Covid-19, manifesto Fnopi: “fare tutto il possibile per non fare sentire nessuno abbandonato”

Mangiacavalli: “riconoscere il ruolo professionale e sociale dell’infermiere”

image_pdfimage_print

Non eroi, ma professionisti preparati dal punto di vista scientifico e deontologico. Quella dell’infermiere è una visione del bene collettivo che prevale su quella dell’interesse individuale. Per questo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), a un anno dal varo del nuovo Codice deontologico degli infermieri, ha messo a punto il 20 aprile un “Manifesto deontologico” per la pandemia Covid-19. Undici punti perché “il racconto, oggi così enfatizzato, dell’eroismo dei professionisti della sanità domani potrebbe diventare un ricordo, superato da nuovi argomenti, conflitti, superficialità della comunicazione.

Bisogna allora investire per far diventare permanente la percezione sociale del ruolo dell’infermiere, fatta anche del contenuto etico della professione”, afferma la presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli.

“La salute non è questione riducibile all’emergenza, ma viene da molto prima e si proietta nel futuro”, si legge nel Manifesto che sottolinea l’importanza delle conoscenze scientifiche, “indispensabili come strumento per la vita delle persone. La riorganizzazione delle attività, dei reparti, dei percorsi, la redistribuzione del personale, deve acquisire velocemente competenze nuove o approfondire quelle già possedute”. Per l’equipe, prosegue il documento, “è complesso assolvere al dovere di garantire le informazioni necessarie” soprattutto “quando le comunicazioni sono drammatiche”, ma in ogni caso “l’infermiere si assicura che l’interessato o la persona di riferimento, riceva informazioni sul suo stato di salute precise, complete e tempestive”.

L’epidemia ha tolto certezze ma di fronte a “sguardi pieni di domande e domande piene di paure” il ruolo dell’infermiere è “fare tutto il possibile, sempre”, si legge ancora nel “Manifesto deontologico” per la pandemia Covid-19. Quanto alla relazione di cura: nella pandemia “essere riconosciuti passa dagli sguardi e dalle mani, dall’esserci e dal gesto di cura, il tempo che gli infermieri passano con chi assistono non è basato sulla quantità a sull’intenzionalità: assistiti e familiari vedono e sentono che non sono lasciati in abbandono”. L’infermiere si impegna inoltre perché venga tutelata sempre la riservatezza degli assistiti: nelle carte, negli spazi, nella sottrazione agli sguardi.

Per quanto riguarda la comunicazione scientifica ed etica,“può diventare un riferimento per i cittadini, nella loro esigenza di essere informati correttamente e senza accedere a fonti avvelenate”. Necessariamente alta l’attenzione alla palliazione del dolore: l’infermiere è “l’interlocutore essenziale delle persone assistite, per garantire quel sollievo che sembra ancora così difficile da ottenere”. Il Manifesto sottolinea inoltre che riorganizzazione dei percorsi e formazione del personale rispetto all’area intensiva e al rischio infettivo “sono di matrice infermieristica” e l’apporto clinico, di consulenza e organizzativo vede la professione “come parte integrante e proattiva del sistema”. L’infermiere è infine responsabile della documentazione clinica e deve vigilare sulla corretta applicazione delle linee guida e delle buone pratiche “promuovendone il continuo aggiornamento”.

AgenSir
Facebooktwittermail