riferimento per la musica barocca, sia attraverso il Festival Monteverdi sia la Facoltà di Musicologia e il recente Museo del Violino.

Fin dall’occasione per la quale è stato composto, il Vespro monteverdiano – pubblicato nel 1610 – costituisce un unicum: normalmente, infatti, le raccolte musicali (sacre o profane) venivano scritte in stretto rapporto con un preciso ambito professionale, come è tipico – ad esempio – per il caso del maestro di cappella che scriveva brani per l’esercizio del proprio ruolo. In questo caso, invece, Monteverdi, che in quel periodo era attivo a Mantova presso la corte dei Gonzaga ma desiderava staccarsene, scrisse quest’opera colossale senza una precisa finalità esecutiva, ma con lo scopo puramente artistico di dimostrare la propria abilità quale compositore di musica sacra. E tale dimostrazione si manifestò attraverso la stesura di due capolavori, pubblicati insieme, “nova et vetera” della musica sacra del suo tempo: una Messa polifonica a 6 voci nello stile antico (palestriniano) e un modernissimo Vespro, nello stile vocale-strumentale, corale-policorale e monodico in linea con i nuovi canoni della musica sacra del primo Seicento.

Conscio di tale livello, Monteverdi dedicò la doppia opera nientemeno che al papa Paolo V, nella speranza di poter ottenere qualche favore importante, magari la nomina a maestro della cappella Sistina o della cappella Giulia, cioè le due cappelle musicali pontifice. Lo scopo fallì, nonostante l’autore si fosse recato personalmente a Roma per seguire la sua pubblicazione e facilitare contatti o incontri. Dietro tutto ciò, ci fu anche l’umanissimo risvolto di un uomo che si definisce «povero» e che aveva bisogno di qualche risorsa in più per mantenere gli studi del figlio Francesco che desiderava farsi prete e che avrebbe voluto entrare nel Seminario romano. Forse fu questa la prima molla che fece scattare l’idea della Messa e del Vespro?

Alla fine dei conti (dei poveri conti monteverdiani), resta il fatto che il compositore ha saputo confezionare un grande regalo alla storia musicale, un’opera non richiesta che si è rivelata un capolavoro imperituro. Al momento non gli servì a nulla, anche se probabilmente avrebbe avuto qualche peso tre anni dopo, nel 1613, nella nomina a maestro di cappella presso la basilica di S. Marco a Venezia.

Nel Vespro, come accennato, Monteverdi fa confluire le tecniche compositive più aggiornate della musica sacra. I cinque salmi, l’inno e il Magnificat (questo in duplice versione) sono scritti in polifonia a sei e più voci, pur sperimentando al loro interno anche organici di varia misura; tra un salmo e l’altro, l’autore inserisce altrettanti mottetti concepiti però nello stile più moderno della monodia accompagnata, probabilmente scritti per sostituire le antifone gregoriane che normalmente contornano il canto dei salmi. Grande rilievo assume anche l’uso degli strumenti musicali, in un assortimento brillante formato da tromboni, cornetti, violini e viole da braccio, oltre, naturalmente, l’organo, per il quale Monteverdi è preciso nell’annotare persino i registri da utilizzare.

In mezzo a tanta modernità, tuttavia, l’autore non rinuncia ad un nesso costante con il canto gregoriano, espressamente indicato come riferimento nell’elaborazione delle nuove forme.

Legame con la tradizione, dunque, ma apertura alla modernità; genialità dell’ispirazione stimolata dall’idea di una destinazione esecutiva non legata a contingenze lavorative o limiti pratici, ma ambiziosa nella sua magniloquenza e nel suo sfarzo timbrico già pienamente barocco: tutti elementi, questi, che connotano il Vespro come un’opera speciale, la cui costante esecuzione a Cremona lo rende pienamente uno dei simboli dell’immagine musicale della città del Torrazzo.

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