Don Celini: «La sfida dell’evangelizzazione? Testimonianze ed esperienze di vita credibili»

Intervista al nuovo rettore del Seminario vescovile di Cremona, tra le sfide della formazione, della comunicazione e del dialogo ecumenico

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Con il mese di settembre inizia il nuovo incarico di rettore del Seminario vescovile di Cremona don Federico Celini. Classe 1957, cremonese originario della parrocchia di San Bernardo, laureato in Lettere con specializzazione in Comunicazioni sociali, a lungo insegnante in Seminario, è giornalista professionista e direttore responsabile dei mezzi di comunicazioni diocesani e dal 2017 ricopre l’incarico di coordinatore dell’area pastorale “Capaci di comunicazione e cultura”, di cui fa parte anche la Pastorale ecumenica e il Dialogo intra-religioso, che guida dall’anno precedente.

 

Don Federico, lei è impegnato in molti ambiti e anche diversi tra loro: come ci si sente a gestire così tante esperienze?

«Sono il segno di una fiducia di cui ringrazio il vescovo. Il mio ruolo all’interno di queste dimensioni comporta una grande responsabilità che cerco di affrontare al meglio».

 

Data la sua esperienza e formazione passata, come si possono comunicare in modo efficace o in una chiave nuova queste dimensioni di ecumenismo, informazione e vocazione sacerdotale?

«Questa domanda intercetta qualcosa in cui credo molto ed è insito nel mandato di questa mia nuova avventura, in comunione con il vescovo, ovvero di essere promotore e sintesi di carismi e ministeri. Penso che il primo mezzo efficace possa essere nelle testimonianze ed esperienze di vita. Per quanto riguarda il Seminario, poi, credo che la formazione certamente non debba prescindere dall’elemento intellettuale e accademico, ma dev’essere integrata dall’accostamento di testimonianze autentiche di chi crede veramente nel proprio ministero e nella propria collocazione in un contesto concreto».

 

Il modo migliore di “comunicare” la formazione di un sacerdote, insomma, passa dalla testimonianza di vita…

«Il Seminario è chiamato a essere la casa dei ministeri e delle vocazioni; un luogo dove esse possano incontrarsi, raccontarsi, diventare dono per tutti nelle loro bellezza e nella loro fedeltà alla dimensione battesimale; una chiamata a essere testimoni in tutti gli ambiti della vita. Ripeto: come la base intellettuale e accademica è imprescindibile, altrettanto dev’essere supportata dalla condivisione osmotica e “porosa” a belle e credibili esperienze di vita. Sono quelle di cui la Chiesa si nutre da sempre e, come tasselli organizzati, costituiscono quel bellissimo mosaico. Ciò potrebbe portare nella formazione anche a facilitare e purificare un’idea di ministero sacerdotale, aiutando i seminaristi nel loro percorso a chiarire meglio qualche idea sbagliata o non consona. Credo si potrà farli entrare gioiosamente in un contesto ecclesiale di apertura e nella realtà nella quale saranno chiamati, già da presbiteri, a esercitare il loro ministero».

 

E per quanto riguarda l’ecumenismo e l’informazione?

«Il Seminario potrà senz’altro vivere belle occasioni di crescita, anche nell’ottica di un’acquisizione di una sensibilità ecumenica scevra da identitarismi che potrebbero strutturarsi all’interno. Infatti, oltre che dalle idee noi siamo perlopiù convinti dalle testimonianze delle persone che abbiamo incontrato. Gli apostoli stessi hanno seguito Cristo a partire da un incontro prima ancora che dal messaggio evangelico. Per quanto riguarda poi la comunicazione, credo si possa fare sintesi di tutte le opportunità che queste dimensioni possono rappresentare se integrate e non scollegate tra loro. Il mio ruolo sarà proprio questo: perché l’annuncio sia purificato ed efficace, adeguato all’oggi e al domani, e non a ieri. La storia non si può fermare».

 

Ha detto che il suo ruolo sarà fare sintesi della ricchezza di ciascuna dimensione in cui si trova a operare. Quali difficoltà ha notato nelle diverse realtà e su che cosa, secondo lei, bisogna intervenire?

