Le origini del presepe, Vangelo vivo

In due tweet Papa Francesco ha ricordato che “il presepe è come un Vangelo vivo” perché lo porta nelle case, nelle scuole, nelle carceri ma è anche “l’occasione per invitare Gesù nella vita. Perché se Lui la abita, la vita rinasce”. La rappresentazione della Natività del Signore appare già in epoche molto antiche con due varianti principali: Maria seduta in Maestà che tiene il Figlio in braccio con i Magi in adorazione e il Bambino nella mangiatoia tra il bue e l’asinello

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L’incanto della Madre con il Figlio appena nato colpì immediatamente l’immaginazione degli artisti tanto quanto la necessità spirituale di raffigurare il Mistero dell’incarnazione di Cristo. San Francesco, con la sua invenzione della tradizione del presepe, nel Natale del 1223, ha inaugurato una rappresentazione destinata a moltiplicarsi nell’arte, ma non solo, perché a partire dal XIII secolo prese sempre più piede l’usanza di allestire scenografie popolate da figuranti o da statue e statuine con i personaggi della scena natalizia: Gesù tra Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello, i Magi, gli angeli, i pastori e personaggi della vita quotidiana di ciascun tempo.

Le radici francescane del presepio

Nel 1263, Jacopo Torriti eseguiva i mosaici con le storie di Maria e tra queste una Natività, con uno schema iconografico ben noto in ambito bizantino. Maria emerge dall’oscurità della grotta distesa su un fianco, come dopo il parto, mentre posa nella mangiatoia il Bambino avvolto in fasce. Giuseppe sta in disparte e si volge a guardare la scena, contemplandone il mistero. Il bue e l’asinello spuntano dalla capanna. Fanno da contorno angeli e pastori. Nel 1291 Arnolfo di Cambio porta a compimento il primo presepio scultoreo.  La statua di Maria, molto rimaneggiata nel XVI secolo, è seduta al centro in maestà e tiene tra le braccia il piccolo Gesù. Accanto, alla sua destra, vi è san Giuseppe, in piedi e appoggiato a un bastone, assorto e in silenzio, proprio come nei Vangeli che non parla mai. A lato il bue e l’asinello si sporgono sulla mangiatoia. A sinistra i tre Magi. Le due opere furono commissionate dal Papa francescano Niccolò IV, che sulla scia del fraticello di Assisi, contribuì a codificare e ad affermare l’uso del presepio. Si trovano nella Basilica di Santa Maria Maggiore che in antico era denominata Santa Maria ad praesepem e dove nel 435 papa Sisto III aveva fatto costruire una cappella per custodire i frammenti di legno che secondo la tradizione sarebbero appartenuti alla culla di Gesù.

Origini dell’iconografia della Natività

Se il presepe nasce con san Francesco, l’iconografia della Natività affonda le radici in epoche più antiche. Spingendoci ancora più indietro nel tempo, troviamo infatti la Natività del Signore già nel III secolo, nelle catacombe romane di Priscilla, lungo la via Salaria. Si tratta di una pittura che nonostante si sia poco conservata, fa riconoscere la figura di Maria e del Bambino, simile come impianto alla scultura molto più tarda di Arnolfo di Cambio. È difficile non commuoversi di fronte a un’immagine che pur così evanescente, mantiene intatto il gesto tenero e protettivo di Maria verso il Figlio che si stringe al suo seno. Di fronte a lei, una figura maschile indica una stella: si tratta di un profeta, largamente attestato nell’iconografia di età paleocristiana (Nm 24, 17-18; Is 9,5-6).

Il presepe prende forma

Durante il IV secolo si diffondono le raffigurazioni della Natività sui sarcofagi, alternate a scene del Nuovo e Antico testamento. Continua a essere molto diffusa la processione dei Magi in adorazione del Bambino tenuto in braccio dalla Madre e la figura del profeta che indica la stella. Tra questi uno dei più celebri è il Sarcofago “dogmatico” dei Musei Vaticani e proveniente dalla basilica di San Paolo del 330-340. La figura maschile in piedi dietro la Vergine è stato interpretata come san Giuseppe, ma è più plausibile che si tratti del profeta. Lo schema del presepe che vede al centro la mangiatoia con il Bambino, il bue e l’asinello, comincia ad apparire verso la fine del IV secolo.  In questo periodo gli elementi sono ridotti all’essenziale, mentre con il tempo la scena si farà via via più complessa e affollata di personaggi, ognuno con propri ruolo e simbologia. All’inizio, centro focale della composizione è la mangiatoia. È chiara la derivazione dal Vangelo di Luca che pone su di essa un accento particolare, citata per ben tre volte (Lc  2, 7.12.16), nel testo  latino con il termine praesepium e φάτνῃ (phatnē) in quello greco. Ed è proprio la presenza della mangiatoia che ci autorizza a chiamare presepe questo tipo di rappresentazione della nascita di Gesù.

