Padre David Maria Turoldo: ritratto completo di una figura poliedrica

Venerdì 25 novembre don Aldighieri, don Agnelli e Carla Bellani hanno ricordato il religioso servita a cento anni dalla nascita

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Venerdì 25 novembre, al Centro pastorale diocesano, si è tenuto un incontro dedicato a padre David Maria Turoldo a cent’anni dalla sua nascita. L’appuntamento, ricco di spunti e rievocazioni, ha saputo restituire un ritratto completo della figura poliedrica del religioso servita.

In apertura è stato proposto il video della sua ultima apparizione pubblica all’arena di Verona nel 1991, in occasione dell’incontro dei movimenti per la pace. In quell’occasione padre Turoldo, orami sofferente, tenne un discorso forte e toccante  spaziando dalla teologia alla politica, alla poesia, abbracciando in un sentimento di vibrante compassione e solidarietà tutti i popoli oppressi e impoveriti.

Sono seguiti gli interventi di don Mario Aldighieri dal titolo:  “Turoldo, poesia prestata ai poveri” e quello di don Antonio Agnelli su “Turoldo, coscienza profetica di giustizia e pace”. Infine Carla Bellani che, insieme ad un gruppo ecclesiale di base ha frequentato Turoldo quando era priore dell’abbazia di Sant’ Egidio di Fontanella, ha offerto la propria testimonianza.

 

L’intervento integrale di don Aldighieri

Con timore e tremore entro nella vita e nella profezia poetica di padre Turoldo. Ho letto molto di lui e l’ho incontrato quando accogliendomi a Sotto il Monte in una mia vacanza nel 1986, come uno dei tanti fratelli latinoamericani per celebrare con lui e dire nell’omelia la mia esperienza brasiliana.

Turoldo un colosso nel suo fisico come nella sua presenza forte, profetica e poetica, ha lasciato un testimonianza in tempi duri e difficili che dura fino ad oggi. Il card. Martini un anno prima della sua morte gli dirà “La tua è stata una delle voci profetiche del nostro tempo”. Nasce nel 1916 in piena guerra mondiale da famiglia povera e contadina e ne assorbe tutta la cultura massiccia, onesta, radicata nella terra. Entra nell’Ordine dei Servi di Maria e viene ordinato presbitero nella Chiesa di San Carlo al Corso in Milano nel 1940 in piena seconda guerra mondiale. Non ha dubbi né incertezze quando sceglie di partecipare attivamente con l’amico Camillo De Piaz alla resistenza contro il fascismo e il nazismo e, alla fine, appassionato della figura di Giovanni XXIII, sposa la causa del Concilio Vaticano II, per una lotta senz’armi che non sia solo la parola e la poesia insieme ai grandi del suo tempo: Dossetti, Lazzati, La Pira, Balducci, don Zeno Santini di Nomadelfia, don Milani, don Primo Mazzolari, Vivarelli, Santucci, Bo, Nazzareno Fabretti. Innamorato di una chiesa che nasce dall’amore di Dio per “l’unità del mondo” affidata all’azione dello Spirito Santo e che raccoglie tutti gli uomini “di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5,9)

Turoldo è frate, poeta, scrittore, esegeta, predicatore, regista e soprattutto vuol essere parola vivente non nel potere e nella propaganda ma nello stile del pugno di lievito che fermenta la massa. Scrive “Vorrei pregare per partecipare al dramma della gente, di chi è ucciso, di chi patisce, di chi è nella miseria” (Il fuoco di Elia profeta, Piemme,Casale Monferrato, 1993 , p 49). Di lui l’amico, pure poeta, Giovanni Giudici scrive nella prefazione ai Canti ultimi (Garzanti, Milano 1991) “difficilmente si potrebbe reperire negli annali un pari esempio di così perentoria, sorprendentemente trasgressiva coincidenza e inscindibilità, tra vocazione alla parola e testimonianza della parola”.

