Nel Natale un atto di fede nella potenza della debolezza (VIDEO e FOTO)

Nella Messa della Notte di Natale il Vescovo ha individuato nell'amore e nel perdono le uniche vie per una pace

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Un atto di fede nel mistero del Natale, che vede trionfare in Gesù Bambino la «potenza della debolezza» e la «forza della tenerezza», «nella necessità dell’amore e del perdono come uniche vie per una pace, che nessun potere umano può garantire». Così il vescovo Antonio Napolioni nella Mesa della Notte di Natale, presieduta in Cattedrale allo scoccare della mezzanotte tre il 24 e il 25 dicembre.

In un clima solenne e partecipato lontano da quella «magica atmosfera del Natale» tanto osannata dalla pubblicità e che come unico prodigio ha quello di «far scomparire Gesù dal Natale e dalla nostra vita, in un’atmosfera così finta». Il monito del Vescovo è stato chiaro, come pure i tanti riferimenti alle attese del mondo di oggi. Con «le piazze che si riempiono di gente che grida il bisogno di cambiamento e di giustizia, mentre sembra che il 48 per cento degli italiani voglia un uomo forte che li governi, che abbia il potere, che risolva i problemi». Aspettative diverse, come quelle che duemila anni fa guardavano in modo differente al Messia atteso.

Al centro dell’omelia le parole del profeta Isaia che si compiono nella nascita di Gesù. L’onnipotente che «si nasconde e si spoglia della sua onnipotenza», ha affermato il Vescovo. O, meglio, la esercita fino in fondo. «La via che egli sceglie liberamente e consapevolmente, in obbedienza al padre, – ha precisato – è quella dell’umiltà, della piccolezza», che ha contrassegnato tutta la sua vita.

«Quando noi ci stanchiamo di amare – ha detto ancora monsignor Napolioni – iniziamo a odiare, per paura di on farcela». «E quando la paura prende il sopravvento – ha proseguito – siamo alla mercé non solo dei potenti, ma anche dei prepotenti. Il Signore Dio viene a smascherare questo inganno e a mettersi lui, umilmente, all’ultimo posto, facendo della sua impotenza, della sua sconfitta sulla croce, non semplicemente l’esempio di un eroe, ma il metodo di un Dio. Un Dio che con la Risurrezione non chiude la parentesi dell’incarnazione (…) ma continua, fino all’ultimo dei giorni, ad essere qui con noi con il suo Spirito, nella carne del suo popolo, chiamandoci a un atto di fede nella potenza di questa debolezza, nella forza della tenerezza, nella necessità dell’amore e del perdono come uniche vie per una pace che nessun esercito e nessun potere umano può garantirci». Con una consapevolezza: quella che l’esercito di Dio «siamo noi: i poveri, i piccoli, i semplici; coloro che danno effettivamente a Gesù il potere sulla propria vita».

Un sì che è stato in qualche modo confermato da ciascuno dei presenti nel Credo, inginocchiarsi ricordando l’Incarnazione del Verbo. Un gesto – ha ricordato ancora il Vescovo nell’omelia – che è un grande «sì» che dice: «Credo te, amo te, spero in te».

La solenne liturgia, iniziata incensando il Bambinello posto quest’anno dietro la Cattedra del vescovo, è stata concelebrata dal vescovo emerito Dante Lafranconi, dal vicario episcopale per la Pastorale e il clero e dal Capitolo della Cattedrale.

L’animazione con il canto è stata a cura del Coro della Cattedrale diretto da don Graziano Ghisolfi e accompagnato da un Quartetto d’archi, una tromba e l’organo, con il maestro Marco Ruggeri alla tastiera del Mascioni.

 

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