La mangiatoia al centro del mistero dell’Incarnazione

La mangiatoia è il discrimine tra mondo pagano e mondo cristiano. “L’argento e l’oro si addicono al mondo pagano: alla fede cristiana si addice la mangiatoia fatta di fango”, scrive san Girolamo nell’Omelia sulla Natività del Signore, 31-40. “Il Signore, fattosi uomo, cambiò il nostro fieno in grano, poiché egli dice di se stesso: ‘Se il chicco di frumento non cade in terra e muore, rimane solo. Perciò anche, appena nato, è messo nella mangiatoia, perché nutrisse tutti i fedeli, rappresentati dagli animali, col frumento della sua carne’” (San Gregorio Magno, Omelia 1,8) La mangiatoia è il luogo dove l’umanità peccatrice incontra il Redentore. Cristo “pur essendo Dio non ne ha accolto il privilegio, ma ha svuotato se stesso “assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2-8). Così la mangiatoia prefigura il sacrificio eucaristico: “Mentre eravamo abbrutiti nell’anima, ora, avvicinandoci alla mangiatoia, cioè alla sua mensa, non troviamo più il cibo, ma il pane del cielo, che è il corpo di vita (Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di LucaOmelia I).

Il bue e l’asinello

Accanto alla mangiatoia appaiono sempre il bue e l’asinello, eppure i Vangeli non ne parlano mai. Questi animali sono citati invece nella Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, nei capitoli sulle Storie di Maria e Gesù e nel Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo, fonti dalle quali discende gran parte dell’iconografia neotestamentaria. Lo Pseudo Matteo, in particolare, interpreta i due animali come il compimento di una profezia dell’Antico Testamento: “Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia, con le parole: ‘Il bue riconobbe il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suo signore’. Gli stessi animali, il bue e l’asino, lo avevano in mezzo a loro e lo adoravano di continuo. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Abacuc, con le parole: ‘Ti farai conoscere in mezzo a due animali’ (14,1). Agostino e Ambrogio, come altri Padri, ravvisarono nella presenza dei due animali il significato allegorico della loro presenza nella Natività. Infatti, essi furono considerati come i rappresentanti del popolo ebraico (il bue), oppresso dalla Legge, e dei popoli pagani (l’asino), macchiati dal peccato di idolatria. Popoli che la venuta di Cristo avrebbe liberato.

Il sarcofago di Adelfia a Siracusa

L’immagine del presepe appare su alcuni sarcofagi a partire dalla metà del IV secolo. Sul timpano laterale del sarcofago cosiddetto di Stilicone, conservato sotto il pulpito della basilica di Sant’Ambrogio a Milano, di fine IV secolo, appare Gesù avvolto strettamente nelle fasce e disteso su una mangiatoia tra il bue e l’asino. La scena è schematica, ridotta all’essenziale, ma fortissima è la simbologia dell’antitesi tra vita e morte e dell’identità della nascita con il sacrificio di Cristo. Le fasce sembrano quelle di un sudario, la mangiatoia è simile a una tomba. Più articolate sono le figurazioni su alcuni sarcofagi, come quelli di Boville Ernica, del Museo Pio cristiano e del Museo Nazionale Romano (sarcofago di Marco Claudiano del 330-335) ma certamente il più complesso ed eccezionale appare il sarcofago di Adelfia, conservato nel Museo di Siracusa. La cassa, datata tra 340 e 350, è decorata a fregio continuo con le storie di Cristo. Proprio sotto la conchiglia con l’immagine dei defunti, appare la consueta immagine di Maria in Maestà, con il bimbo sul grembo e i tre Magi. Di grande interesse è però il fregio sul coperchio, molto probabilmente più tardo, di epoca teodosiana. Sotto una fragile capanna con il tetto di tegole e coppi, avvolto nelle fasce, dorme il Bambino sdraiato in una greppia fatta di vimini. Il bue e l’asino stanno di lato. Dopo un pastore (Luca, 2, 4-19), riconoscibile dal caratteristico bastone, Maria è seduta ai margini della scena avvolta nel pallio, il mantello; sull’altro lato i Magi con i loro doni seguono la stella che sembra quasi muoversi per posarsi sul tetto. Il fregio del coperchio mostra le storie di Maria, che appare in ogni episodio. Il concilio di Efeso del 431 sembra presagire in questo sarcofago l’importanza assunta dalla Vergine quale protagonista del mistero dell’Incarnazione. Qui Maria appare ancora appartata, ma non sfuggirà che la sua posizione corrisponde a quella occupata dai personaggi seduti ai margini delle scene dei sarcofagi romani di età imperiale. Sono filosofi o divinità che iniziano o chiudono la storia che si dipana sul fregio e che, in qualche modo, la raccontano.

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