Il profeta Isaia ci dà una notizia, simile a quella che ha rallegrato tutte le famiglie del mondo quando nasce un uomo: “Ci è stato dato un figlio”. È la più bella notizia per tutta la famiglia umana, se addirittura questo bambino è il Figlio di Dio. Dato a noi, proprio a noi, a questa famiglia immensa e spesso divisa, a questa famiglia variegata e confusa, alla famiglia umana, a cominciare dalla famiglia della Chiesa.
Questo figlio è stato dato a noi, alla trama delle nostre esistenze, per trovarvi accoglienza e cura. Questo figlio è “per noi”, ossia ci fa bene, è un dono da scoprire e mettere a frutto, nel rispetto di un disegno più grande. Lo stesso che circonda ogni bambino che viene al mondo, anch’egli figlio di Dio.
Lo so che a molti questa non appare affatto come una buona notizia: siamo già in troppi, come spartire la torta anche con un altro? E non li vediamo quanti bambini pagano con la miseria e la vita le violenze del mondo!? Ma non ci sono futuro e speranza per nessuno, se non ci sono figli che possano essere migliori di noi, non più ricchi ma più giusti. E la piccola “casa comune” che tutti abitiamo chiama a osare stili di fraternità e condivisione, scelte e prassi di pace, rifiutando ogni forma di dominio, violenza e sopraffazione.
Anche chi, come me, non ha figli secondo la carne, ha bisogno di pensare tutti come figli, qualcuno come figlio, della cui sorte appassionarsi, lottando dentro di sé contro pigrizia, egoismo e viltà. Ma se il bene del figlio è la vera gioia del padre e della madre, tutti possiamo intuire e realizzare un po’ della paternità di Dio. Diventando aperti e generativi in ogni campo della vita sociale: nell’educazione e nella cura dei più fragili, nella partecipazione politica e nella cooperazione economica, nel lavoro e nel riposo…
L’augurio natalizio che perciò affido all’ospitalità di queste pagine e alla benevolenza dei lettori è questo: che le crescenti solitudini scelte o imposte dalla vita contemporanea possano aprirsi all’adozione di nuove relazioni, di amicizia e sostegno reciproco, almeno a uno sguardo che sia fatto meno di giudizio istintivo e più di nutriente attenzione, paterna e materna. Il Bambino del presepe ce lo propone nel silenzio della sua vulnerabilità, in cui l’Onnipotente ha scelto di nascondersi per facilitare i nostri passi verso di Lui e verso gli altri. Sia Natale, dunque, sempre di più, in tutte le nostre vite.
+ Antonio Napolioni
Vescovo di Cremona