Il nuovo alfabeto giovanile: l’intervento di Giuseppe Mari al corso “Dalla parte degli alunni”

Venerdì 19 febbraio al Centro pastorale diocesano il secondo incontro del percorso di formazione per docenti, genitori ed educatori sulle emozioni nei ragazzi

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Venerdì 19 febbraio, presso il Centro pastorale diocesano di Cremona, in un salone Bonomelli gremito di pubblico, si è tenuto il secondo incontro del percorso di aggiornamento e formazione per docenti, genitori ed educatori “Dalla parte degli alunni. Per una scuola di incontri e ambienti umanizzati nell’era di Facebook”. Relatore il prof. Giuseppe Mari, docente di Pedagogia generale all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Dopo la presentazione da parte di don Claudio Anselmi, la presidene dell’A.I.M.C., Disma Vezzosi, ha introdotto il relatore invitandolo a prendere la parola sul difficile e attuale tema delle emozioni nei ragazzi di oggi, a scuola, come dovunque.

Il prof. Mari ha iniziato mettendo subito in chiaro che tutti constatiamo ogni giorno la difficoltà di affrontare l’educazione, ma questo è un problema che è sempre esistito, da quando esistono gli esseri umani, quindi noi oggi non siamo di fronte ad una difficoltà sconosciuta ed insormontabile, ma ad un problema di sempre. Ecco perché non si deve essere demotivati e sfiduciati. Educare è sempre stato difficile ed è oggi davvero necessario continuare a raccogliere la sfida di educare, evitando di gettare la spugna passivamente.

Inoltre, ha aggiunto il prof. Mari, va constatato che oggi finalmente stanno crescendo alcune generazioni che sono tornate a cercare l’adulto, che chiedono aiuto, dopo decenni in cui sembrava quasi impensabile un rapporto intergenerazionale che non fosse di conflitto. Ecco allora una ragione in più perché gli adulti non si comportino, a loro volta, come adolescenti schivando i problemi, ma si atteggino da adulti quali sono, genitori ed insegnanti. L’educazione, infatti, è sempre guida e il primo elemento indispensabile è la disponibilità dell’educatore.

Davvero, come si dice, oggi siamo di fronte ad una generazione di giovani estremamente fragili ed ipersensibili, cosa che non possiamo accettare come normale e ineluttabile. Anzi quel che occorre è cercare di partire dalla negatività per “rovesciarla” verso il positivo.

A questo punto il relatore lancia uno sguardo nel passato che sta dietro le incertezze del presente prendendo in esame tre momenti.

Il primo sfondo “remoto” risale all’epoca tra ‘500 e ‘600, l’età moderna, quando c’è stato un grande rivolgimento culturale con la nascita della scienza sperimentale che ha aperto la strada ad una concezione del reale basata esclusivamente sulla razionalità e sull’oggettività, strada portata avanti poi dalle idee illuministe che ancor di più hanno fondato il sapere sull’oggettività, senza considerare che l’essere umano non può essere totalmente oggettivato.

Il secondo sfondo passato che ha lasciato il segno è quello degli anni ‘60/’70, quelli della contestazione che ha smantellato il concetto di autorità aprendo le porte al permissivismo indiscusso. Oggi, però, si torna a parlare di regole, perché l’assenza di queste si è visto che porta una grande fragilità nei ragazzi che non concepiscono i limiti e, di conseguenza, non sono in grado di tollerare nessun fallimento, nessuna difficoltà.

Il terzo sfondo, più vicino a noi, è quello della cultura del relativismo e dell’autoreferenzialità narcisistica che fa della propria soddisfazione la misura di ogni cosa.

Il risultato di tutto questo, secondo il prof. Mari, è, appunto, la fragilità, l’incapacità di accettare l’errore, la paura di sbagliare.

Di fronte a tale realtà gli educatori, dice con decisione il relatore, non dobbiamo tirarci indietro, non dobbiamo, però, nemmeno pensare di uscire dalla modernità per tornare in un’ipotetica età dell’oro, ma dobbiamo rientrare nella modernità cogliendone altri aspetti che non siano solo il razionalismo oggettivo, sulla scia di Pascal che all’ésprit de géometrie, come solo strumento per conoscere l’uomo, aggiunge l’ésprit de finesse. Essere razionali, infatti, significa conoscere, sapere per agire liberamente. Sapere nel senso anche di “avere sapore”. Per cui si deve comprendere che l’emozione non è irrazionalità negativa, ma razionalità che conosce, che ha e dà sapore, perciò non è affatto impossibile, ma auspicabile, educare le emozioni a diventare canali conoscitivi. Quindi non dobbiamo temere le emozioni, ma imparare a governarle. Controllare le emozioni significa imparare a guardare chi siamo e chi sono gli altri, imparare a comunicare con gli altri, uscendo da una singolarità autoriflessiva che non può bastare, perché l’essere umano è fatto per le relazioni e le relazioni buone si fondano sulla conoscenza di sé e degli altri.

Per questo, riprende il prof. Mari, bisogna essere pronti a cogliere il bisogno di aiuto delle nuove generazioni, che hanno sempre più paura di sbagliare anche perché non sanno come relazionarsi. Non ci si deve arrendere di fronte alla realtà, ma occorre andare “oltre”, perché essere liberi vuol dire sfidare il destino, non adattarsi. E la grande sfida che noi dobbiamo cogliere dai ragazzi di oggi è quella di aiutarli a vincere la paura, ad imparare a decidere, a scegliere, anche pensando che la scelta sarà irreversibile. I ragazzi di oggi, a scuola, imparano soprattutto a fare analisi, ma con tante analisi non si arriva a nessuna sintesi, mentre è la sintesi che porta alle decisioni. Ecco la necessità per i ragazzi di fare esperienza di sintesi, come con il lavoro manuale che è essenzialmente sintetico. Non basta cercare, fare domande, occorre trovare una risposta sicura.

La verità non ci deve dunque spaventare, perché la si può trovare. Questo è il messaggio che anche la scuola dovrebbe dare ai ragazzi, un messaggio di stabilità; e la scuola, in quanto istituzione, deve essere modello di stabilità, opportunità di stabilità per molti ragazzi che altrove non la trovano. Bisogna quindi non essere blandamente possibilisti e smarriti di fronte alle difficoltà indubbie del vivere, ma è necessario educare ad avere fede, fede in se stessi, fede in qualcosa che va oltre la razionalità, ma è verità, che va cercata perché esiste. Del resto la dimensione della fede non è un di più, è qualcosa di strutturante per l’uomo, per cui l’uomo non può non credere e la domanda da porci non è se siamo o no credenti, ma in che cosa crediamo.

La sfida, conclude, il prof. Mari è allora educare a governare le proprie emozioni, senza timore, cioè imparare a disciplinare la propria energia e indirizzarla verso un obiettivo positivo.

Così anche gli educatori non devono avere paura, non devono arrendersi di fronte ad un mondo che va in rovina senza controllo, come Agostino che, di fronte alla fine dell’impero, reagisce vedendo non un mondo morente, ma un nuovo mondo che sta sorgendo.

Dopo l’appassionato e deciso intervento del prof. Mari si è aperto un vivo dibattito suscitato da numerose domande dei presenti.

Maria Silvia Mussi

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