Per questo possiamo percorrere il suo cammino di uomo, prete, poeta e rivoluzionario, nel senso più sacro del termine con il sapore della rivoluzione evangelica, che scopre, canta e grida la Parola che fiorisce nella periferie del mondo, nei sud del mondo: nei campi e nelle città qui e altrove fino a sposare la causa di quell’America Latina, allora sotto durissimi dittature, che avevano come conseguenza un infinito numero di oppressi e di morti. Il sentimento di pietà e la compassione per le tragedie che colpiscono soprattutto i più deboli, i più poveri, particolarmente i “senza voce” parte per Turoldo dalle sue origini contadine. In un’intervista aveva detto: “La mia origine può spiegare molto sulla mia poesia: l’anima della mia poesia è la terra, i sassi, la mia povertà contadina…” . Diventa voce, e come scrive padre Ferdinando Castelli gesuita si fa “ribelle, impetuoso, drammatico, fedele. Ribelle a quanto offende l’uomo – e, quindi, anche Dio- come l’ingiustizia, il sottosviluppo, la sopraffazione, la rassegnazione passiva, la fede come sistema, la politica come potere, il razzismo” (La Civ. Cattolica 1992, Q 3413).

Diventa naturale dunque la sua immersione nella cruda realtà dei poveri del Sud dando voce tra noi alle voci che giungono dal Nicaragua: una vedova perché i contras le hanno ucciso il marito, parla nella Messa in Sant’Egidio, raccontando delle altre vedove cristiane, fedeli fino in fondo, che custodiscono la chiesa e chiedono l’appoggio dei fratelli italiani. Parla un parroco che è minacciato di essere espulso dal paese solo perché, a partire dalla Bibbia, ha capito che occorre condividere l’anelito del popolo perseguitato. Nelle celebrazioni trasforma i salmi in linguaggio poetico accessibile al canto della comunità ma pieni della loro portata profetica: “i poveri e i reietti /trae fuori e solleva/ da fango e rifiuti. E dona alla sterile/di essere madre lieta/ in seno alla sua casa” (Salmo 112). Alza il grido accusatore nella giornata dei “desaparecidos” contro i regimi che si professano cristiani, come in Cile, in Uruguay, Paraguay e Argentina degli anni ‘70. Toglie il velo sotto il quale la chiesa ufficiale vuole nascondere la figura di Oscar Romero arcivescovo martire d’America, ucciso mentre celebrava l’Eucaristia, santificato dal popolo. Fa conoscere Rigoberta Menchu coraggiosa guatemalteca che affronta il potere ritornando con gli esuli indigeni dall’esilio nel Messico alla loro terra, dopo i massacri attuati da Rios Montt. Grida con la sua voce tuonante contro la morte dei “martiri “ anonimi o conosciuti, Chico Mendes, il presidente del Cile Allende e il domenicano brasiliano frei Tito. Si entusiasma per la rivolta di Castro a Cuba e quella dei Sandinisti in Nicaragua. Condivide con la chiesa latinoamericana, chiesa dei poveri, popolo di Dio quella passione per la Parola di Dio collocata tra le mani dei poveri come vessillo di libertà, canto di lotta, speranza e risurrezione nelle Comunità di base. Ci sferza chiedendo: “Tu campesino di El Salvador/ tu operaio di São Paulo , dite/ Cosa pensate di noi e di Dio!” ( Il fuoco di Elia, o.c. p.117) mettendoli in relazione con noi seguendo la lezione del povero Lazzaro al ricco della parabola del Vangelo di Luca (16, 19-31).

Il cammino che gli è congeniale è la poesia “.. specchio dell’anima” e specialmente del tempo vissuto; ove qualcuno vede per tutti riflettersi il destino del mondo e della propria esistenza e canta. E col canto si fa profezia della vita e della storia…il poeta è il fratello di tutti, specialmente degli umili; uomo della più amorosa fatica. Poeta è colui che “in casta cera e cella di rinuncia” dona gioia, pur quando canta il dolore e la disperazione e “ senza tregua l’armonia annuncia” ( Poesie e poesia religiosa in Credereoggi 6 1986 n36) Una poesia che lui stesso afferma venire dalla terra, dai sassi, dalla sua povertà contadina e da queste radici la compassione per le tragedie che colpiscono particolarmente gli indifesi, i senza voce, l’ostinato confronto con il problema del male e della sofferenza ( cfr Giovanni Ruggeri un Dio da cantare anche nella n otte, Settimanas 17/0272002

