Mons. Napolioni: «Il vescovo Giulio si è consumato nello spendersi per questa Chiesa»

Il 19 giugno in Cattedrale la Messa nel 15° della morte di mons. Nicolini, di cui è stato ricordato in particolare l'impegno nelle comunicazioni. Dopo la Messa, nella cripta del Duomo, la preghiera sulla tomba del vescovo bresciano

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Un vescovo ancora presente nella memoria di molti, ma soprattutto nel presente e nel futuro della Chiesa che, grazie a Cristo Gesù, non è prigioniera del tempo e dello spazio. Così mons. Antonio Naplioni ha guardato a mons. Giulio Nicolini, vescovo di Cremona dal 1993 al 2001, morto improvvisamente appena concluso il Congresso eucaristico. L’occasione è stata la Messa di suffragio celebrata in Cattedrale nel pomeriggio di domenica 19 giugno, nel 15° anniversario della morte.

Accanto al vescovo Napolioni hanno concelebrato l’Eucaristia il vicario generale, mons. Mario Marchesi, il presidente del Capitolo, mons. Giuseppe Perotti, e diversi altri canonici. E non mancava neppure don Flavio Meani, segretario e cerimoniere vescovile, incarichi che ha assunto proprio durante l’episcopato di mons. Nicolini.

Nell’omelia il vescovo Antonio ha voluto tratteggiare la figura di mons. Nicolini sviluppando in particolare tre immagini tratte dalla Parola di Dio. Lo ha fatto con quella «familiarità» instaurata in questi primi mesi di episcopato cremonese, nel quale sono affiorati tanti riferimenti e ricordi, quasi un «album di famiglia in cui rivivono i perché di ciò che vedo e vivo adesso».

Il pensiero è andato anzitutto a mons. Nicolini ai tempi dell’impegno presso la sala stampa della Santa sede, dove mons. Napolioni ebbe occasione di conoscerlo, seguendo poi gli anni da vescovo di Alba. «Ero sempre legato a questa sua passione per la comunicazione – ha affermato il vescovo Antonio – che anche qui a Cremona ha concretizzato in alcuni servizi di cui ancora oggi beneficiamo». Da qui il parallelo al Gesù comunicatore del Vangelo, che chiede un feedback del proprio annuncio.

«Mi viene questa domanda – ha proseguito il Vescovo –: che dice il Signore di me? che cosa mi sta dicendo di questa Chiesa? E allora, certo, il vescovo è un comunicatore: ma innanzitutto è un ascoltatore e un adoratore del Padre, uno che si stupisce di quanti messaggi il Signore gli manda. Fino a scoprire che davvero Lui ci precede! Attraverso anche i vescovi che mi hanno preceduto: le cose che hanno fatto, l’educazione che hanno trasmesso alla comunità».

Una comunicazione che è forte più salda è la comunione con il Signore. Un impegno che richiede tanti sforzi personali, con un coinvolgimento pieno e totalizzante, fatto soprattutto di relazioni. «In questi giorni – ha detto ancora il Vescovo – capisco come i preti non sono semplicemente pedine da spostare, ma storie da ascoltare, fragilità e risorse con le quali metterci dietro a Gesù».

Da qui un secondo invito: «perderci seguendo Gesù». Non è facile il ministero episcopale, tanto quasi da perdersi: ma non seguendo Gesù, «seguendo Gesù c’è da spendersi!». E’ la condizione del credente che «non è fatto per prendere casa quaggiù». E ha proseguito: «Credo che un vescovo, come un genitore e ognuno di noi, non può fidarsi di se stesso: deve mettere da parte le sue idee preconfezionate, le sue certezze di sempre. Se non c’è la nuova certezza che cristo è vivo e mi precede e mi apre una strada, fosse anche la strada in salita della Croce!».

«Il vescovo Giulio – ha proseguito – si è consumato nello spendersi per questa Chiesa e nel dare al Signore la sua vita quando poteva iniziare una fase di riposo che magari ce l’avrebbe consegnato ancora oggi, novantenne, sereno, lucido, capace di dare ancora tanta testimonianza al Vangelo. E invece quel giorno il cuore si è fermato: quel giorno si è fermato il suo cammino terreno, ma quel chicco di grano ha portato un grande frutto. Perché chi perde la propria vita per causa mia la vedrà moltiplicata. E chissà che questa Chiesa non debba i suoi frutti non tanto alla bravura dei suoi pastori, ma al sacrificio dei suoi pastori. Lo dico un po’ tremando, perché ora tocca anche a me».

Infine il riferimento alla prima lettura è servito per ricordare che «la morte è un inizio», «ogni partenza non è un addio, ma un nuovo inizio», nella «fedeltà alle promesse di Dio, che fa anche di questa sera l’esperienza di una sorgente». «Noi non commemoriamo i morti – ha concluso il Vescovo – allontanandoci da loro, né semplicemente calcolando il tempo che ci manca per rivederli, ma facendo zampillare dalla ferita del crocifisso e dalle nostre ferite la sorgente della grazia, la sorgente della speranza, il segreto dell’unità: Cristo risorto e vivente tra noi».

Al termine della Messa, dopo la benedizione finale, i sacerdoti e i fedeli sono scesi in cripta per una preghiera davanti alla tomba del vescovo Giulio.

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Il vescovo Giulio Nicolini

Nato a San Vigilio di Concesio nel 1926 e ordinato sacerdote nel 1952, mons. Nicolini esercitò il suo primo apostolato tra i migranti in Svizzera, nell’Azione Cattolica e come insegnante. L’attività che meglio lo contraddistinse, però, fu sicuramente il suo impegno nel campo della comunicazione sociale. Dal 1972 ricoprì diversi incarichi a Roma: nella Pontificia commissione per la pastorale delle migrazioni, nella Congregazione per i vescovi, e nella sala stampa della Santa Sede dove svolse il ruolo di vicedirettore.

Il 25 luglio 1987 Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Alba. Consacrato dallo stesso Pontefice nella basilica di San Pietro il 5 settembre, entrò nella diocesi piemontese domenica 27 settembre 1987.

Il 16 febbraio 1993 fu nominato vescovo di Cremona e fece il suo solenne ingresso il 4 aprile 1993, domenica delle Palme.

Negli otto anni di episcopato cremonese mons. Nicolini si adoperò su molti fronti: dall’attenzione della storia locale con l’anno di S. Omobono e i restauri della Cattedrale all’animazione del grande Giubileo del 2000, fino alla nascita della Casa della Comunicazione e della Casa della Speranza per malati di AIDS.

La conclusione del Sinodo diocesano, sancito da un importante pellegrinaggio alla Sede di Pietro, fu uno dei traguardi più importanti del suo episcopato.

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