«Considerando anche la mia esperienza di parroco, in comunità che si sono messe in gioco nel cambiamento nell’ottica dell’unità pastorale, la difficoltà maggiore anche nell’ecumenismo e nella formazione credo sia la fatica di scontrarsi con una secolare tradizione, il famoso “si è sempre fatto così”. Papa Francesco ha individuato questo come uno dei problemi dell’oggi nell’annuncio del Vangelo; egli afferma, infatti, che non siamo un epoca di cambiamenti, ma in un vero cambiamento d’epoca. Non possiamo ignorare che l’epoca di ieri non è quella di oggi e del domani. È un’illusione credere che quello che andava bene un tempo andrà bene per sempre. La Chiesa si è sempre messa in gioco nella storia, tenendo fermi i principi fondamentali, che però sono sempre stati incarnati nel tempo in cui essa cammina».

 

Queste dinamiche sociali e antropologiche le fanno pensare di essere indietro con il tempo?

«C’è purtroppo la fatica o il rifiuto di conoscere le dinamiche sociali e culturali spirituali dell’oggi. Ci si rifugia in uno spiritualismo soprattutto formale ed esteriore credendo comunque di testimoniare il Vangelo agli uomini e alle donne di oggi: è un’illusione deleteria! I sociologi francesi parlavano proprio di una spiritualità incarnata in un contesto reale; si tratta di fedeltà al Vangelo! Infatti, nella Pentecoste “parleranno le lingue degli uomini”. La lingua di oggi è anche quella dei social. Ci piaccia o meno, se un modello ormai non aiuta più a comunicare il messaggio, è giusto pensare a qualche cambiamento. Come la Chiesa ha sempre fatto».

 

Tornando sull’esperienza ecumenica, a che punto è il cammino in diocesi?

«Esso sta facendo grandi passi a livello generale. Colgo davvero la bellezza e la soddisfazione con cui le varie esperienze e sensibilità cristiane si stiano sempre più avvicinando e cogliendo, anziché le differenze storiche strutturate, le reciproche ricchezze insite nelle esperienze religiose delle altre comunità sorelle. A Cremona posso affermare che, soprattutto grazie al rapporto di fraternità tra i responsabili di Chiesa cattolica, Chiesa metodista, Avventista del settimo giorno e Chiesa ortodossa rumena, le ripercussioni sulle reciproche comunità sono buone. Anche i fedeli vivono un clima di serenità e reciproca valorizzazione del bene di ognuno».

 

Dove nasce secondo lei questa fraternità e valorizzazione tra le comunità?

«Alcune convinzioni strutturale nei secoli, per ragioni storico-culturali, si stanno sgretolando: ci rendiamo conto che una è la fede, ci riconosciamo nello stesso credo, nel Dio Trinitario e la sua presenza nella storia, pure con le inevitabili differenze che man mano si stanno limando per arrivare a una ricchezza reciproca. Non c’è, insomma, un annacquamento delle identità, ma una valorizzazione della ricchezza in cui possano essere accolte reciprocamente».

 

Crede perciò che l’Ecumenismo sia una soluzione importante per costruire opportunità di dialogo, di conoscenza e comprensione di punti di vista ed esperienze religiose differenti, in un contesto storico-culturale caratterizzato da estremi come quello dei nostri tempi?

«Il cammino ecumenico si pone come assolutamente profetico. In un mondo in cui le differenze si vanno malauguratamente strutturando in identitarismi esasperati, il dialogo ecumenico sulla base del Vangelo è controcorrente. Non è un discorso vecchio: credo si ha l’impressione che l’ecumenismo sia un discorso per iniziati oppure datato. Invece è nuovo, moderno, profetico. Perché ci riconosceranno non dalla esasperazione dei particolarismi, ma da come avremo saputo essere uniti».

 

Rispetto al generale, a Cremona com’è la situazione? C’è un clima propositivo o qualche difficoltà?

«Le comunità cristiane non cattoliche a Cremona non sono numerose. Però i loro appartenenti sono molto motivati a un percorso comune e alla fraternità che si gioca sulle grandi sfide dell’oggi. Non soltanto a partire dalle idee, seppure importanti anche nell’affrontare gli inevitabili nodi teorici, ma sulle questioni di attualità dell’ambiente, della pace, degli identitarismi forti. Sono problematiche che si rivedono nel magistero di Papa Francesco, ritenuto un punto di riferimento riconosciuto e apprezzato da tutti. La Fratelli tutti o la Laudato si’ sono documenti programmatici accolti come credibili e opportunità straordinarie di unità seppur nelle rispettive declinazioni».

 

Questi grandi temi si avvertono nel cammino ecumenico a Cremona, oppure ci sono altre questioni più localizzate?