Invita i frati e tutti i cristiani a rompere i confini, a non “abitare conventi di pietra / perché il cuore non sia di sasso! …Sia il mondo / il vostro monastero/ come un tempo era l’Europa” .. Chiede che la povertà sia la regola del farsi poveri tra i poveri “ Una tenda vi basti a riparo/delle bufere/ e Dio ritorni vagabondo/ a camminare per le strade, / a cantare con voi/ i salmi del deserto/ O frate Nessuno/ sei l’antica immagine di Cristo/ sparpagliato in ogni lembo / di umanità, vessillo/ che ci manca…” (in: Più non abitate conventi)

Ma nel farsi voce di poveri e della tragedia dell’America Latina e non solo, il suo canto si scontra con Dio in una lotta notturna come quella di Giacobbe, nella ricerca notturna dell’Amato come la donna del Cantico “Parlami delle tue notti desolate/ nelle buie notti, quando dal letto/ lo chiami invano, o andavi/ per tutta la città e cercavi/ cercavi senza trovarlo/ oh questo infinito e furioso cercare … Donna, forma estrema del sogno/anima del mondo/ tu sei il grido della creazione Diventa domanda senza una vera risposta di tutti i Giobbe della storia, “Oh Giobbe, sei la ragione appesa al legno/ voce del tenebroso Oceano/delle foreste devastate… solo mi assiderò tra canto e canto/ a udire il tuo ululo/ franare nell’orribile Silenzio … Ora la terra è imporporata di sangue/ una sposa vestita a nozze:/ il sole si è levato sulla casa di tutti/ da quando Giobbe ha finito di piangere/ e mai Gesù finisce di morire per noi”. (Mie notti, garzanti 1992). Ed è a Dio che si rivolge, alla morte di frei Tito Alencar, imprigionato e torturato dal maggiore Fleury che si è appropriato della sua anima fino a spingerlo ad impiccarsi ad un albero nella primavera fiorita della Francia per un grido di perdono riconoscendosi e riconoscendoci tutti colpevoli: “Che Dio ci perdoni/ci perdoni di esistere/ ci perdoni di dirci cristiani/ ci perdoni di questi anni/santi Frei Tito/ ancora pendente all’albero/ (della vita nel nuovo giardino)/davanti al convento di Lione.” E si appella alla Vergine immagine di tutte le madri dei disperati che hanno accolto i loro figli martoriati tra le braccia “Madre, tu sei ogni donna che ama/Madre tu sei ogni madre che piange/ un figlio ucciso, un figlio tradito:/ madri a migliaia, voi madri in granaglie!/ E figli mai finiti di uccidere/ figli venduti, traditi a miriadi/ e torturati appesi ai patiboli/empi vessilli dell’empio potere”, ( Sotto la croce in “Ave Maria” Gei, Milano 1984)

Per giungere alla fine e confessare che anche Dio è infelice perché “non si darà pace finché ogni uomo non sia salvo” (Anche Dio è infelice , Piemme 1991, 224) e gli chiede con insistenza “ Manda Signore, ancora profeti, uomini certi di Dio /uomini dal cuore in fiamme… e dire ai poveri/di sperare ancora/ Che siano appena tua voce/ voce di Dio dentro la folgore/ voce di Dio che schianta le pietre”. Di nuovo si rivolge con il canto a Maria e a noi nell’imminenza del Natale, nella certezza di una speranza e di una vittoria, e ci invita ad andare, a farsi fratello: “Andrai, così ti preghiamo – per l’Europa e per l’Asia ( e noi aggiungiamo per le Americhe e l’Africa) a deporre/ – avanti che la paura nuovamente / distrugga le capitali maledette/ il tuo frutto dietro le alte mura/Volerai tra guglia e guglia/ intorno alle cupole / entrerai nelle ogive delle chiese/e dietro le selve dei grattacieli/ nel cuore della reggia e in mezzo alla steppa/ emigrerai pellegrina e subito/ e ovunque partorirai tuo figlio / gioia e unità delle cose / o eterna Madre” (“ Anche Dio sarà triste”)

