Intervista a don Margini, direttore spirituale per 36 anni

GIovedì 29 con una solenne celebrazione in Seminario il sacerdote passa il testimone a don Maurizio Lucini

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Con una solenne celebrazione in Seminario, nel tardo pomeriggio di giovedì 29 settembre, si è concluso ufficialmente il ministero di direttore spirituale di don Primo Margini, classe 1947, originario di Viadana. Ordinato nel 1971 il sacerdote mantovano è stato per otto anni vicario a Sabbioneta, paese dove tuttora abita la sua famiglia. Nel 1979 è stato nominato direttore spirituale del Seminario minore (medie e liceo) a cui nel 1987 gli è stato aggiunto il maggiore (teologia). A don Margini, che dopo 36 anni passa il testimone ad un altro mantovano, don Maurizio Lucini, abbiamo rivolto alcune domande.

Si conclude un lungo tratto della sua vita sacerdotale dedicato  all’accompagnamento dei giovani che verificano la propria vocazione. Cosa ha imparato in questi anni?
«Posso dire con animo grato che in tutti questi anni è sicuramente molto più il bene che ho ricevuto di quanto ho potuto dare al Seminario.  In particolare il servizio che ho svolto mi ha spinto ad una crescita personale continua, sia pure nei miei limiti.  L’impegno di accompagnare i seminaristi nel discernimento della loro vocazione è stato un richiamo ad approfondire la riflessione sulla mia vocazione e a viverla sempre meglio. Ho compreso quanto rispetto ed umiltà occorre di fronte al mistero di ogni cuore umano e, d’altra parte, di fronte all’opera segreta del Signore che dolcemente  e potentemente lo guida e lo attira a sé. Ho toccato con mano di essere semplicemente uno strumento e per di più sempre inadeguato di una grazia  che ci trascende  e che chiama in gioco la libertà più profonda di ogni persona».

Dalla sua esperienza di direzione spirituale dei giovani seminaristi come vede mutata la sensibilità giovanile riguardo la possibile chiamata di Dio.
«Ripensando  ai ragazzi e giovani che ho incontrato in questi trentasei anni sicuramente si possono cogliere punti di continuità e aspetti di diversità.  Sarebbe difficile esplicitare in poche righe le  caratteristiche delle varie età e dello sviluppo negli anni  che abbiamo trascorso.  Tuttavia in breve penso di poter dire che il salto più grande è avvenuto con l’arrivo  di quella che è stata definita l’era digitale e delle nuove tecnologie di comunicazione.  Esse sono certamente una formidabile opportunità, ma costituiscono anche un grande problema per i loro risvolti sulla formazione della personalità,  sulla maturazione di relazioni autentiche, sulla formazione e la custodia della propria  interiorità, sulla percezione della realtà di sé e del mondo circostante. In questo contesto generale nel quale di fatto stiamo navigando a vista, comprendiamo quanto diventi difficile e lento il comprendere e soprattutto accogliere la vocazione sacerdotale.   Lo si nota soprattutto nella esperienza della preghiera, nella vita di comunità, nel dare un ordine al proprio mondo interiore, nell’arrivare a scelte definitive e stabili, nel reggere il duro confronto con il mondo  che da una parte seduce e dall’altra emargina il cristiano e tanto più un giovane che si sente chiamato  al sacerdozio. A questo punto  appare sempre più chiaro che la vocazione è davvero una grazia  e che il Signore sa trovare le vie anche più impensabili per arrivare al cuore. A  noi spetta semplicemente di promuovere con coraggio  ed insieme accompagnare con saggezza e  vivo stupore questa sua azione».

Quali consigli si sente di dare ai sacerdoti impegnati in pastorale  riguardo all’accompagnamento personale dei fedeli nelle parrocchie?
«A dire la verità dopo tutti questi anni non mi sento di dare tanti consigli ai miei confratelli per quanto riguarda l’accompagnamento spirituale dei fedeli  nel loro cammino di vita cristiana. Dico così perché ognuno deve farsi la sua esperienza  sul campo  e perché ho capito la complessità e la delicatezza di questo servizio che mi spinge a farmi pensieroso  più che a parlare. Comunque mi sentirei di affermare che non solo è bello per un prete essere “padre spirituale”,  ma che diventa sempre più necessario per  la situazione in cui ci troviamo oggi accompagnare personalmente, per quanto possibile, la crescita  nella fede dei giovani e anche dei non più giovani.  Lo constatiamo  nei cammini di iniziazione cristiana, nella preparazione al matrimonio, nella formazione dei giovani, soprattutto nella confessione».

L’itinerario educativo del Seminario le sembra ancora adeguato per la formazione dei futuri sacerdoti? Cosa aggiungerebbe e cosa le sembra utile abbandonare?
«La mia permanenza prolungata nella comunità del seminario mi ha reso testimone di un cambiamento continuo. Ho iniziato il mio servizio quando i seminaristi erano ancora più di cento e l’ho concluso con un gruppo di 13. I vari educatori, sotto la guida dei vescovi e degli orientamenti della Chiesa Italiana riguardo alla formazione dei futuri sacerdoti,  hanno cercato di adeguare la struttura educativa del seminario alla situazione così mutevole. Sono cambiati il numero dei seminaristi  la loro età media, la loro provenienza  e la loro condizione di partenza. E’ cambiato il mondo e la vita nelle nostre parrocchie e in tante famiglie.  Potrebbe non apparire, ma in realtà il seminario è stato e continua ad essere un vero cantiere aperto.  Senza entrare nei particolari,  si è cercato di custodire da una parte la nostra tradizione diocesana e, dall’altra parte, di procedere gradualmente ai rinnovamenti richiesti dalla Chiesa e dalla situazione sociale attuale.  Anche l’arrivo del nostro vescovo Antonio ha portato un vento nuovo, nuovi educatori, nuove aperture  e nuove collaborazioni nella formazione dei giovani seminaristi.  La rapidità e l’intensità dei mutamenti culturali nei quali ci troviamo a vivere impone una intelligenza educativa straordinaria e  ci fa sentire sempre in ritardo. Tutti sanno dire di quali preti ha bisogno la chiesa oggi, ma chi è in grado di formarli  nel breve tragitto degli anni di seminario? La verità è che si tenta con umiltà e tanta passione di fare il meglio che si può, come ogni padre e ogni madre che hanno a cuore la vita dei propri figli».

Il ricordo più bello di questi anni di servizio alla Chiesa diocesana?
«Porto dentro di me tantissimi ricordi proprio belli. Penso al fiorire della vita spirituale in tanti cuori giovani, penso alla meravigliosa esperienza di fraternità con i vari sacerdoti che si sono susseguiti negli anni come educatori. Penso all’affetto e alle premure di cui sono stato circondato da parte dei seminaristi e dei confratelli. Penso in particolare a quei momenti di difficoltà che al momento mi hanno fatto un po’ soffrire, ma che adesso riscopro come provvidenziali e veri snodi preziosissimi della mia personale storia di uomo e di prete.  Devo ringraziare davvero tutti e in definitiva il Signore perché mi sento di essere stato portato in palma di mano».

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