«Dalla Croce Rossa alla Croce di Cristo». Il vescovo Antonio a S. Camillo per la festa del beato Enrico Rebuschini

Martedì 10 maggio nella struttura sanitaria di via Mantova prima la Messa e poi la visita ai reparti dove mons. Napolioni ha incontrato i degenti e il personale

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Il 10 maggio è stata come sempre una giornata di festa presso la casa di cura San Camillo di via Mantova, a Cremona. L’occasione era la festa del beato Enrico Rebuschini, camilliano che a lungo ha prestato servizio proprio nella clinica alle porte delle città come economo e superiore. A rendere ancor più solenne la ricorrenza è stata la presenza del vescovo Antonio che ha presieduto l’Eucaristia e poi ha incontrato i ricoverati nei vari reparti.

La Messa ha avuto inizio proprio all’altare dove sono custodite le spoglie del Beato.

A introdurre la celebrazione, animata con il canto dal coro della struttura sanitaria, il superiore della comunità camilliana, padre Virginio Bebber.

Diversi i sacerdoti concelebranti. Alcuni camilliani, tra cui l’ex superiore padre Roberto Corghi e padre Francesco Zambotti. E non mancavano neppure il parroco di San Sebastiano, don Massimo Calvi, il vicario zonale, don Giampaolo Maccagni, e i Cappuccini della comunità di via Brescia.

Insieme ai fedeli, a comporre l’assemblea una delegazione del personale della casa di cura insieme al direttore sanitario Leonardo Marchi, alcuni dei ricoverati e, naturalmente, la famiglia camilliana laica.

In prima fila la presidentessa del Consiglio comunale di Cremona, Simona Pasquali. Tra i banchi anche una delegazione della comunità delle Figlie di S. Camillo della clinica di via Fabio Filzi.

Presenti come consuetudine le associazioni combattentistiche e d’arma con i propri gonfaloni e labari, e tra queste l’associazione Caduti di guerra senza croce. La clinica di via Mantova, infatti, durante il primo conflitto mondiale,  per iniziativa del beato Rebuschini e in collaborazione con la Croce Rossa, fu ospedale militare.

Proprio dalla croce rossa sulla casula ha preso spunto il Vescovo per iniziare l’omelia, sottolineando come questo «segno, sul petto dei Camilliani e delle Figlie di San Camillo, desta in chi li incontra subito una chiarezza, una rassicurazione: c’è Cristo di mezzo. Un Cristo color sangue, un Cristo color amore. Sembra una Croce Rossa allungata». Ma «la Croce Rossa da sola non ce la fa», ha quindi precisato, riconoscendo il grande sforzo svolto quotidianamente da medici e infermieri.

Dalla Croce Rossa alla croce di Cristo. «Non la croce dei crociati che combattono una guerra nel nome di Dio – ha precisato mons. Napolioni – ma la croce di chi attinge al Calvario la forza di amare».

Il pensiero è andato quindi alla figura del beato Rebuschini, anche attraverso le «testimonianze che dicono come quella croce lui ce l’avesse stampata non solo sull’abito, ma nel cuore, nella mente, nelle parole, nello stile di vita, nei piccoli gesti. Perché spesso non è la soluzione che noi cerchiamo, ma la carezza, il sollievo, ciò che ci rende sopportabile la croce e la morte».

Continuando la propria riflessione il Vescovo ha fatto riferimento alla prima lettura (Sir 4,1-6,10) e all’invito del Signore a non rifiutare al povero il necessario per la vita. «Lo dice al portafoglio di ciascuno di noi – ha affermato il Vescovo –, lo dice allo stile di vita della nostre famiglie, ma lo dice anche alla Chiesa, alla società, ai politici… a tutti! C’è un mondo che si sta facendo sempre più del male perché non accoglie questo invito millenario di Dio». E il pensiero di mons. Napolioni è andato anche al 2015, anno che ha visto triplicare le vendite di armi italiane nel mondo, con i relativi guadagni.

Poi ha proseguito: «Non ci meravigliamo se alla croce rossa risponde la mezzaluna rossa o quella bianca o nera, se alle bandiere dei crociati di una volta si sostituiscono le bandiere nere o verdi di oggi. Non voglio fare politica sulla pelle e sulla santità del beato Enrico, ma guai a noi se ne facessimo oggi un santino da nicchia. Quasi mi auguro che non lo proclamino santo, perché più facciamo templi e monumenti ai nostri santi più ce ne allontaniamo. Come dire: lui era straordinario, noi abbiamo il diritto di tirare a campare con i nostri limiti. No! Lui ha avuto il coraggio di aprire il cuore a questa Parola: volto per volto, letto per letto, persona per persona, non ha rattristato, non ha esasperato, non ha turbato, non ha negato un dono al bisognoso».

Un compito che, però, non si può portare avanti «individualmente ed eroicamente», ha proseguito richiamando Papa Francesco e la consapevolezza che «saremo giudicati sui gesti d’amore». «Perché tirarci indietro? – ha chiesto il Vescovo –. Io da solo spesso mi tiro indietro. Se ci proviamo insieme forse ci rendiamo conto che non solo è possibile, ma è bello e ci dà quella pace e quella serenità che cerchiamo senza trovarla. E che il beato Enrico ha trovato e non ha mollato più, anzi, l’ha regalata a tutti quelli che l’hanno incontrato».

«Fare festa a un santo – ha quindi concluso il Vescovo – significa imitarlo, dire grazie perché ci è stato dato e smetterla di essere distanti da questo modello. Una casa come questa può essere un dono grande per chi è costretto a riceverne i servizi, perché c’è un valore aggiunto. Questa croce rossa non è soltanto la bravura dei medici, la passione degli infermieri, essenziali e decisivi, ma è anche il sorriso dei credenti, la speranza e la preghiera di un’intera comunità. E allora saremo davvero più forti della morte, così come il Signore Gesù vuole che noi siamo. Non con le nostre forze, ma con la sua grazia, che accogliamo in tutta libertà e responsabilità».

Al termine della Messa è stata letta la preghiera ai caduti senza croce, cioè coloro che sono morti per la patria e le cui spoglie non sono mai state recuperate.

Quindi le parole di ringraziamento di padre Bebber prima della benedizione finale.

Conclusa la celebrazione il Vescovo e i sacerdoti hanno venerato la reliquia del beato Rebuschini, portata sull’altare dall’ex superiore padre Antonio Casera. Un gesto di devozione compiuto poi anche dai fedeli presenti.

La mattinata si è conclusa con il vescovo Napolioni che ha incontrato, vistando i diversi reparti, il personale sanitario e i ricoverati. Tra di loro anche un parrocchiano di S. Sebastiano che da giovane fu confessato proprio da padre Rebuschini.

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