Fa suo il Magnificat, il canto rivoluzionario di Maria.. “ma sai che interamente nuove /saranno le sorti dei poveri/rovesciati i potenti dai troni/innalzati gli umili/ mandati via a mani vuote i ricchi/ E l’amore, l’amore per Lui/ di balza in balza/ su quanti lo temono / per te, nuovo Eden aperto/ sul cuore della terra”. (inno alla Madre della gioia) E chiede al Signore al figlio di Maria di mostrare il suo volto a tutti i cercatori “ a tutti i pellegrini dell’Assolto/vieni incontro Signore/ con quanti si mettono in cammino/ e non sanno dove andare /cammina, Signore/ affiancati e cammina con tutti i disperati/ sulle strade di Emmaus/ e non offenderti se essi non sanno/ che sei tu ad andare con loro/ tu che li rendi inquieti e incendi i loro/cuori/ Non sanno che ti portano dentro/ con loro fermati poiché si fa sera / e la notte è buia e lunga/ Signore.

Incarnandosi in Giobbe e il suo grido di fede, dopo la tragedia umana, ne sposa la certezza “ lo vedrò” ma anche ancora assente , un Dio disperso nel Nulla, sempre invisibile, nelle notti oscure dei mistici e lo trova “ un Dio che Pena nel cuore dell’uomo”( Dio e il Nulla in Canti ultimi). Alla fine lo trova e ripercorre l’entrata di Gesù in Gerusalemme con una selva di mani di ogni terra, di ogni paese, di ogni cultura ..”Ora nessuna nascita è più senza musica/ nessuna tomba senza lucerna/ da quando tu Giobbe, dicesti/Io lo vedrò, io stesso: questi occhi vedranno e non altri/ultimo si ergerà dalla polvere/ Allora rinverdirà ogni carne umiliata/ e gli andremo incontro con rami nuovi/ una selva sola la terra, di mani” ( Mie notti)

Muore il 6 febbraio del 1992 consapevole che “La vita non finisce mai” identificando la morte con tutte le morti e con l’ultimo grido dell’umanità e del creato senza più confini: “e noi finalmente in quell’attimo dicessimo quest’unica parola/ perché delusi di ogni altra attesa/disperati di ogni altra speranza/ quando appunto così disperati /sperassimo e urlassimo (ma tutti insieme/ e a quel punto convenuti)/ certi che non vale chieder più nulla/ ma solo quella cosa /allora appunto urlassimo/ in nome di tutto il creato/(ma tutti insieme e a quel punto)/ Vieni, Vieni, Vieni Signore … Gesù

 

L’intervento di don Antonio Agnelli

Il centesimo anniversario della nascita di padre David Maria Turoldo, il 22 novembre 2016 riporta giustamente all’attenzione la figura straordinaria di questo frate dei Servi di Maria che ha segnato in modo indelebile la vita ecclesiale e politica del nostro paese fino alla sua morte avvenuta nel febbraio del 1992.

Fu un mistico, pellegrino verso il Dio vivente  che gli si manifestava spesso come Mistero insondabile, davanti al dolore e alla tragedia del soffrire umano senza senso e provocato dalla malvagità altrui.

Poeta e cantore delle Bibbia, della vergine Maria, combattente e resistente di fronte al dilagante consumismo, profeta impegnato nella difesa dei deboli, degli umiliati e offesi al cui fianco Gesù risorto è sempre presente per toglierli dalla croce dell’ingiustizia e dello sfruttamento sulle orme anche del beato Romero una cui gigantografia campeggiava nel suo studio.
Fu anche profeta di pace, impegnato a difendere la dignità di ogni uomo, ribadendo che “o si è uomini di pace o non si è uomini.” La passione per la pace fu in lui un fuoco divorante, una inquietudine diuturna da condividere con tutti coloro che desiderano seguire le beatitudini di Gesù.Ha mirabilmente elaborato questa profonda convinzione:

Beati, o poveri, o primi eredi
Che avete il cuore già oltre le cose,
principi siete di stirpe divina…..

Beati i miti: o inermi, vi siete
La invincibile forza di Dio,
voi soli avrete in possesso la terra…

gli annunziatori di pace, beati!
Come son belli i loro piedi e i volti:
i veri figli di Dio essi sono.

La sua denuncia si fa più circostanziata e straziante quando affronta il tema ancor oggi tragicamente vivo del commercio delle armi che alimenta violenza, divisione, guerre, stragi, terrorismi.

