I temi vocazionali al centro dell’incontro del Vescovo con i sacerdoti in Seminario

Scambio di riflessioni nella consapevolezza che, in un mondo che cambia, i criteri del discernimento vocazionale non possono rimanere uguali

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Una chiesa in comunione, dialogo e che sia corresponsabile, cioè inviti all’apertura relazionale, con grande pazienza. Una chiesa vera, autentica, prossima alle persone sono solamente alcune delle espressioni uscite nell’incontro svoltosi in seminario, nella mattinata di giovedì 14 aprile, tra i sacerdoti. Presente il vescovo Antonio e il vescovo emerito Dante, anche alcuni religiosi.

Dibattito cordiale e franco, iniziato da don Paolo Arienti, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale giovanile, che è partito dalla fede del giovane “millenial”, così come emerge dall’indagine qualitativa fatta per l’Istituto Toniolo (www.rapportogiovani.it). Si è poi passati a delineare, in cinque espressioni la sintesi degli incontri zonali tra i sacerdoti.

La Pastorale vocazionale, secondo i preti cremonesi, va fatta insieme, da una comunità educante che aiuti a credere e possa, come anche Papa Francesco invita per questa 53a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni “a sostenere, nella Chiesa, le vocazioni”. Inoltre, le vocazioni hanno bisogno di gioia e di incoraggiamento, anche là dove, talvolta, i giovani non vedono sul volto dei consacrati una risposta entusiasta alla chiamata.

Qualcuno ha sottolineato come bisognerebbe “osare” di più, senza temere i “no” ma, al contrario, proponendo un ideale di vita cristiana ed evangelica davvero entusiasmante, così come è stata anche tratteggiata nell’Evangelii Gaudium.

Infine non devono mancare né l’unità tra la fede e la scelta di vita: diversamente tutto rimane in superficie, senza scavare nel profondo. Ma soprattutto non si deve far perdere la speranza, con la percezione, nella fede, che Dio non smette di chiamare. Certamente le condizioni di oggi sono diverse da quelle di ieri.

Nella condivisione che il vescovo Antonio ha fatto ai preti è stato detto: in un mondo che cambia, non possono neppure rimanere uguali i criteri del discernimento vocazionale.

Il lavoro a gruppetti ha dato occasione di un confronto “a tu per tu”, serrato e schietto, tra i presbiteri che, successivamente, in sala, hanno offerto e condiviso le loro osservazioni. Accanto ad una Chiesa che deve essere accogliente è stata messa in evidenza la sua prossimità nei confronti della gente. E questo coinvolge soprattutto i sacerdoti.

Il vescovo Napolioni ha poi dato voce a due sollecitazioni emerse in sala.

L’attenzione alla persona. E questo va fatto con:

  • autenticità, che non è spontaneità, sincerità, schiettezza, ingredienti importanti. Sono il primo gradino. “È necessario chiamare in causa la nostra umanità di preti e Colui che ce l’ha data e la alimenta”. Viene chiesto un lavoro personale. Il prete e il presbiterio debbono essere fedeli a Dio e a se stessi. È la la questione esistenziale della vita credente. La morte, la malattia, la fragilità serviranno ad essere autentici.
  • cordialità. Predicare e agire a cuore aperti. “Spaccati, come Cristo, che ci fa vedere il volto di Dio nelle sue ferite. Le nostre ferite dobbiamo nasconderle per essere autenticamente preti o dobbiamo permettere che Cristo, nelle nostre ferite, mostri il volto di Dio. Una contentezza vera. I ragazzi non ci cascano”.
  • La vita del prete deve essere di grande limpidezza. “Meglio la limpidezza di un peccatore che la maschera di una doppia vita. Guardiamoci negli occhi, da “poveri Cristi”, capaci di annunciare il vangelo. Facciamo interagire la grazia e la libertà”.

La seconda sollecitazione è stata sulla Chiesa, contemporaneamente giovane e madre. Non è la sposa di quel Dio vecchio e arcigno che non ha ragione di essere, ma è contenta di quel Figlio che porta in grembo. Il vescovo ha poi ricordato che “la condizione delle giovani donne del nostro tempo ci deve preoccupare e ci deve interrogare. Ben venga il Tavolo Rosa in diocesi che deve costringerci sulle risorse, sulle rimozioni avvenute, sulle attese profonde…”. Un passo da compiere è riscoprire la debolezza delle giovani donne, non con il paternalismo, né con il moralismo, ma con la fraternità. Le donne hanno bisogno di sentire che hanno – nei preti – fratelli maggiori che le restituiscono alla loro femminilità e maternità. Diversamente i ragazzi vocabili saranno “sterilizzati” da un femminile che non esiste.

Quindi la provocazione sulla preghiera. Alla vigilia di Pentecoste, da vivere tra consacrati, in preghiera, come gli apostoli, in attesa dello Spirito, perché apra i cuori di tutti, specialmente quello del Vescovo, nel prendere decisioni significative. Un modo per dire che la chiesa è del Signore e Lui solo sa portarla al cambiamento necessario. Suscitando e scegliendo persone nuove che sappiano, valorizzando il passato, vivere in quella dimensione presente e futura ricca di sorprese.

 

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