Lo stemma episcopale dell’arcivescovo Perego

Nella parte superiore i simboli dei patroni dell’Arcidiocesi, sotto il richiamano a Maria e al Po

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I colori sono l’oro e l’azzurro. Nella parte superiore un ramo di palma verde e una lancia, posti in decusse, richiamando i simboli dei patroni dell’Arcidiocesi; in quella inferiore due onde d’argento (chiaro riferimento al Po che unisce Cremona a Ferrara) e la stella a sette punte, simbolo di Maria. Questo lo stemma episcopale scelto da mons. Gian Carlo Perego, nuovo arcivescovo di Ferrara-Comacchio.

Secondo la tradizione araldica della Chiesa cattolica, lo stemma di un Arcivescovo è tradizionalmente composto da:

  • uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, da particolari devozioni o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altre particolarità;
  • una croce arcivescovile (detta anche “patriarcale”), con due bracci traversi all’asta,  in oro,  posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
  • un cappello prelatizio (galero), con cordoni a venti fiocchi, pendenti, dieci per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3.4), il tutto di colore verde;
  • un cartiglio inferiore recante il motto, scritto abitualmente in nero.

Per questo stemma è stato adottato uno scudo di foggia gotica, frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica mentre la croce patriarcale è “lanceolata”, con cinque gemme rosse a simboleggiare le Cinque Piaghe di Cristo.

Troncato d’oro e d’azzurro: nel 1° al ramo di palma di verde e alla lancia al naturale posti in decusse; nel 2° alla gemella ondata d’argento in punta, sormontata da una stella (7) dello stesso.

 

Interpretazione dello stemma

 

L’ornamento esterno allo scudo, caratterizzante lo stemma di un Arcivescovo, oltre ai venti fiocchi verdi, è la croce astile arcivescovile.

Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica appunto la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata dai Patriarchi e, poco dopo, dagli Arcivescovi.

Alcuni studiosi ritengono che il primo braccio traverso, quello più corto, volesse richiamare il cartello con l’iscrizione “INRI”, posto sulla croce al momento della crocifissione di Gesù.

La campitura superiore dello scudo è in oro, il primo tra i metalli nobili, simbolo quindi della prima Virtù: la Fede. E’ infatti grazie alla Fede che possiamo affidarci totalmente alla infinita misericordia di Dio, al Suo progetto di salvezza per noi.

Su questo sfondo appaiono i simboli dei santi patroni dell’Arcidiocesi: San Giorgio, patrono di Ferrara, qui rappresentato dalla lancia con cui, nell’iconografia classica, trafigge il drago, simbolo del male e San Cassiano Martire, patrono di Comacchio, identificato dalla palma del martirio.

La metà inferiore dello scudo è in azzurro, colore che simboleggia il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio, quindi il cammino delle virtù che si innalzano sulle cose di questa terra verso l’incorruttibilità della volta celeste.

Le onde argentee assumono qui un doppio significato: richiamano le acque del fiume Po che unisce Cremona, diocesi d’origine di Mons. Perego con Ferrara, diocesi che il Santo Padre ha affidato alle sue cure pastorali e, nello stesso tempo, le acque dei mari che i migranti attraversano, spesso con esiti drammatici, nella speranza di poter approdare a lidi ospitali su cui ricominciare una vita migliore.

La stella simboleggia la Madonna, Maria, la nostra Madre celeste, che ha accompagnato il cammino di discernimento spirituale e di vita presbiterale del Presule (ad Agnadello, come Madonna della Vittoria, a Caravaggio, come la Beata Vergine del Sacro Fonte, a Cremona come Maria Assunta in cielo), alla cui materna protezione, come Madonna delle Grazie, l’Arcivescovo affida il suo nuovo servizio pastorale nella diocesi di Ferrara-Comacchio.

 

Il motto episcopale

Per il proprio motto episcopale l’Arcivescovo Perego ha scelto le parole dell’incipit della Costituzione pastorale “Gaudium et spes” del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, promulgata il 7 dicembre 1965 da Paolo VI, nell’ultimo giorno dell’assise conciliare.

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