Emblematica è la bellissima preghiera Salmodia contro le armi (1972) di cui ora riportiamo alcuni brani di grande spessore e che sono un grido di denuncia e una invocazione continua al Dio mistero e pacificatore che in Gesù ci dona la sua vita di amore.

Parole di estrema attualità che ci fanno comprendere la capacità profetica di Turoldo di vedere nella realtà il male che s’annida oggi e sempre ma anche la possibilità divina di essere alternativi al mondo nella prospettiva della radicalità pura del Vangelo e della fede coinvolgente e contagiante.

Salmodia contro le armi
L’America fabbrica armi 
la Russia fabbrica armi 
tutta l’Europa fabbrica armi. 
L’America vende armi 
l’Inghilterra e la Svezia vendono armi 
la Francia e il Belgio e l’Olanda vendono armi 
perfino l’Italia – il più festoso paese 
d’Europa – vende armi… 
Di chi sono le armi del Medio Oriente e d’Israele? 
Due volte distrutta la terra, tre volte 
distrutta la terra, dieci volte 
cento volte distrutta la terra. 
E va bene: distruggeteci subito e sia 
finita. Ma non dite: 
noi siamo per la pace. 
Meglio subito perduti: 
purché non si viva più 
in questo immobile terrore, 
tutti sotto l’immenso fungo di morte! 
Purché nessuno più dica: la pace, la pace! 
La civiltà, il futuro, il progresso, 
l’unità del mondo! 
E’ vero il contrario; il dominio del mondo! 
Il prestigio, la tua ricchezza 
e la mia fame. La fame di due 
miliardi di uomini, di cinque 
miliardi di uomini, domani 
di dieci miliardi di uomini: 
questo oceano oscuro e ancora immobile. 
Almeno esplodesse questo oceano cupo 
e immobile; e Dio scendesse 
ad agitarlo. Perché da soli 
non possiamo, non possiamo! 
Nessuno ci libera dai nuovi Faraoni 
se Dio non scende a liberarci.
Militari, sempre più militari 
dovunque, milioni di militari 
all’ovest, milioni e milioni 
di militari all’est, sull’Ussuri, sull’Everest. 
Uomini, per una divisa 
vendete la vostra libertà? 
tutti indietro verso la grande foresta: 
uccidiamoci subito 
prima che sia tardi. 
Militarismi nazionalismi razzismi 
d’ogni specie, classismi: 
come da principio come da sempre. 
E Cristo è venuto 
ma è come se non fosse venuto.
E a comperare armi sono sempre i poveri 
e a fare le guerre sono sempre i poveri: 
i potenti vendono, i poveri comperano. 
E saranno sempre più poveri 
mentre loro saranno sempre più ricchi. 
I poveri non posseggono armi 
i poveri non hanno diritti! 
Almeno gli operai di tutto il mondo 
capissero, almeno essi: tutti gli operai! 
Che hanno da guadagnare gli operai 
a costruire armi? 
Tutte armi di morte contro di loro: 
costruiscono la loro morte 
con le loro stesse mani. 
Operaio, non costruire più armi. 
Ogni arma che fai sono moltitudini 
di poveri e di operai ad essere uccisi, 
con la tua stessa arma. 
Come fai a prendere la paga 
perché hai costruito armi? 
Come fai a lavorare per la pace 
se costruisci armi? Come puoi 
accarezzare i tuoi bambini 
dopo che le tue mani hanno costruito 
un fucile una bomba una mitraglia? 
Come fai a procreare creando armi? 
Operai, lasciate le fabbriche di armi! 
Tutti insieme in un solo giorno, 
queste fucine di morte: 
insieme provvederemo giustamente alla paga, 
lasciatele a un giorno convenuto, 
tutti gli operai del mondo insieme. 

Immaginate, operai, per grazia vostra 
nessun’arma che spara sulla terra 
nessuna portaerei che naviga sui mari 
nessun fragore di bomba dal cielo. 
Per grazia vostra, operai, 
nessuna sirena che urla 
nessun reggimento che marcia 
in nessuna direzione, 
perché non ha armi, 
nessun lamento di uccisi: 
il silenzio, la pace! 
In grazia vostra, operai.

Tutto sembra impossibile….irrealizzabile….ma come ha detto nella stessa salmodia Padre David “solo l’Utopia porta avanti il mondo”.

 

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