«Non colgo particolari tensioni se non il desiderio autentico di camminare insieme in questo percorso promosso e favorito dal vescovo Napolioni e da coloro che si incontrano come referenti; oltre a me il pastore Nicola Tedoldi, Franco Evangelisti e anche don Fuciu, fino a quando egli non è venuto a mancare l’anno scorso. Vorrei poi sottolineare come abbiamo avuto l’esperienza di unità e di vera e affettuosa fraternità anche nei momenti del dolore, come nella morte di padre Theodoru Fuciu e del professor Mario Gnocchi. In quelle occasioni le comunità cristiane si sono trovare veramente unite, condividendo tale dimensione e una stessa fede in quel momento e dell’affidamento al Padre, che è l’annuncio evangelico comune a tutti».

 

Quali attività sono in programma nel prossimo anno per il percorso ecumenico?

«Quest’anno proporremo la quinta edizione della Lectio divina ecumenica sulla Parola, l’incontro mensile online in cui le varie sensibilità religiose condividono liberamente le proprie riflessioni sia guidate sia libere, a partire da brani scelti secondo un argomento conduttore. Di norma è il secondo mercoledì del mese alla sera. Ci sarà poi a gennaio la tradizionale veglia ecumenica, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, oltre al desiderio di creare e partecipare a eventi culturali e pubblici delle rispettive comunità. Recentemente è stato così per l’inaugurazione della sede della Comunità Avventista o della mostra sulla Bibbia, cui ha partecipato anche il vescovo Antonio».

 

Ci sono persone interessate alla lectio divina ecumenica?

«C’è un’ottima partecipazione: quasi cinquanta le persone collegate, anche da altre parti d’Italia e perfino dall’Olanda, oltre che dalle nostre comunità di riferimento. Infatti, questa lectio divina online è interdiocesana, promossa dai referenti ecumenici di Cremona, Crema, Piacenza e Parma. Anche questo è un segno di unità tra le diverse realtà, non solo locali».

 

Quale direzione vorrebbe intraprendere il cammino dell’ecumenismo?

«C’è la volontà di creare opportunità e di mettersi insieme a fare qualcosa. Ad esempio, negli anni abbiamo vissuto un vero e proprio concerto musicale nel quale le varie espressioni musicali o cori delle varie comunità hanno offerto elevazioni musicali agli altri; vi avevano partecipato anche laici cremonesi. Un dialogo ecumenico che diventa un dialogo culturale e fruibile a tutti: abbiamo insomma avuto un buon riscontro su questo percorso».

 

A livello giovanile c’è interesse e partecipazione all’esperienza dell’ecumenismo?

«Onestamente i giovani non sono particolarmente orientati. Essi percepiscono l’ecumenismo ancora come un discorso d’élite, che non è quindi abbastanza nelle loro corde. Si tratta di generazioni che stanno sviluppando una loro identità, di persone in via di “costruzione”. Riflessioni in tal senso sono già state avviate e strutturate; l’esperienza delle veglie ecumeniche era stata pensata proprio per intercettare queste fasce più giovanili. Essi sono iperconnessi con il mondo e forse lo percepiscono come un discorso ristretto. In questo la comunicazione libera ed efficace può rappresentare, al di là di occasioni strutturate d’incontro, un’opportunità da sfruttare».

 

In questo percorso è stato accompagnato da figure che hanno rappresentato qualcosa di importante per lei, come il professor Mario Gnocchi e padre Fuciu. Quali ricordi ha di loro?

«Padre Theo Fuciu lo ricordo entusiasticamente presente. Nei momenti in cui ha partecipato alle nostre veglie ecumeniche è stato amichevolmente propositivo. Una persona buona, preparata e intelligente e umanamente molto carica. La nostra esperienza ecumenica, infatti, si gioca sull’umanità e sulle relazioni prima ancora che sulle idee. E padre Fuciu aveva rapporti molto positivi con il vescovo Antonio. Il professor Gnocchi, invece, lo ricordo fin dai temi del liceo Manin quando ero studente; già allora aveva questa apertura straordinaria culturale e spirituale. Essendo poi stato presidente nazionale del SAE (Segretariato attività ecumenica, ndr), egli ha saputo fare sintesi anche in un contesto umano di queste conoscenze profonde delle Scritture e della spiritualità sulla base del magistero della Chiesa. Vorrei anche ricordare il professor Massimo Marcocchi, docente di Storia del Cristianesimo, conosciuto ai tempi dell’università e mio relatore nella discussione di laurea, anch’egli motivatissimo alla cultura del dialogo ecumenico e aperto al nuovo a partire dalla Tradizione«».

Jacopo Orlo
TeleRadio Cremona Cittanova
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