Le Monache Domenicane ricordano la posa della clausura papale 11 anni fa

Domenica 6 gennaio, nella solennità dell'Epifania, il ricordo nei Vespri presieduti alle 17 dal vescovo Napolioni a S. Sigismondo

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Domenica 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore, alle 17, nella chiesa monastica di San Sigismondo, a Cremona, il vescovo Antonio Napolioni presiederà il canto dei Secondi Vespri insieme alla comunità delle monache domenicane che proprio in questa occasione ricorderanno l’undicesimo anniversario della posa della clausura papale al monastero domenicano di San Giuseppe. In vista di questa ricorrenza proponiamo una riflessione sulla clausura proposta dalle Monache domenicane di Cremona.

 

“La separazione dal mondo, necessaria per quanti seguono Cristo nella vita religiosa, ha per voi, sorelle contemplative, una manifestazione particolare nella clausura, che è il luogo dell’intimità della Chiesa sposa: segno dell’unione esclusiva della Chiesa sposa con il suo Signore, sommamente amato” (Vdq 31).

Con queste parole, tratte dalla Costituzione Apostolica “Vultum Dei Quaerere” di Papa Francesco sulla vita contemplativa femminile, la Chiesa ha solennemente riconfermato il valore della clausura, quale segno distintivo di speciale consacrazione. Ma potremmo chiederci: “La clausura ha ancora qualcosa da dire al mondo di oggi?… Che testimonianza può ancora offrire questa forma particolare di separazione dal mondo?…

Gli aspetti esteriori come avere o non avere la grata, oppure uscire o non uscire per fare la spesa ecc… sono legati alla scelta delle diverse Comunità e alla situazione logistica del Monastero. C’è tuttavia nella clausura un nucleo centrale che accomuna le monache di tutti gli Ordini: “lo stare ferme in un luogo preciso”.

In una cultura in cui tutto è fluido, vaporoso e passeggero, la suora di clausura si pone come una persona che “sta”. La vera disciplina claustrale è racchiusa in questa “attività” – apparentemente passiva – che fa appello a tutte le energie interiori della persona umana. “Siediti e pensa”, diceva secoli fa Evagrio Pontico ai suoi discepoli. É proprio quello che fanno ogni giorno le monache.

Di fronte alle difficoltà della vita, la monaca, aiutata dalla clausura che liberamente ha abbracciato, non rimuove i problemi, ma cerca di incarnarli nel suo vissuto quotidiano, fatto di gioie e fatiche, di soddisfazioni e insuccessi, di forza e fragilità, e li dipana davanti a Dio, con l’aiuto delle sue Consorelle. E quando insorgono difficoltà di relazione con loro, per diversità di età e di formazione, la monaca, anziché “sconnettersi” come si fa con le amicizie virtuali, mette in atto il perdono e la riconciliazione per costruire pazientemente quella comunione evangelica che è obiettivo di tutta la sua vita consacrata.

Oggi la frenesia della vita induce spesso le persone a non guardare in faccia i problemi reali; si preferisce fuggire, negare, dare la colpa agli altri, o ritirarsi nella propria torre d’avorio. La claustrale invece, per essere fedele alla sua vocazione, sceglie di rimanere in Monastero, nella culla della sua Comunità, proprio come una sposa che rimane fedele allo sposo nella buona e nella cattiva sorte.

La clausura è l’abito nuziale della monaca, segno di uno stile di vita capace di parlare a tutti, credenti e non credenti, che induce domande a cui è difficile sottrarsi.

La clausura resta come una pietra d’inciampo, richiamo a una stabilità a cui il mondo anela forse senza saperlo, una stabilità ordinata a Dio e ai fratelli.

La clausura è un limite che non limita, appunto perché ci apre a Dio e al mondo intero; é strumento privilegiato di evangelizzazione secondo il carisma che S. Domenico di Guzman, nostro Fondatore, ha trasmesso alle sue monache: stare davanti a Dio per parlarGli degli uomini; mentre i predicatori del Vangelo di pace vanno e parlano agli uomini di Dio.

Le Monache Domenicane
di S. Sigismondo

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